Cast principale: Yalitza Aparicio, Marina de Tavira, Diego Cortina Autrey, Carlos Peralta, Marco Graf, Daniela Demesa, Nancy Garcia Garcia
Alfonso Cuaron si è imposto all’attenzione della critica con Y tu mama tambien guadagnandosi una nomination agli Oscar per la migliore sceneggiatura. Ha dato un’anima autoriale alla saga di Harry Potter dirigendone il terzo capitolo. Ha vinto due Oscar (miglior regista e miglior montaggio) per Gravity. Un curriculum tanto prestigioso che ogni suo film è atteso con meritata trepidazione da chiunque ami la settima arte. Ma Alfonso Cuaron ha anche cinquantasette anni. Un’età in cui è inevitabile guardarsi indietro. E raccontare agli altri quello che vedi. Questo è Roma.
La forza del ricordo
Nato a Città del Messico nel 1961, il maestro messicano è cresciuto nel quartiere Colonia Roma (da cui prende il titolo il film) abitato dalla borghesia medio alta. Ed è a questa classe agiata ma non troppo che appartiene la famiglia protagonista di Roma: i quattro bambini rumorosi e viziati quanto basta (Paco, Toño, Sofi e Pepe), l’anziana nonna Teresa, i genitori distratti dai propri problemi di coppia Sofia e Antonio, le due domestiche Adela e soprattutto Cleo. Una famiglia allargata la cui quotidianità dapprima serena, poi sempre più emotivamente difficile, scorre sullo schermo in primo piano, mentre sullo sfondo si dipana la vita di un Messico che si agita tra povertà e ricchezza, marce militari e rivolte studentesche, baracche fangose e cantieri aperti.
Una famiglia e un tempo che sono quelli del Cuaron bambino che quegli anni ha vissuto e ricorda. Più che chiedersi quanto ci sia di autobiografico (e non è comunque poco) in Roma, quel che davvero conta è sottolineare quanto questa identificazione dia sostanza all’opera facendo di quelle che sembrerebbero fredde scelte stilistiche le conseguenze passionali di necessità sentimentali.
Così la fotografia cristallina riesce a fare di uno stiloso bianco e nero un pennello sapiente con cui colorare immagini perse nella memoria distante. I campi lunghi e i piani sequenza non sono più solo meraviglie registiche ma il modo migliore per trascinare lo spettatore estasiato nei luoghi del ricordo come se fosse lì presente anche lui in quel preciso momento. La maniacale ricostruzione degli oggetti e degli ambienti smette di essere un vezzo produttivo per diventare invece una esigenza personale. L’indugiare a lungo della telecamera su particolari minimi (come l’insegna della via, il numero civico, le piastrelle del pavimento, l’auto che entra nel vialetto di casa) è lo sguardo immobile di chi non si stanca di guardare ciò che in passato era il suo presente.
Interessanti sono poi le lunghe riprese di pellicole proiettate nei cinema di allora mostrano la genesi delle opere del regista di oggi. Su tutte la scena di Abbandonati nello spazio riprodotta in modo quasi identico da Cuaron in Gravity.Tre uomini in barca ricorda invece quanto il cinema possa essere un diversivo per chi ha poco altro con cui distrarsi.
Roma mette la potenza scenica del cinema al servizio di una causa privata rendendola in questo modo universale. Ricordare per raccontare.
La forza delle donne
Se il ricordo è l’humus che fa germogliare Roma, sono le donne del suo passato i fiori che profumano il film di Cuaron. Donne apparentemente diverse e socialmente distanti. Eppure innegabilmente unite e profondamente simili. Sono Cleo e Sofia le protagoniste di questo omaggio all’universo femminile da parte di un regista che ha sempre avuto un’attenzione particolare alla forza del gentil sesso per mostrare quanto fallace sia questa banale definizione (e non a caso era una donna la figura centrale in Gravity).
Su tutte spicca non solo per minutaggio proprio la Cleo dell’esordiente Yalitza Aparicio. Una donna dal fisico minuto e di poche parole che svolge con convinta dedizione gli infiniti compiti che il suo umile lavoro comporta e che la camera ci mostra con abbondanza di particolari. Una precisione puntigliosa che si rivela lentamente essere non una semplice attenzione professionale, ma il frutto spontaneo dell’essere più che una domestica, ma piuttosto una seconda madre per i ragazzi, una nipote per l’anziana matriarca, una sorella minore per la padrona di casa. Soprattutto Cleo rappresenta la forza silenziosa di chi accetta il suo destino quale esso sia e non smette di esserci per se e per gli altri anche quando cocenti delusioni e tradimenti inattesi vengono a sferzare ferocemente una volontà indomita.
È questo non arrendersi che accomuna Cleo alla sua padrona di casa. A quella Sofia che deve reagire all’abbandono del marito trovando forza nella consapevolezza che infine tutte le donne sono sole di fronte al destino. Rinunciando alle proprie certezze, ma non alla speranza e alla volontà di non arrendersi. Credendo fermamente che una nuova avventura sarà sempre possibile. Che ogni fine è l’opportunità di un nuovo inizio.
Perché quando un viaggio finisce c’è sempre un altro aereo che vola alto nel cielo a ricordare che si può ancora ripartire.
La forza del cinema
Roma non è forse il migliore film dell’anno perché la cura del dettaglio e il frequente ricorso a quelli che possono apparire solo virtuosismi registici risulteranno indigesti a chi privilegi altri aspetti più semplici, ma non meno importanti. Non si può non riconoscere, infatti, che il film sembra allungarsi un po’ troppo arrivando a 135 minuti che non sono facili da accettare. Specie considerando che la storia raccontata è davvero minima e arriva allo spettatore solo quando si ferma a rifletterci, ma non durante la visione stessa.
Ma ciononostante Roma è innegabilmente uno dei film più belli di questo 2018 dove qui l’aggettivo bello va inteso proprio come qualità estetica. Perché appunto l’estetica di questa opera ultima di Cuaron sottolinea la forza del cinema come mezzo per creare sogni e visioni. Una qualità unica che motiva pienamente il Leone d’Oro vinto a Venezia. E che va a segnare un punto a favore di Netflix.
Sebbene non sia fondamentale dirlo, non va comunque dimenticato che Roma non nasce per il cinema, ma per la fruizione via streaming. Prodotto da Netflix, infatti, il film di Cuaron ha avuto solo un brevissimo passaggio in un numero limitato di sale sufficiente a permettergli di accedere alla corsa agli Oscar. Nell’eterna querelle tra festival (con Venezia che accetta e premia opere prodotte da Netflix e Cannes che ne vieta la partecipazione) Roma viene a ricordare che la forza del cinema non è la quantità, ma la qualità. E questa non ha niente a che fare con le dimensioni dello schermo di proiezione.
Anche perché difficilmente una major avrebbe prodotto un film in bianco e nero di durata extralarge e con attori non professionisti che parla dei ricordi personali di un regista messicano. Non accorgendosi che Roma è cinema allo stato puro.
In principio, quando ero bambino, volevo fare lo scienziato (pazzo) e oggi quello faccio di mestiere (senza il pazzo, spero); poi ho scoperto che parlare delle tonnellate di film e serie tv che vedevo solo con gli amici significava ossessionarli; e quindi eccomi a scrivere recensioni per ossessionare anche gli altri che non conosco