
Spider – Man: Across the Spider – Verse: buoni maestri per ottimi allievi – Recensione del secondo capitolo dello Spider – Verse
Titolo: Spider – Man: Across the Spider – Verse
Genere: animazione, cinecomic
Anno: 2023
Durata: 2h 20m
Regia: Joachim Dos Santos, Kemp Powers, Justin K. Thompson
Sceneggiatura: Phil Lord, Christopher Miller, Dave Callaham
Invertiamo l’ordine dei fattori e cominciamo la recensione di Spider – Man: Across the Spider – Verse dalla fine. Da quello, cioè, che è il suo più grande difetto: gettarci in un disperato conto alla rovescia che ci condanna ad una interminabile attesa del terzo e ultimo capitolo della trilogia dello Spider – Verse. Difetto macroscopico che è, al tempo stesso, figlio di un pregio che pochissimi film, di animazione o meno, hanno: fare uscire lo spettatore dalla sala con il desiderio irrefrenabile di volerne ancora. E ancora e ancora e ancora. Tanto da pensare seriamente di rimettersi in coda per fare il biglietto e rivedere di nuovo immediatamente il film scritto da Phil Lord e Christopher Miller.
Insomma, lo si dovrebbe essere capito da questa intro anomala che chiama difetto quello che è un complimento mascherato. E lo fa perché veramente di difetti questo film non ne ha. E, quindi, diciamolo chiaramente: Spider – Man: Across the Spider – Verse è un capolavoro.


Genitori e maestri vs figli e allievi
Il precedente Spider – Man: Into the Spider – Verse era stata una sorpresa incredibile che aveva fatto gridare al miracolo. Un film di animazione riusciva a cogliere in pieno il senso più profondo del personaggio Spider – Man declinandolo nelle sue varie incarnazioni per mostrare cosa davvero significasse essere Spider – Man. Non era stata un’esagerazione dire che si trattava del miglior film dedicato all’iconico personaggio Marvel. Ancora più che per ogni sequel, la convinzione che non si potesse fare meglio del primo capitolo inevitabilmente c’era. Ed, invece, Spider – Man: Across the Spider – Verse riesce nell’impossibile: buttare giù dal podio il fratello maggiore per prendersi il primo posto. Miglior film di Spider – Man di sempre? Assolutamente, si. Anzi, si fa fatica a trovare un motivo per cui non debba essere considerato il miglior cinecomic di tutti i tempi.
Spider – Man: Across the Spider – Verse ha successo in questa mirabile impresa perché alla magnificenza tecnica e stilistica del primo capitolo aggiunge una trama che non è solo complessa e adrenalinica, ma intessuta di temi profondi e argomenti maturi. Un discorso che non può che partire dall’ormai proverbiale mantra “da grandi poteri grandi responsabilità” che da sempre accompagna le tribolazioni dell’Uomo Ragno. Una frase il cui significato e le cui conseguenze vanno a rendere il già difficile coming of age di due ragazzi dell’età di Miles e Gwen trasformandolo in un percorso con ostacoli che nessun loro coetaneo deve scansare. Una discussione che finisce per coinvolgere il rapporto tra genitori e figli e tra maestri e allievi sullo sfondo invadente di un ancora più feroce scontro tra il fato ineludibile e il libero arbitro.
Spider – Man: Across the Spider – Verse è una storia molto più universale di quella di due giovani supereroi che imparano un proprio modo di essere speciali. È piuttosto la storia di due ragazzi che scoprono che crescere significa andarsene dal nido senza lasciarlo. Di due allievi che devono rinnegare gli amati maestri perché non possono essere sé stessi se rimangono copie dei propri modelli.
Spider – Man: Across the Spider – Verse è Miles che reclama la sua indipendenza, ma capisce solo alla fine che scegliere autonomamente non significa fare il contrario di ciò che ti hanno insegnato solo per mostrare di saper fare in maniera diversa. È Gwen che si rende conto che non deve esserci per forza un conflitto perenne con il padre per spiegare la propria verità. È Miles e Gwen che trovano la forza di accettare che ci possa essere una risposta diversa da quella che ti hanno insegnato senza che ciò voglia dire che chi ti ha sempre detto altro stesse mentendo.
Spider – Man: Across the Spider – Verse è la sintesi di due tesi che solo per tradizione si considerano in antitesi. È la dimostrazione che ci sono figli che devono staccarsi dai genitori e allievi che devono superare i maestri. Ma quei legami resteranno per sempre anche quando si è cresciuti. Come figli e come allievi.


La meticolosa costruzione di un multiverso
Se poco sopra ci si è spinti fino a dire che Spider – Man: Across the Spider – Verse potrebbe ambire al titolo di miglior cinecomic, non è senza ragione. Perché, di ragioni, anzi ce ne sono a profusione. Partendo proprio dalla gestione del concetto di multiverso che non può che confrontarsi con il guazzabuglio incoerente che stanno facendo in casa Marvel o anche con il caos ordinato di Everywhere Everyone All at Once. Il film di Lord e Miller crea una propria interpretazione basata su regole che, per quanto ovviamente frutto di pura fantasia, hanno il pregio di essere chiare e consequenziali. Non sono artifici da adattare alle esigenze di una sceneggiatura in cerca di scorciatoie, ma strutture che reggono e danno motivazione alla trama e alle scelte dei personaggi.
Soprattutto, Spider – Man: Across the Spider – Verse si impegna a caratterizzare ognuno dei personaggi che porta in scena fosse anche solo per una singola comparsata. Gli innumerevoli easter – egg e le concessioni al fan service non sono, quindi, furbesche strizzatine d’occhio allo spettatore, ma fili colorati che si innescano armoniosamente in un artistico patchwork dalle mille tonalità. Una cura del dettaglio che diventa maestria quando si devono costruire i personaggi più importanti. Che siano ritorni attesi come Peter B. Parker o nuovi innesti come la Spider – Woman di Jessica Drew. Che abbiano il carattere frizzante di una ragazzina tecnologica come Spider – Byte, l’allegria contagiosa dello Spider – Man indiano, il ribelle atteggiamento iconoclasta di Spider – Punk.
Su tutti emerge, pur occupando un tempo inferiore a quanto si potesse pensare, lo Spider – Man 2099 di Miguel O’Hara che costringe lo spettatore a mettere in dubbio il concetto stesso di buoni e cattivi. Perché ogni Spider – Man sa di avere grandi responsabilità, ma è Miguel a mostrare cosa questo possa significare. Fino a dove si debba arrivare per non deviare dalla strada su cui il destino ti ha messo. Un eroe che si comporta da villain perché il bene superiore deve trionfare su quello personale. Sempre e comunque.
Spider – Man: Across the Spider – Verse non è solo un viaggio nelle infinite declinazioni di Spider -Man, ma è anche un andare oltre: un mostrare come essere i buoni possa anche significare accettare di essere visti come i cattivi.


Una gioiosa schizofrenia audiovisiva
A tanta ricchezza di contenuti corrisponde una strabordante meraviglia per gli occhi. Spider – Man: Across the Spider – Verse riprende la tecnica di animazione del primo film che ne ha marchiato inconfondibilmente lo stile facendogli vincere anche l’Oscar. La porta al massimo livello come a ricordare ai tanti che ne hanno preso spunto che l’originale sarà sempre capace di raggiungere vette più alte. Ma fa ancora di più. La necessità di differenziare i vari universi diventa un’opportunità per far convivere stili diversi nelle stesse scene. Di più: mezzi diversi perché ci sono anche brevi camei in live action o inserti ritagliati da pellicole del passato o incursioni in universi cinematografici differenti.
Al tempo stesso, la tecnica si mette al servizio dei personaggi diventando lo specchio delle loro personalità. L’acquerello prende il posto delle chine per ammorbidire le linee nel mondo di Gwen dove sono i sentimenti a farla da padrone. I colori esplodono vivaci nella Mumbhattan dello Spider – Man indiano, mentre assumono tonalità fluo quando è in scena la tecnologica Spider – Byte. Forme e linee si fanno ritagli ribelli come collage di manifestini ciclostilati per disegnare la figura ribelle di Spider – Punk.
Tutto concorre a costruire anche visivamente il personaggio in un processo in cui anche la forma è sostanza. Lo si vede bene con la Macchia. Esordisce con colori chiari e tratti scherzosi quando è ancora un avversario quasi comedy. Ma un nero oppressivo e linee aggrovigliate che cambiano forma in continuazione cominciano a dominare quando si trasforma in una minaccia incombente e spaventosa. Anche in questo sta l’unicità di Spider – Man: Across the Spider – Verse. Il villain non è l’avversario di ultimo livello che l’eroe deve sconfiggere per completare la missione. È egli stesso un essere in divenire che ha un proprio ciclo narrativo che lo rende interessante per sé stesso più che per essere la nemesi di Spider – Man.
Spider – Man: Across the Spider – Verse si arricchisce di una colonna sonora che non si limita ad essere un commento di sottofondo. Contribuisce, piuttosto, a reggere ciò che viene messo in scena. Colori e suoni, luci e musiche si sposano in una gioiosa schizofrenia che rende la visione del film una esperienza immersiva in cui perdersi è facile quanto desiderabile.
Un viaggio che termina persino troppo presto nonostante le due ore e venti di durata. Quando questo diventa un difetto può significare una sola cosa: si è visto un capolavoro.
Spider - Man: Across the Spider - Verse: la recensione
Regia e fotografia
Sceneggiatura
Coinvolgimento emotivo
Una gioiosa schizofrenia audiovisiva messa al servizio di un multiverso in cui a dominare sono temi profondi e argomenti maturi