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Supernatural: recensione dell’episodio 9.09 – Holy Terror

Questo sì che è un Glee Club! Qualcuno spedisca la scena di introduzione di Holy Terror a Ryan Murphy, chissà che non gli venga in mente un modo per risollevare la serie canterina! O magari un bel crossover tra Glee e American Horror Story. Mi riferisco, chiaramente, alla scena iniziale in cui un bel glee club religioso entra in un bar di bikers e li fa fuori tutti. Si scoprirà poi che si trattava di due schieramenti di angeli. Non proprio amichevoli. Oh sì, inviatela a Ryan Murphy. Ma veniamo a noi.

Guardare Supernatural è come andare a bere una birra con un vecchio amico, come andare a mangiare una pizza con gli amici a cui tieni. Sai che ci starai bene, perché ci sei affezionato, perché c’è sempre qualcosa che ti fa divertire, perché sai che non è tempo sprecato anche se non passi la serata più scatenata della tua vita. E ogni tanto vi scatenate anche. Ecco, questo direi che è stato lo spirito di questa nona stagione fino ad ora. Desolazione, piccole cose, semplicità che non maschera più il vuoto che i Winchester sono costretti a portarsi addosso, come un peso al contrario, al punto che per riempire Sam ci è voluta una possessione angelica.

La trama orizzontale si è mossa con estrema calma, che gli autori possono permettersi per via della sicurezza di poter arrivare fino in fondo e di dover chiudere con questa stagione. Questo mid-season finale è però decisamente più centrato proprio sulla trama orizzontale, facendo decisi passi in avanti e andando a smuovere le acque come un buon finale dovrebbe fare. Insomma, hanno fatto quello che si doveva fare. Citazione, questa, che è battuta ricorrente dell’episodio e tema centrale della puntata.

Dicevamo che si smuovono le acque. Eccome. Praticamente l’episodio ribalta buona parte degli assunti su cui abbiamo fatto affidamento quest’anno. Figura al centro di questa permutazione: Castiel. Diciamolo, Misha Collins è davvero perfetto per quella parte… e ammettiamolo, Cass è un gran bel personaggio. Angelo, tormentato, buono, eroico, ma con fragilità e debolezze non umane ma che lo rendono tragico. Vederlo umano è stato assolutamente divertente, sofferente in alcuni momenti. Prendiamo ad esempio la scena della preghiera di questo episodio. È ottima: ironica con gusto. Ecco perché questa scelta narrativa si adattava perfettamente alla trama, per cui non mi aspettavo che l’avrebbero risolta così velocemente, con un taglio di gola e il “furto” della Grazia di un altro angelo. Insomma… si può fare proprio tutto nell’universo di Supernatural, con la lama giusta. Non è una risoluzione un po’ frettolosa? In passato mi è già capitato di chiedermi la stessa cosa per altre situazioni, in questa serie. A volte mi sembra che gli autori ci prendano per scioccarelli. Vabbè, andiamo oltre.

Altro colpo di scena è la rivelazione portata dalla Voce di Dio, Metatron. Curiosa metafora eh? Beh, il simpaticissimo angioletto ci fa scoprire che in realtà dentro Sam non c’è Ezekiel, che è morto nella caduta sulla terra, ma Gadreel, uno dei primi angeli esiliati da Dio, anche nella mitologia cattolica. Codesto Gadreel in realtà era enormemente fedele al Signore, ma ha lasciato che il diavolo entrasse nell’Eden e per questo è stato punito al carcere angelico eterno. Però. Beh, adesso è libero e Metatron lo tenta, come il serpente. E come il diavolo entrò nell’Eden, il male entra di nuovo in Gadreel, che cede alle lusinghe della Voce, decide di fare il suo secondo in comando in Paradiso e di cominciare a uccidere le persone che lui vuole.

Il primo omicidio di Gadreel è il terzo colpo di scena dell’episodio. Povero Kevin. Quel ragazzo è stato la sfortuna in persona, sempre a sottolineare quello che Supernatural si diverte a dire, ovvero che come dall’Inferno, anche dal Paradiso non arriva niente di buono. Ed essere un Profeta del Signore non è certo una cosa di cui gioire. Adoro lo stridere della mitologia di Supernatural contro quella cattolica “ufficiale”. È come se si raccontasse “la verità” contrapposta alla visione “fatata” dei testi sacri. Con questo, non voglio offendere nessuno, sia chiaro. Semplicemente, mi affascinano le storie che provano a dare un’altra interpretazione alla cosmologia cattolica. Tornando a Kevin, muore così, in fretta, così, che non te l’aspetti neanche e che fino all’ultimo momento pensi “no dai, non può essere”. E invece sì. E Sam/Gadreel si ruba pure le tavole. Le cose non si mettono bene per Dean.

Nel frattempo, sullo sfondo, due fazioni di angeli fanno guerra. Esattamente come le due fazioni di demoni. Anche se Crowley sembra prossimo a perdere la corona di King of Hell. E chissà cosa succederà. Tornerà umano? O addirittura i Winchester lo aiuteranno a scalzare quella simpaticona di Abaddon, intendendo che si tratterebbe del male minore?

Staremo a vedere. Tornando al presente, come scrivevo diverse righe sopra, l’episodio gira sul concetto del “bisogna fare quello che bisogna fare”, che in inglese suona meglio, ma che rende l’idea. Cass, per salvarsi, ha dovuto rubare la Grazia a un angelo. Dean per salvare Sam ha dovuto fare un accordo con un angelo. Gadreel per accedere al paradiso di Metatron ha dovuto uccidere Kevin. Malachi e Bartholomew hanno dovuto farsi guerra. È tutto un andare di scuse, di giustificazioni per comportamenti effettivamente non proprio decenti. Si uccide, si ruba, si mente, tutto pur di andare avanti, o forse, pur di fare ciò che si crede giusto. Quindi il fine giustifica i mezzi. Ma dalle facce di chi ha detto la frase “I did what I had to do”, si capisce che non è poi così vero, che non è una giustificazione che funziona, almeno in cuor loro.

Episodio lineare, diretto, con dei bei colpi di scena, che accelera la trama orizzontale, andando avanti e, a conti fatti, mettendo le basi per il suo ritorno. Non ho dubbi nel dire che si tratta di una puntata piacevole, che sa catturare l’attenzione, divertente per gli amanti della serie e capace di creare una nuova aspettativa nel pubblico. Insomma… gli autori hanno scritto quello che dovevano scrivere. No?

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9.09 - Holy Terror

Mistico

Valuazione Globale

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Alessandro

Pianoforte a 9 anni, canto a 14, danza a 16 anni. Poi recitazione. Poi la scuola professionale di Regia Cinematografica. Poi l'Accademia di teatro di prosa. Anche grafica, comunicazione, eventi di spettacolo. Ma qui soprattutto un amore sconfinato per le serie tv americane e inglesi, con la loro capacità di essere le vere depositarie moderne della scrittura teatrale antica anglosassone.

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