
Sopravvissuto – The Martian: la recensione del nuovo film di Ridley Scott
Cercare un precedente ad un film di fantascienza e datarlo al 1719 è una decisione tanto insolita da far pensare ad una eccessiva licenza critica se non ad un mal riuscito scherzo. Eppure, il primo titolo che viene in mente dopo aver visto The Martian è proprio quello di un libro pubblicato in quell’anno da Daniel Defoe. Le avventure di Robinson Crusoe è ritenuto unanimemente il fondatore del romanzo d’avventura e la storia del naufrago su un’isola deserta che riesce col suo ingegno a sopravvivere per anni fino all’arrivo di insperati soccorsi è un classico moderno che ha ispirato e non ha ancora finito di ispirare scrittori e registi. A questa lunga generazione appartiene anche Andy Weir l’autore del romanzo omonimo da cui Ridley Scott ha tratto il presente film, quarta pellicola del genere sci – fi (dopo i capolavori Alien e Blade Runner e il deludente Prometheus) nel nutrito elenco di opere del regista britannico. Dal libro al film il passo è difficile (perché lunga è la lista di adattamenti fallimentari), ma spesso tanto breve che è inevitabile farlo. Ne è valsa la pena ? Si.
Perché The Martian è un film che potremmo definire elementare per la semplicità della storia, lo scorrere lineare degli eventi, la logica consequenzialità di azioni e reazioni, i personaggi dal carattere quasi stereotipato (scienziati capaci di inventarsi in pochi secondi soluzioni impensabili, nerd anticonformisti con l’idea risolutiva a cui nessuno aveva pensato prima, astronauti pronti al sacrificio, capitani coraggiosi, direttori preoccupati dell’impatto politico delle proprie scelte, folle in delirio davanti alla tv). Ma è un film che ha il pregio di dare allo spettatore quello che ad un film di questo genere chiede: due ore e venti di intrattenimento spensierato. Mark Watney, infatti, è idealmente fratello del Robinson Crusoe di Defoe come del Chuck Noland di Cast Away e con essi condivide lo stesso destino di naufrago solitario e poco importa da questo punto di vista che il personaggio di Matt Damon non sia ramingo su di un’isola deserta, ma a 225 milioni di chilometri da casa su un pianeta desolato. Ciò che davvero differenzia Mark dai suoi illustri predecessori è la deliberata assenza di ogni scoramento e la granitica certezza di riuscire laddove nessuno ha neanche mai pensato di dover provare. Mentre Robinson e Chuck devono prima affrontare lo sconforto iniziale del sapersi soli in condizioni drammaticamente avverse, a Mark basta il tempo di accendere un vlog per accettare con inimmaginabile ironia la sua improponibile sfida. E meno di una notte marziana è quella che serve per convincersi che i mesi o gli anni che dovrà affrontare saranno solo difficoltà complicatissime ma certamente non imbattibili da vivere quasi come passatempi insoliti nella lunga attesa di una rischiosa missione di salvataggio il cui arrivo viene dato per certo nonostante ogni lucida analisi suggerirebbe il contrario. Conseguenza di questo atteggiamento inguaribilmente ottimista è la leggerezza con cui Mark affronta ogni sfida preoccupandosi più per le scelte musicali del suo capitano e per i selfie da inviare a casa che per le esplosioni impreviste e le incredibili istruzioni ricevute fino ad arrivare persino a scherzare anche in quello che dovrebbe essere il momento più drammatico dell’intera pellicola. La tensione cala quindi rapidamente e volutamente permettendo allo spettatore di rilassarsi e godersi le affascinanti immagini che magistralmente si alternano sul grande schermo.
I debiti innegabili verso il romanzo di Defoe e il film con Tom Hanks e il fidato amico/pallone Wilson sono troppo evidenti per non essere citati, ma non devono far dimenticare che The Martian resta comunque un film di fantascienza che richiama Apollo 13 nel suo alternarsi di problemi nello spazio e soluzioni ideate da Terra e messe in pratica pur con qualche ironico scetticismo. Ma soprattutto è ad altri due lavori più recenti che il film di Ridley Scott si avvicina confermando una tendenza ormai chiara nel rinnovare i consolidati canoni di questo genere. Come in Gravity di Cuaron e in Interstellar di Nolan, lo spazio lontano diventa un fondale su cui costruire una storia fatta di persone che sono principalmente esseri umani spinti al limite. Niente più alieni né come pericolosi mostri invasori né come cucciolosi improbabili compagni di gioco. E niente eroiche missioni per salvare la Terra tra meteoriti da deviare o comete da trivellare. Solo ed esclusivamente l’uomo con le sue insicurezze, le sue capacità, il suo desiderio di tornare a casa, il coraggio del sacrificio, il ricordo di chi è rimasto sul nostro pianeta, l’intelligenza da mettere al servizio dell’impensabile. In questo Mark Watney si aggiunge alla dottoressa Ryan Stone interpretata da Sandra Bullock e al pilota Cooper di Matthew McCoughaney che possono quasi essere visti come genitori di questo ragazzone americano che ha imparato da loro a non arrendersi, ma è ancora troppo giovane per sentire il peso dei loro tormenti.
The Martian alla fine potrebbe quasi definirsi nulla più che un blockbuster ben confezionato, ben diretto, ben sceneggiato e ben interpretato da attori che mostrano di credere ai loro ruoli (e Matt Damon, al suo secondo naufragio cosmico dopo Interstellar, riesce a reggere il peso del film quasi interamente da solo). Ma quando un film merita tante volte la parola ben in una recensione il giudizio finale non può che essere nettamente positivo.
Visitor Rating: 5 Stars
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