
Snowden: la recensione del film di Oliver Stone a RFF11
Titolo: Snowden
Genere: biopic
Anno: 2016
Regia: Oliver Stone
Sceneggiatura: Kieran Fitzgerald, Oliver Stone, Anatoly Kucherena, Luke Harding
Cast: Joseph Gordon Levitt, Shailene Woodley, Zachary Quinto, Melissa Leo, Rhys Infans, Nicolas Cage
Avviso ai naviganti: questa non è solo una recensione di Snowden, ultimo lavoro di Oliver Stone presentato alla Festa del Cinema di Roma nella selezione ufficiale, maa è piuttosto una scusa per domandarsi quanto un biopic, genere che ultimamente riscuote piuttosto successo in quel di Hollywood (ma qui le major USA non c’entrano nulla non avendo partecipato minimamente alla produzione), possa considerarsi cinema e non un prodotto confezionato ad arte per raggiungere un determinato scopo prefissato.
Questa premessa nasce dalla storia stessa di questa opera. Pochi mesi dopo che Edward Snowden aveva richiesto asilo in Russia, il suo avvocato ha contattato il regista americano chiedendogli di fare un film sulla vicenda. Da quella richiesta e dai nove incontri tra Snowden e Stone nasce questo film, alla cui forma finale si è arrivati dopo difficoltà varie nel reperire i fondi per la realizzazione e la distribuzione, ma anche dopo revisioni concordate con l’entourage dell’ex agente della NSA. Questo percorso rende legittimo il sospetto che il risultato finale sia un film del tutto monocromatico, da cui la figura del committente ne esca magnificata a prescindere, senza che una qualsiasi ombra vada ad offuscarne la gloria imperitura.
Ed è proprio questo quello che succede nelle poco più di due ore messe in scena da questo biopic che ripercorre gli anni cruciali della vicenda che ha interessato Snowden, dal congedo dai corpi speciali per problemi fisici alla rapida ascesa nei servizi di intelligence (CIA e NSA), prima come dipendente poi contractor esterno, fino alla decisione di svelare tutto alla stampa scoperchiando il calderone purulento delle intercettazioni di massa.
A questo Snowden pubblico le cui gesta tutti conoscono, Stone ne affianca uno privato, mostrando la storia d’amore con l’eterna fidanzata Lindsay Mills, ma anche in questo rapporto il giovane agente appare sempre attento a che la sua donna possa vivere nella beata innocenza di giornate passate a far nulla, che tanto ci pensa Ed a tutto fosse anche cucinare un piatto di pasta. E se qualcosa va male, lei comunque resta saldamente al suo fianco, rendendolo più umano e meno robotico. Il risultato è uno di quei rari casi in cui il totale è più della somma delle parti, perché il film finisce di essere una biografia di anni cruciali per diventare una celebrazione estatica del suo protagonista.
Inevitabile a questo punto chiedersi se stiamo ancora parlando di cinema. Indubbiamente, la carriera di Oliver Stone testimonia che questo è il cinema che gli piace. Schierarsi sempre dalla parte meno popolare e più attenta alla critica sociale e politica, e fare delle sue opere l’occasione per offrire uno sguardo indagatore diverso su eventi importanti e controversi della storia americana è sempre stata la pietra fondante di tutti i suoi lavori (e quando ha provato a fare altro il risultato è stato spesso fallimentare, vedi il tremendo Alexander).
Era solo questione di tempo, quindi, prima che le strade del regista e di Snowden si incontrassero come due calamite che non possono fare a meno di essere attratte reciprocamente. Ma una cosa è denunciare e indagare, altra annunciare e celebrare. Il forte coinvolgimento dell’entourage di Snowden nella realizzazione di quest’opera giustifica la domanda precedente. È ancora cinema quello che prende una storia recente molto nota e la ripropone uguale senza chiedersi se si potesse guardarla in modo diverso? Non è invece un servizio pro domo sua reso a chi questo film ha sollecitato?
Ruoli essenzialmente di contorno spettano a Zachary Quinto e Melissa Leo che interpretano i giornalisti a cui Snowden consegna il materiale secretato, mentre emergono maggiormente Rhys Infans nel ruolo mellifluo del mentore di Ed e Nicolas Cage, agente sfiduciato che ammira da subito la bravura della giovane recluta. Entrambi sono al centro di una regia che non si perde in orpelli superflui facendo spesso ricorso a filmati di repertorio e animazioni illustrative. Soprattutto, il film si lascia seguire con scioltezza nonostante le due ore abbondanti grazie ad un ritmo veloce ed ad una trama che non è altro che una spy story dove a essere spiato non è il nemico, ma l’amico.
Snowden piacerà probabilmente al pubblico ingordo di eroi senza se e senza ma, a quelli che ammirano l’innegabile coraggio del protagonista, a chi vuole sentirsi ripetere una storia già nota ma approfondendo i dietro le quinte. Ma chi scrive non riesce a togliersi dalla testa quella domanda sul sottile limite tra biopic e fan service.