
Star Wars – Gli Ultimi Jedi: la recensione del secondo film della nuova trilogia
Titolo: Star Wars – Gli Ultimi Jedi
Genere: fantascienza
Anno: 2017
Durata: 2h 32m
Regia: Rian Johnson
Sceneggiatura: Rian Johnson
Cast principale: Adam Driver, Daisy Ridley, Mark Hamill, Carrie Fisher, John Boyega , Oscar Isaac
Ma: congiunzione coordinativa con valore la maggior parte delle volte avversativo, ma spesso usata anche come rafforzativo o per indicare il passaggio ad un altro argomento. Una singola sillaba che inserita in una frase permette di arricchire il discorso tenendo insieme significati anche contrastanti e complementari al tempo stesso. Due sole lettere che tornano utilissime per giudicare Star Wars – Gli Ultimi Jedi.

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Lascia morire il passato
Ci si lamenta spesso ultimamente che i trailer siano troppo rivelatori. La smodata necessità di incuriosire lo spettatore ammaliandolo con il meglio che il film ha da offrire a livello visivo fa dimenticare a volte la regola fondamentale del divieto assoluto di spoiler. Non è questo il caso de Gli Ultimi Jedi i cui promo non svelano niente di una trama che riserva una sufficiente dose di colpi di scena inattesi per le risposte che danno ai quesiti che il capitolo precedente aveva lasciato insoluti e per il modo imprevedibile in cui quei misteri vengono risolti.
Ma (benedetta sia questa parola). Eppure in ogni video promozionale c’era quella frase ripetuta più volte il cui senso si rivela essere solo in parte quello che si poteva pronosticare: lascia morire il passato. A dirla è Kylo Ren che ancora più di Rey si erge a vero protagonista di questo secondo capitolo della nuova trilogia. A metterla, in pratica, però è Rian Johnson, regista e sceneggiatore di un film che fa il passo che J.J. Abrams non aveva avuto il coraggio o la volontà di portare avanti nel Risveglio della Forza. La creatura di George Lucas nasce nell’ormai lontanissimo 1977, mentre 32 sono gli anni che separano l’ultimo film del creatore della saga dall’inizio della terza trilogia. Fanno 40 anni in tutto. Sono tanti. Sono troppi. Perché in questi quattro decenni sono cambiate tante di quelle cose nel mondo del cinema che portare avanti lo stesso discorso negli stessi modi rischia di essere un vanaglorioso anacronismo.
E, quindi, arriva inevitabile il momento in cui bisogna appunto lasciare morire il passato. Fare quello che la voce di Adam Driver raccomandava: uccidilo se necessario. Ed è proprio questo che Gli Ultimi Jedi fa. Niente più Jedi contro Sith. Niente più villain a tutto tondo contro buoni senza se e senza ma. Niente più fantascienza anni Ottanta e toni magniloquenti. Non è più quel tempo e non è più quel tipo di cinema. Perché gli eroi solitari che, come nei romanzi cavallereschi, salvano gli indifesi in pericolo, hanno ormai i loro problemi personali e devono prima conoscere sé stessi per poter poi combattere per gli altri. Perché l’individualismo dei duelli con le spade laser (comunque presenti ma meno di quanto ci si potesse attendere) è oggi sostituito dalle spettacolari scene di massa in cui la tecnologia moderna degli effetti speciali può regalare emozioni per gli occhi che resteranno impresse anche dopo la visione. Perché anche la distinzione manichea tra vincere e perdere è venuta meno e una vittoria può anche essere scappare e una sconfitta può anche nascondersi dietro un apparente trionfo.
Se Il Risveglio della Forza era stato accusato di essere un fan film ad alto budget, Gli Ultimi Jedi potrebbe essere visto come un insulto blasfemo verso chi di Star Wars ha fatto una religione laica in cui credere quasi come una filosofia di vita. Una offesa che era tuttavia e purtroppo necessaria.

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Diventa ciò che devi
Gli Ultimi Jedi non ha un trailer rivelatore nel senso di svelare dettagli della trama, ma lo ha per quanto riguarda il senso della pellicola. Sta ancora tutto in quelle tre frasi pronunciate da Kylo la terza delle quali si chiude con un eloquente e significativo per diventare ciò che devi. È, infatti, questo il mantra che muove i passi di quelli che sono i tre veri protagonisti del film: Luke, Rey, Kylo.
Ha fatto scalpore la notizia che Mark Hamill, dopo aver letto il copione la prima volta, ha reagito in malo modo lamentandosi che quello non era Luke. Ed, in effetti, non ha torto. Il maestro jedi che vediamo sullo schermo non è l’indomito cavaliere che aveva sfidato un impero e soprattutto aveva creduto nella missione impossibile di risvegliare il bene sepolto dal lato oscuro della forza in Darth Vader. È piuttosto un uomo arrivato alla fine di un cammino rendendosi conto che, in realtà, tutto è ancora come credeva non potesse mai più essere. La Repubblica aveva sconfitto l’Impero; Luke aveva convertito Anakin; i sith erano scomparsi. E, invece, ora il Primo Ordine sta per sconfiggere definitivamente i ribelli della Repubblica; il lato oscuro della forza è più potente che mai in Snoke; Ben Solo non è diventato l’erede dei jedi, ma piuttosto il campione dei sith. Si sente in Luke un senso di fallimento e di paura (sentimento del tutto alieno al protagonista della prima trilogia) che lo ha portato a isolarsi, che lo porta a rifiutare il suo ruolo, che lo porterà al compimento ultimo del suo destino.
Inevitabilmente speculare a Luke è Rey il cui cammino è appena iniziato tra mille dubbi e una sola fondamentale paura: prendere la strada sbagliata. Perché se non conosci da dove vieni non potrai sapere dove devi andare. E anche sapere dove si vuole andare non basta ad essere sicuri di non perdersi lungo percorsi tenebrosi con troppe svolte possibili. La Rey che vediamo in questo Gli Ultimi Jedi non è la versione al femminile di un potenziale Luke come sembravano credere Han Solo e Maz Kanata nel Risveglio della Forza. Ed è, dopotutto, un bene perché questo permette di non essere ripetitivi ed emenda il film dal peccato originale del primo capitolo donandogli una vita giustamente autonoma. In questo senso anche la rivelazione attesa per due anni su chi fossero i genitori di Rey è quella giusta a prescindere da quanto possa essere o meno apprezzata da chi aveva formulato mille teorie diverse. Perché quello che questo film vuole dire è che Rey è soprattutto Rey. Non la figlia di, l’erede di, la nuova versione di, ma solo e unicamente Rey.
Come Kylo Ren è finalmente sé stesso. Non più un cosplayer riuscito male di Darth Vader. Non più il nipotino immaturo che vuole scimmiottare il mitologico nonno perché altrimenti nessuno lo rispetterebbe. Non più il primo della classe che gioca a fare il cattivo per farsi notare. Il personaggio interpretato da Adam Driver acquista uno spessore proprio compiendo gesti inattesi che rinnegano quanto Il Risveglio della Forza aveva mostrato per compiere un passo decisivo verso una propria indipendenza. Un cammino ancora da completare come il finale mostra chiaramente, ma sul quale Kylo si è avviato da solo tracciandone il percorso in totale autonomia. E pazienza, quindi, se il prezzo da pagare è deludere ancora chi per due anni si era scervellato per immaginare chi e quanto potente fosse Snoke.

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Dimenticare Guerre Stellari
Come si sarà abbondantemente capito da quanto scritto fin qui, Gli Ultimi Jedi si propone programmaticamente di seppellire il passato. E quindi il modo più sbagliato di giudicare questo film è ricordarsi di quel Star Wars che precede il titolo. Perché il film di Rian Johnson finisce per prendere quasi in giro quello che i fan italiani della prima ora continuano a chiamare nostalgicamente Guerre Stellari. Persone a cui risulterà indigesta soprattutto la smodata quantità di gag che costella questa pellicola. Non che l’ironia mancasse nella trilogia originale. Ma, se all’epoca era usata per caratterizzare un personaggio come Han Solo e stemperare qualche momento di pausa, stavolta diventa onnipresente spuntando anche nei momenti meno opportuni (persino durante battaglie spaziali adrenaliniche o prima di sacrifici commoventi).
Ne sono pervase soprattutto le trame parallele. In primis, quella che vede protagonisti Finn e la new entry Rose che fin dall’inizio vengono coinvolti in una missione che dovrebbe essere di vitale importanza, ma che diventa occasione per momenti nonsense e battute fuori luogo. O ancora Poe Dameron e il vice ammiraglio Holdo che dovrebbero incarnare due modi complementari di rapportarsi al concetto di Resistenza, ma che spesso finiscono in scontri verbali a chi fa la voce più grossa. Ne fa le spese ancora di più il generale Hux che diventa la vittima preferita di scherzi e prese in giro che sarebbero state impensabili con il vecchio Tarkin. Ma soprattutto questo atteggiamento finisce per togliere epicità al racconto tanto che anche quelli che dovrebbero esseri momenti epocali per gli eventi futuri vengono accolti dallo spettatore con compassato distacco invece che viva partecipazione.
Star Wars Gli Ultimi Jedi è, infine, visivamente affascinante, concettualmente interessante, potenzialmente importante. Soprattutto è il film di cui c’era bisogno per andare avanti e diventare ciò che la nuova trilogia vuole essere. Alla fine, comunque, la domanda resta una sola: ti è piaciuto? Si, ma …
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