
Silo: il bene per tutti a costo della verità per pochi – Recensione della serie di AppleTv+ con Rebecca Ferguson e Tim Robbins
Come spesso accade nelle storie ambientate in un futuro distopico, anche in Silo a confrontarsi sono due ideali che le condizioni al contorno hanno reso antinomici.
Cosa è più importante? Che la verità venga rivelata a tutti dai pochi che si battono per scoprirla o che la vita di tutti prosegua in una rassicurante cappa di indispensabili bugie? Se la sopravvivenza della comunità si basa su un rigido sistema di regole, quanto è pericoloso rivelare che queste stesse regole non hanno un fondamento chiaro? Che ci sono persone che a quelle regole si sottraggono arrogandosi il diritto di scegliere quale è il bene comune?
Silo ci prova a rispondere a queste domande. Se non lo fa, è perché punta ad una seconda stagione. Ma anche perché arriva a porle quando è quasi troppo tardi.


Una distopia sotterranea
Diecimila persone, non una di meno, non una di più. Centoquaranta piani che si avvitano in profondità finendo in una grotta artificiale la cui esistenza è tenuta nascosta. Una società rigidamente organizzata con le proprie tradizioni e i propri riti para – religiosi. Soprattutto, il mistero su chi abbia costruito la struttura e quando e perché. Con l’unica certezza che uscire è possibile, ma è anche la punizione estrema. Perché chi esce è destinato a morire dopo pochi passi e dopo aver magari pulito la lente che permette di guardare l’esterno. Tutto questo è Silo, la serie creata da Graham Yost per AppleTv+ adattando, molto liberamente, la Trilogia del Silo formata da nove romanzi raccolti in tre libri ad opera di Hugh Howey.
Di scenari post – apocalittici è piena la fantascienza e non fanno eccezione le serie tv. Tuttavia, Silo riesce ad essere originale per l’idea di spostare l’arca della salvezza non nell’alto dei cieli spaziali, ma nelle viscere della terra. Non che questa idea sia completamente originale, anzi. Ma Silo costruisce in questo spazio chiuso una società con regole chiare e ruoli ben definiti all’interno di un sistema che, pur nella sua durezza draconiana, è perfettamente motivato. Le relazioni di coppia, ad esempio, devono essere autorizzate, ma possono essere tollerate se non mirano ad avere figli. Diventare genitori è, infatti, possibile solo se si viene scelti all’insegna di un rigoroso controllo delle nascite indispensabile in un sistema che non può espandersi per reggere un incremento demografico.


Ognuno ha un compito da svolgere in Silo, ma sopratutto ognuno deve poter essere sostituito. Da qui l’invenzione dell’ombra ossia di una persona che impari perfettamente il lavoro di un altro seguendolo, appunto, come un’ombra. Soprattutto, è insolito in Silo il rapporto con la tecnologia. Che è presente e avanzata se si tratta di controllo delle nascite, riciclo dei materiali, coltivazione dei campi, sorveglianza poliziesca, archiviazione informatica. Ma è rifiutata e considerata un crimine quando cerca di capire qualcosa sul perché l’umanità superstite vive nel silo e cosa c’è al di fuori oltre quella collinetta brulla con un albero spoglio che si vede proiettata sullo schermo in sala mensa.
Silo si iscrive alla lunga lista di serie tv sci – fi post – apocalittiche, ma lo fa spostandosi in un ambiente limitato in cui costruisce un mondo dalle regole inusuali.
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Verità o necessità
Dice il proverbio: meglio soli che male accompagnati. E, a tratti, si potrebbe quasi condensare in questa frase la trama di Silo. Sarebbe sicuramente d’accordo il neo sceriffo del silo Juliette Nichols, eletta a sorpresa per sostituire il precedente sceriffo Holston che ha deciso di uscire. Juliette appartiene, però, al piano più basso dove risiedono meccanici ed operai. Quelli alti sono, invece, riservati alle figure dirigenziali quali il sindaco, la polizia, gli informatici e gli invadenti giudiziali (sorta di agenti segreti al servizio del giudice unico). La rigida divisone di ruoli dovrebbe garantire almeno una quieta convivenza. Ed, invece, non mancano complotti e organizzazioni segrete per accaparrarsi il potere nascondendo scomode verità.
Da questo punto di vista, Silo prende rapidamente la via di un misto tra una detective story tradizionale e un thriller politico dove fazioni diverse si scontrano dietro le quinte. Trama che regge abbastanza bene grazie anche all’equilibrio tra l’irruenza passionale di Juliette e la calma razionale del suo vice Paul Billings. Giocare il ruolo del villain spetta allo spietato Robert Sims, capo dei giudiziali, la cui durezza è però intelligentemente ammorbidita dall’amore per il figlio impedendo così che il personaggio risulti monodimensionale. Tim Robbins si vede relativamente poco, ma il suo Bernard è il motore immobile della serie. Funziona bene anche tutta la coorte di personaggi secondari che intervengono quando necessario.
Agli autori di Silo va dato il merito di aver saputo evolvere la trama passando da quella che era una indagine per vendicare una persona amata in un conflitto tra due fazioni che sono divise da un diverso ordine di priorità. Juliette e il gruppo che a lei fa riferimento sono alla ricerca della verità. Su un omicidio prima, sulla storia del silo poi. Credono che nessuna società possa basarsi su un articolato sistema di menzogne e che conoscere il passato sia l’unico modo di vivere il presente per costruire il futuro.
Al contrario, Sims prima e ancora di più Bernard credono che l’equilibrio sia così instabile che ogni crepa nel sistema mini la sopravvivenza del silo. A questo principio sono disposti a sacrificare anche le vite altrui perché il bene comune non si ottiene senza alcun costo. Che siano poi loro a decidere quale sia il bene comune è il tratto distintivo di ogni distopia.
Silo inizia come una storia privata e cresce fino a diventare una disputa morale combattuta senza risparmiare colpi sotto la cintola.
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Una serie discontinua con un ottimo cast
Il problema di Silo è che questa mutazione avviene in maniera troppo discontinua. La serie ingrana veramente solo quando è Juliette a prendersi il ruolo da protagonista che le spettava fin dall’inizio. Questo avviene, però, solo nel terzo episodio su dieci totali. Un po’ tardi considerato che poi ci vuole altro tempo per costruire i rapporti tra le pedine sullo scacchiere e delineare dove la storia vuole andare. Per questo motivo, la serie si trova poi costretta ad accelerare per arrivare ai punti di svolta che sono troppo repentini. Difetti che vengono pagati nel finale di stagione dove la carne messa sulla fiamma è così tanta che si rischia di ingozzarsi dopo essere rimasti a dieta negli episodi precedenti.
E, tuttavia, proprio il finale è talmente coinvolgente che è impossibile non aspettare con impazienza la seconda stagione, già confermata da AppleTV+. Merito anche del buon lavoro di tutto il cast su cui emergono sicuramente Rebecca Ferguson, Common e Tim Robbins. L’attrice svedese, che vedremo a breve in Dune 2, sa dosare bene durezza e dolcezza regalandoci una Juliette la cui determinazione nasce dall’affetto per i suoi amici. Il rapper americano Common può sembrare monocorde nel suo avere sempre lo stesso cipiglio severo, ma le scene di Sims con il figlio dimostrano che questa è una caratteristica del personaggio e non una incapacità dell’interprete. Quasi superfluo sottolineare la bravura di Tim Robbins a cui tocca il personaggio più enigmatico. L’espressività dell’esperto attore californiano è ideale per interpretare lo sfaccettato e camaleontico Bernard rendendo difficile capire il suo schieramento fino alla fine.
Silo è lontana dall’essere la serie sci – fi perfetta che forse aspirava ad essere. La prima stagione ha tuttavia dimostrato che gli ingredienti ci sono tutti. Se nella seconda stagione gli autori avranno imparato a cuocerli con i tempi giusti, Silo potrebbe diventare almeno la serie di cui avevamo bisogno.
Silo: la recensione
Giudizio Complessivo
Una serie con un buon potenziale e un ottimo cast che deve trovare il ritmo giusto