
Russian Doll: quanto è difficile ricominciare. Recensione della serie tv Netflix con Natasha Lyonne
Il calendario era quello del 1993 quando in sala arrivava il divertente Ricomincio da capo con Bill Murray.
Eppure ventisei anni dopo l’idea, allora originale, di uno o più personaggi bloccati in un loop temporale sembra più viva che mai. Ultimi ad aver affrontato il tema, in ordine di tempo, i due teen thriller Prima di domani e Auguri per la tua morte (il cui sequel debutterà a breve). Ultimissimo ad aggiungersi a questa lista arriva anche Netflix con Russian Doll. Solo un altro nome in fondo all’elenco?
Come prima più di prima
Fortunatamente, no. Perché la serie tv scritta da un team tutto femminile (Natasha Lyonne, Amy Pohler, Leslye Headland) parte dalla stessa rodata premessa per poi allontanarsene in modo deciso. Sia a livello pratico che contenutistico.
Niente ripetersi uguale della stessa giornata, al punto che anche la durata di ogni loop può essere diversa (da poche scene a più di un giorno). Niente scene identiche a parte l’incipit davanti allo specchio del bagno. Alcuni personaggi sono presenti in ogni ripetizione, ma altri se ne possono aggiungere, modificando lo svolgersi degli eventi indirizzando il ciclo successivo.
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A rendere Russian Doll ulteriormente diverso è anche il raddoppiare il numero di vittime della bizzarra maledizione temporale. Sono, infatti, due i protagonisti capaci di accorgersi di essere incastrati su una ruota che ritorna allo stesso punto. È proprio questo elemento a permettere alla serie tv di inserire nuove dinamiche in un gioco a due, che rende più frizzante e mai ripetitiva l’esperienza che Nadia e Alan sono costretti a rivivere in continuazione. Ed è il loro reciproco aiutarsi a permettergli di aprire la porta che li fa uscire dalla prigione del tempo.
Russian Doll rende allora omaggio al film del 1993, mostrandosi non una copia di una idea fortunata, ma piuttosto un’interpretazione – come il titolo italiano della commedia recitava. Perché ciò a cui Nadia e Alan sono condannati è doversi guardare allo specchio e dirsi ogni volta ”ricomincio da capo”.
By trial and error
Rubando una espressione alla letteratura scientifica, si può dire che quello dei protagonisti di Russian Doll è un procedere by trial and error (provando e sbagliando). Resisi conto dell’insolita situazione, sia Nadia che Alan sono costretti a confrontarsi con l’ovvia domanda: perché? Ed è la diversa risposta che i due personaggi si danno a renderli così diversi e complementari.
Per Nadia, infatti, non c’è un vero perché. Il cinismo mai cattivo e il sarcasmo pungente, verso gli altri e sé stessa, le impediscono di trovare un senso a quello che sta accadendo. Che ci sia una lezione in quel morire ripetutamente per trovarsi di fronte allo stesso specchio è un qualcosa che non può accettare.
Non perché sia convinta di essere immune da colpe o esente da critiche. Ma semplicemente perché nella sua filosofia sbagliare ed essere criticati fa parte del gioco. È la vita stessa a costringerti ad essere imperfetto e a niente serve, quindi, sforzarsi di non commettere errori perché il destino ci porterà sempre farne di nuovi.
Trovare una strada giusta tra mille sbagliate
Modo di pensare diametralmente opposto a quello di Alan, per il quale l’incantesimo maligno che lo blocca è una condanna innegabilmente meritata. Per quale colpa non è chiaro né a lui né allo spettatore. Ma quel che importa è che per lui non può che essere così.
Le sue mille vite diventano allora un continuo tentare di capire dove ha sbagliato e come emendare il peccato imperdonabile che sta espiando. Anche se questo peccato non esiste. E sono gli altri intorno a lui ad essere piuttosto colpevoli nei suoi confronti.
Pur così profondamente diversi, Nadia e Alan sono tuttavia uniti dallo stesso problema. Che non è ricominciare da capo ogni giornata. Ma proprio essere incapaci di farlo. Dover capire che erano già bloccati nelle loro vite sempre uguali. Nel dover essere nichilista e strafottente ad ogni costo anche quando potrebbe e dovrebbe donarsi agli altri. Nel dover essere perfetto e comprensivo, sempre e comunque, anche quando questo significa far vincere un’ingiustizia.
Russian Doll è allora la storia di chi deve sbagliare e riprovare più e più volte fino a che non trova la strada giusta tra mille vie senza uscita.
Una serie tv a matrioska
Russian Doll è un titolo strano il cui significato si comprende solo man mano che gli otto brevi episodi si dipanano sullo schermo. Proprio come le iconiche bambole russe, la serie è, infatti, un contenitore di tante copie identiche di sé stesse. Generi diversi che si alternano in un’unica armonia.
Ci sono i toni acidi dell’umorismo tagliente di Nadia. La commedia quasi slapstick delle diverse morti ridicolmente uguali a sé stessa e del terrore delle scale. La presa in giro di una società sofisticata e un po’ posh, rappresentata da Maxine e Lizzy.
Ma anche la quasi fantascienza delle linee temporali parallele. Fino al thriller a tinte scure del passato, che ritorna come fantasma. Senza dimenticare il romanticismo delicato di Alan e delle sue pene d’amor perduto. Fiori di colori diversi che si uniscono in una composizione multicolore dai mille profumi diversi.
Funzionano altrettanto bene le prove attoriali di un cast variopinto, che interpreta con convinzione un caleidoscopio di personaggi differenti. Più di tutti risultano convincenti Charlie Barnett e Natasha Lyonne. È in particolare sull’attrice newyorchese che si appoggia Russian Doll. Ed è a lei che si può attribuire gran parte del successo della serie. Rendere credibile e non caricaturale un personaggio a tratti estremo come Nadia è la scommessa vinta.
Russian Doll dimostra quanto anche un’idea abusata possa ancora essere nuova. Basta saper ricominciare da capo.