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Sneaky Pete: recensione dell’episodio 1.01 – Pilot

“You’re a con man.” Yes, I’m a confidence man, I give people confidence, they give me their money.”

In queste due parole Marius (Giovanni Ribisi), il protagonista riassume, nell’episodio d’esordio di Sneaky Pete, il senso di anni e anni di poco esemplare modo d’agire: è un truffatore che si approfitta della credulità di chi gli dà confidenza e la sfrutta per suo tornaconto.

Il con-man è una figura ricorrente e forse abusata tanto nel cinema (American Hustle e Confidence) quanto nelle serie tv. In queste ultime però il carattere negativo dell’anti-eroe è molto più spesso che nelle prime rabbonito in figure sfaccettate e problematiche (chi non ricorda il Saywer di Lost?) se non del tutto riconvertite al bene (il Neal Caffrey di White Collar e Patrick Jane in The Mentalist tanto per dirne due).  Anche Marius in quel give confidence sembra involontariamente alludere a un recondito desiderio di rapporti autentici, a quell’affetto intimo che la sua storia di abbandono e sfruttamento e la drammaticità di una infanzia senza punti di riferimento gli hanno negato.

Guai però a solidarizzare subito con lui: Marius è un manipolatore, capace di sfruttare perfino i suoi –tristi e reali– ricordi di infanzia per estorcere a Pete, l’ingenuo compagno di cella che si dilunga nei suoi idilliaci racconti di gioventù, l’indirizzo della casa dei nonni (che Pete non vede da vent’anni) impegnati, questi, nel proficuo campo degli investimenti. Un debito pregresso con il villain Vince (un sempre brillante, nel suo piccolo, Bryan Cranston) e la scarcerazione mettono in moto gli eventi: Marius diventa Pete e i nonni un apparente, facile obiettivo di profitto.
L’abilità di Fake-Pete –concedetemi questo epiteto– e le sue tecniche di truffa emergono chiaramente già da questo primo episodio: l’attenzione per i dettagli lo rende simile a un mentalista, capace di accumulare informazioni e sfruttarle adeguatamente. L’autista del bus carcerario ne è la seconda, incolpevole vittima: l’affetto dell’uomo per suo padre, esplicato da una foto tenuta appesa sullo specchietto retrovisore, diventa mezzo per far leva, ancora una volta, sulla compassione che Marius è maestro nel suscitare. Risultato: autista gabbato e scagnozzi di Vince a bocca asciutta.

Senz’altro nel corso della serie si avrà modo di trattare più ampiamente la psicologia di Marius e queste sue capacità, quasi certamente legate alla situazione d’indigenza vissuta fin dall’infanzia. È evidente che la necessità di occuparsi fin dalla tenera età, come emerge nella scena finale, di sé stesso e del fratello abbia avuto un peso determinante nelle future scelte e lo abbia indotto a sviluppare una capacità di furba manipolazione dei sentimenti di compassione per esigenze di sopravvivenza: privo della tutela genitoriale, costretto a confrontarsi con un mondo ostile, l’indotta commiserazione diviene mezzo per ottenere il poco da vivere. Di qui, di necessità virtù.

L’arrivo alla casa dei nonni è quasi parallelamente introdotto dalla diffidenza della vecchia matriarca, che come ricorda Pete stesso “She didn’t take nothing from nobody”. E l’offerta della limonata, odiosa al vero Pete, ma non a Marius, è forse già da ora un furbo espediente per appurarne la reale identità. La scena è anche l’occasione per presentare un’altra tecnica utilizzata da Marius per fugare i dubbi sulla sua persona: le informazioni immagazzinate dai racconti del suo compagno di cella volgono a vantaggio per lasciarsi andare a un naturalissimo “Wasn’t there an apple tree out there?”, come se conoscesse a menadito la proprietà dei due anziani. E conclude, attingendo nuovamente alle memorie di Pete con un “Well, where do you build your treehouses now, Grandpa?”. Questi non sono semplici riempitivi di conversazione, ma vanno nella direzione di rendere quanto più credibile possibile la sua identificazione con Pete.

Le dinamiche familiari e i personaggi che faranno contorno più o meno continuativamente nello show sono introdotti da un pranzo organizzato per festeggiare il ritorno del nipote. Emergono qui i tre componenti che saranno più direttamente coinvolti nella trama verticale dell’episodio: la bella Julia (Marin Ireland), cugina più giovane di Pete e candidata unica come sua spalla per l’interezza della serie, la giovane e smaliziata Carly (Libe Barer) e il poliziotto Taylor.

In questa circostanza si chiarisce ben presto come i propositi di Marius andranno a farsi benedire: la ditta di famiglia non si occupa di bond business ma di bail bonds business. Come ci aiuta a capire Otto: “In your 10-year-old mind, we’re this rich family in the bond business, aren’t we? We’re in the bail bonds business”, cioè recupero crediti. “And we’re so not rich” come si affretta ad aggiungere Carly.

E allora il più esperto di finanza sembra essere paradossalmente Fake-Pete che capito l’andazzo confida al fratello: “I can stay here, though. The resource potential is slimmer than I thought, and the risks are higher”, calcolando i rischi d’investimento come un broker newyorkese. Un altro elemento, questo, che comprova la “professionalità” del nostro furbo protagonista nel valutare i vantaggi prima di mettere in atto le sue imprese da con-man.

La trama verticale prende le mosse dall’imprudente e ingenua Julia (tutto l’opposta dell’accorta nonna) che deve recuperare ventimila dollari versati avventatamente per la cauzione di quello che si rivela essere molto più che un semplice evasore fiscale.

Le doti di Fake-Pete si dimostreranno, ovviamente, decisive per la buona risoluzione della questione e rappresenteranno uno degli elementi più riusciti di una trama tutto sommato discreta. Da vero profiler Pete ricostruisce la psicologia del ricercato (nel suo affetto per la madre ad esempio e nelle mosse che avrebbe condotto) come pure, più rapidamente, nel giro di appena una scena o poco più, dell’intraprendente Carly per convincerla a prender parte all’intreccio (“Okay, well, one, your sister doesn’t rat you out for being a thief. Two, you get to do something for your family, which you’re going to pretend you don’t care about, and three, most importantly, it’s not going to be boring”).

La trama ci restituisce un Marius/Pete già in evoluzione in questo primissimo episodio: dall’ “He’s a coward” pronunciato con disprezzo rassegnato da Julia placcata dallo stesso Pete che, temendo per la sua vita, lascia così fuggire il criminale fino alla complice occhiata d’intesa tra i due a fine episodio.

A conti fatti Sneaky Pete ci offre un buon intrattenimento, perfino con apici di ilarità e una seria interpretazione recitativa (Ribisi in Pete/Marius e Libe Barer in Carly su tutti, senza dimenticare l’ormai epifanica forza scenica di Bryan Cranston a cui bastano due inquadrature per metterci del suo).

La vera pecca della serie è che, a ben vedere, la trama orizzontale è già bella che pronta: la nonna che già subodora aria di truffa come chiarisce piuttosto esplicitamente il finale di episodio è facile immaginare che a fine stagione scoprirà l’identità di Fake-Pete, Julia subirà il contraccolpo alla luce di un sentimento che andrà maturando tra lei e il buon Marius (e di cui qualche avvisaglia si è potuta registrare già in questo pilot) e il nemico Vince riuscirà a rintracciare il suo debitore. Il tutto ovviamente destinato a sciogliersi positivamente con una sconfitta dei “cattivi”, un finale di redenzione per Pete/Marius e uno scontatissimo happy ending (magari suggellato da un matrimonio e un’accoglienza di Marius nella famiglia). Tutto a livello ipotetico, certo, ma ad un occhio neanche troppo attento tutto già predisposto in questa direzione.

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