
Non ci sono più i supereroi di una volta? 7 serie TV che riscrivono il mito
La nuda contabilità dei numeri potrà essere fredda e asettica, ma mai menzognera. È questa inoppugnabile sibilla a dire che i supereroi sono stati il motivo trainante dei maggiori successi commerciali degli ultimi anni sia al cinema che in TV. Il proliferare di film e serie TV sui supereroi ha generato presto una messe di titoli che hanno invaso il mercato senza chiedersi se non si rischiasse ad un certo punto di ottenere l’effetto contrario. Perché il troppo inevitabilmente stroppia. E alla fine si sarebbe potuto ottenere anche una sorta di rigetto per temi e situazioni talmente usati da diventare abusati.
Paradossalmente, la malattia ha prodotto i suoi stessi anticorpi. Il benefico risultato è rappresentato da serie che lo stesso mito dei supereroi hanno provato a declinare in modi differenti. Arrivando a riscriverlo o negarlo del tutto. Alcuni esempi li trovate di seguito.
Ecco 7 serie TV sui supereroi ( che riscrivono il mito) tutte da recuperare

Supereroi come divinità: Ragnarok e The Uncanny Counter
Sarebbe l’accoppiata più ovvia dal momento che un supereroe ha spesso poteri che sono prerogativa di qualche divinità di un qualche ricco pantheon religioso. Eppure, in genere, questi superpoteri sono il risultato di qualche fantascientifico esperimento andato più o meno oltre le sue intenzioni iniziali.
O magari sono il dono di un gene mutante innato o acquisito per qualche via complicata. E, quando anche l’identificazione è evidente, si tende a rivestirla di una sovrastruttura non religiosa. Per esser chiari, il Thor della Marvel ha nome e poteri del dio norreno, ma è un extraterrestre e non una divinità.
Diverso è il caso, invece, di Magne, protagonista di Ragnarok, prima serie norvegese di Netflix. Un ragazzone liceale di una piccola cittadina tanto goffo e impacciato da apparire quasi ritardato che scopre con sua stessa sorpresa di essere Thor. Non l’abitante di un altro mondo chiamato Asgard, ma proprio il dio del Valhalla. Villain della serie sono i Giganti provenienti dalla stessa mitologia, reincarnati nei membri della più ricca famiglia industriale del luogo. Un conflitto ancestrale riscritto alla luce delle tematiche ambientaliste. Supereroi che diventano, quindi, vere e proprie divinità perché a salvare l’universo possono essere solo gli esseri che lo hanno creato.
Meno ambiziosa, ma sempre ispirata allo stesso punto di vista è la serie coreana The Uncanny Counter. Se a mettere in pericolo l’umanità sono demoni, a dar loro la caccia non possono essere che altri esseri soprannaturali. Sono questi spiriti benefici a unirsi spiritualmente ad una squadra di esseri umani reclutati tra le persone in coma. La cornice religiosa si mantiene defilata e poco ingombrante, ma è comunque interessante osservare come a delimitare il campo di battaglia tra buoni e cattivi sia questa identificazione tra supereroi e divinità.
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Supereroi anche no: Doom Patrol e The Umbrella Academy


Identificare i supereroi con le divinità è un modo di estremizzarne il concetto, ma è una novità dopotutto per nulla rivoluzionaria. Non cancella, infatti, il paradigma di base ben riassunto nell’iconico mantra di Spiderman: Da grandi poteri, grandi responsabilità.
Un distico che racchiude le due caratteristiche principali che hanno caratterizzato buona parte dei personaggi più recenti o portato a riscrivere quelli creati in contesti diversi.
Grandi poteri da mettere al servizio del bene comune. Sempre che prima non si debba affrontare il nemico più infido: sé stessi.
Un avversario contro cui nessun potere è abbastanza grande come capiscono bene i protagonisti di Doom Patrol. Robotman, Negative Man, ElastiGirl e Crazy Jane sono, infatti, accomunati non dall’essere dotati di speciali qualità, ma piuttosto dall’essere dei reietti messi da parte. Perché quei famigerati grandi poteri sono per loro solo fonte di grandi problemi. Incontrollabili e ribelli come lo spirito alieno che da forza a Negative Man. Inaccettabili come il robot messo al servizio del cervello umano di Robotman. Disgustosi come il blob informe in cui si trasforma Rita quando le emozioni hanno il sopravvento. Ingestibili come le personalità multiple di Jane in eterna lotta per chi deve comandare. In Doom Patrol non ci sono più supereroi con grandi poteri, ma grandi poteri a persone con grandi difficoltà.
Situazione non dissimile da quanto accade ai sei (più uno) fratelli che compongono la banda di eroi di The Umbrella Academy.
Un team di personaggi accuratamente selezionati da bambini per diventare supereroi. E che ci ha provato (anche con successo) solo per scoprire che proprio non è il caso. Perché le grandi responsabilità di cui sopra non hanno alcuna intenzione di sopportarle. E, allora, meglio far dimenticare a tutti chi si era lasciandosi poteri e fama alle spalle e sparendo nell’anonimato o peggio. Tanto, se anche ci provassero a comportarsi ancora da eroi, nessuno li apprezzerebbe comunque. The Umbrella Academy finisce per essere il racconto di personaggi distinti costretti a stare insieme per forza nonostante non siano d’accordo quasi su niente. Salveranno il mondo non perché devono, ma come effetto collaterale del fare i propri interessi familiari.
Perché, signora mia, non ci sono più i supereroi di una volta.
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Supereroi non più: Jupiter’s Legacy e The Boys
E che non ci siano più lo confermano due serie che, in tempi e modi diversi, portano avanti il discorso che potremmo definire la decadenza dei supereroi. Ossia di come i proverbiali grandi poteri non siano più vissuti come forieri di grandi responsabilità, ma piuttosto di grandi opportunità. Non per fare il bene, però. Anzi, a volte proprio per l’opposta ragione.
Sebbene cronologicamente arrivata dopo, è Jupiter’s Legacy a compiere il primo passo su questa strada. La pachidermica lentezza della serie rende difficile notare come il suo centro tematico sia il diverso modo in cui i personaggi si rapportano al codice. L’insieme di regole imposte da Utopian (nome non casuale) sono volte a evitare che i grandi poteri divengano armi per ergersi al di sopra del resto dell’umanità. Supereroi concepiti, quindi, come difensori di strutture sociali e politiche decise dalla gente comune. Una visione, però, non solo fortemente contrastata dai villain della serie, ma anche messa in dubbio dagli stessi personaggi positivi. Perché troppo fallaci sono gli uomini comuni per non convincersi che aspettarsi il bene sia solo un’utopia. A cui contrapporre una nuova realtà dove l’umanità va ridotta ad un gregge di pecore che devono solo obbedire al volere illuminato di chi è destinato a esserle superiore.
Inevitabile che il passo successivo sia ribaltare completamente lo schema classico. Fare dei supereroi il vero nemico da sconfiggere. È quello che accade in The Boys.
Trasformati in divinità laiche con il loro stuolo di fedeli follower, i supereroi sono stavolta dei dipendenti di una multinazionale interessata solo a quanto può incassare dal merchandising e dai film, dalle campagne pubblicitarie e dagli accordi con il governo. Supereroi a cui interessa solo il proprio conto in banca ed essere al centro del circo mediatico. Disposti ad inventarsi nemici che non esistono solo perché questo permetterà loro di lucrare contratti più vantaggiosi. Superbi fino al punto di voler comandare su tutto e tutti perché non potrebbero accettare di non essere al vertice della piramide sociale. Pronti a trasformarsi in leader sovranisti e fascisti perché chi non è con loro deve essere eliminato in modo che nulla turbi il loro egoistico primeggiare.
Supereroi che di super hanno ormai solo il proprio ego.
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Il mondo dopo i supereroi: Watchmen
Supereroi di cui si può e si deve fare a meno, quindi. La cui esistenza andrebbe, se possibile, vietata. Proprio come è avvenuto nel mondo di Watchmen, la serie tv di Damon Lindelof che della graphic novel di Alan Moore è il sequel ideale. Poco importa che, in realtà, il Comico e Rorschach, Gufo Notturno e Ozymandias, Giustizia Incappucciata e Spettro di Seta non abbiano poteri soprannaturali. Quel che conta è il loro essere visti inizialmente come esseri al di sopra della media. Capaci di gesta negate all’uomo comune. Ma non per questo immuni da errori fatali. Quelli che hanno convinto il mondo che fare a meno di loro fosse la scelta più saggia.
Watchmen è allora un mondo fatto di conseguenze. Dell’esilio insopportabile di Ozymandias che non riesce ad accettare di non essere idolatrato per il bene che ha fatto senza che nessuno lo sappia. Di poliziotti incappucciati e detective mascherati che scimmiottano gli eroi di un tempo perché solo così possono essere credibili come tutori della legge. Funestato da milizie paramilitari razziste che hanno travisato l’integralismo onesto di un eroe con il volto coperto. Una società che ha rinunciato ai propri controllori perché non sapeva trovare risposta alla domanda di Giovenale (quis custodies ipsos custodes?), ma che si ritrova ora a scoprire di essere la peggior nemica di sé stessa.
In un mondo del genere, i supereroi non possono più esistere. Perché a fare il bene devono essere gli uomini. A combattere il male che può germogliare feroce anche da chi ha piantato semi carichi di speranza possono essere solo i figli di chi li ha innaffiati con acqua infetta. Non a caso l’unico vero supereroe di Watchmen, quel Dottor Manhattan dai poteri divini, sceglierà di essere umano. Fino alla fine, fino alla sconfitta. Per dimostrare che la sola cosa che un supereroe può fare è insegnare cosa significhi essere uomini.
C’è ancora spazio per i supereroi in tv dopo serie come queste? Forse, no. Probabilmente, si. Perché i supereroi (classici) sono morti; lunga vita ai supereroi (moderni).