
Richard Jewell: la verità tradita dalla menzogna – Recensione del film di Clint Eastwood
Titolo: Richard Jewell
Genere: biografico
Anno: 2019
Durata: 2h 09m
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Billy Ray, Marie Brenner
Cast principale: Paul Walter Hauser, Sam Rockwell, Kathy Bates, John Hamm
“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” commentava amaramente il Galileo nell’opera teatrale di Bertolt Brecht. Una citazione diventata tanto famosa quanto spesso incompresa se presa a sé stessa. Perché, in verità, fortunata è la terra che ha gli eroi. Se per eroi, tuttavia, ci si riferisce non a quelli che devono combattere dittature o difendere diritti umani. Ma solo quelli che in condizioni eccezionali intervengono per salvare vite umane. Che si tratti del capitano di un aereo che riesce ad atterrare su un fiume evitando che il velivolo si schianti al suolo come in Sully. O di un agente del servizio di vigilanza che scopre una bomba in un parco evitando un bilancio drammatico. Come Richard Jewell.

Una storia incredibilmente vera
Per quanto possa sembrare una frase fatta, a volte la realtà supera l’immaginazione. Come avvenne nel caso di Richard Jewell, protagonista del film omonimo di Clint Eastwood. Durante le Olimpiadi di Atlanta del 1996, la guardia giurata in servizio di vigilanza presso il Centennial Olympic Park scoprì uno zaino sospetto sotto una panchina nei pressi della torre tv. La sua insistenza convinse i poliziotti a chiamare gli artificieri che scoprirono il contenuto: tre tubi bomba pronti ad esplodere. Richard aiutò i poliziotti ad allontanare le persone presenti evitando che lo scoppio successivo causasse un numero di morti ben più alto del drammatico bilancio finale (due vittime e un centinaio di feriti).
Come prevedibile e ovvio, il volto grassoccio di Richard invase in un attimo gli schermi televisivi e le prime pagine dei giornali come quello dell’eroe improbabile che aveva evitato una strage. Fu solo un attimo, però. Perché l’FBI decise che a mettere quella bomba era stato Richard stesso alla ricerca di una notorietà mondiale e di quel posto come agente di polizia che aveva sempre sognato. E perché la stampa tanto solerte ad innalzare sugli altari l’innocente vigilantes fu altrettanto rapida e ossessiva nel farne il mostro da sbattere in copertina e il nemico pubblico da additare all’ignominia generale.
La colpa di Richard? Trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Ma essere l’uomo sbagliato. Perché l’immaginario codificato dai mass media non poteva accettare che il salvatore non fosse uno dei tanti poliziotti addestrati alla bisogna di cui era pieno il parco. E neanche l’agente dell’FBI che non si era accorto di nulla nonostante fosse lì proprio per quel motivo. Né tantomeno poteva avere l’aspetto bonario di un uomo sovrappeso con la parlata tranquilla intrisa di frasi scontate e consigli rubati ai manuali per aspiranti poliziotti. Un ragazzo che non era né il bianco palestrato e telegenico dei quartieri alti né un qualcuno dotato di un curriculum ricco di studi e successi. Un americano normale che forse era anche un po’ sotto la media come intelligenza e che mai era riuscito a realizzare qualcosa di mirabile in una vita fin troppo ordinaria.
Richard Jewell è la storia della normalità che si fa eroe e che non viene creduta perché non ha l’aspetto che la società avrebbe voluto. E che per questo diventa colpevole a prescindere e meritevole di essere tormentata.
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L’indifesa vittima del potere
Richard Jewell è soprattutto il passo successivo di Clint Eastwood nella sua analisi di un mondo in cui non si riconosce e di cui vuole mostrare le storture inaccettabili. Come era stato con Sully dove il capitano eroe viene perseguito da chi lo accusa di aver posto le sue decisioni personali al di sopra dei protocolli impersonali stabiliti da regolamenti e codici astratti. Discorso continuato sottotraccia in The Mule – Il Corriere dove il vecchio protagonista deve diventare corriere della droga per sostenere la famiglia perché ogni altra possibilità gli è negata. Ragionamento che arriva al suo estremo in questo Richard Jewell dove l’uomo comune non viene premiato per aver fatto il suo dovere, ma colpevolizzato e perseguitato.
Con una scelta non nuova ma quasi sorprendente per un fervente repubblicano quale Eastwood è. In Richard Jewell è il totem della sicurezza USA a diventare l’antagonista spietato. Supportato da un alleato altrettanto potente: i media. Il contrasto stridente tra le forze in gioco genera un senso di oppressione. Lo stupore preoccupato della madre Bobi che si chiede che fine faranno i suoi Tupperware. La bonarietà sempliciotta di Richard che vuole aiutare gli agenti comunque perché non sa concepire che chi rappresenta il governo possa volergli fare del male. La caparbia ostinazione dell’avvocato di Richard nel volerlo convincere che è proprio questo che sta accadendo. Sono tutti elementi che mostrano, in maniera a volte troppo didascalica, quanto tremendamente ingiusto sia quello che sta accadendo.
Quanto inaccettabile sia lo sproporzionato numero di forze dell’ordine coinvolte nella caccia ad un innocente che non ha alcuna intenzione di scappare. Quanto insensata sia l’ossessione dell’agente Shaw e dei suoi colleghi dell’FBI di voler fare di Richard il colpevole per non dover ammettere di brancolare nel buio. E quanto crudelmente spietati possano essere i media non appena fiutano una preda da azzannare per scrivere una storia che faccia audience. Non importa se vera o falsa perché quel che conta è che tu sia il primo a raccontarla.
Richard Jewell è la condanna esplicita di un mondo a cui non interessa più cosa è giusto e cosa è sbagliata, ma solo avere successo. Catturare un colpevole anche se è innocente. Sbattere il mostro in prima pagina anche se è innocuo. Apparire vincenti anche se a perdere è la verità.


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Un film semplice come Richard
Come in molti altri suoi film, Eastwood non recita in prima persona in Richard Jewell. Scelta non insolita, ma stavolta indicativa di una precisa intenzione. Quella di togliersi dal cono di luce per far risaltare in primo piano i protagonisti. Per questo motivo, regia e fotografia si limitano ad un ordinario che potrebbe quasi essere accusato di scostarsi poco dal minimo sindacale. Non è così perché, invece, questa semplicità è un volersi nascondere per lasciare alla recitazione il posto d’onore nel palco in prima fila.
Richard Jewell brilla, infatti, per le capacità di tutto il cast. Ad emergere è soprattutto Paul Walter Hauser (già visto in I, Tonya). La somiglianza fisica col vero Richard Jewell contribuisce a rendere credibile il suo personaggio, ma a colpire ancora di più è il modo in cui riesce a restituire la calma pacifica, lo stupore innocente, la pignoleria sincera di un uomo tanto buono da non riuscire a concepire il male. Altrettanto brava è Kathy Bates (non a caso candidata agli Oscar come migliore attrice non protagonista) la cui Bobi offre il ritratto preciso di una madre che ama tanto il figlio da soffrire per tutto il male del mondo che piove su di lui.
Sam Rockwell chiude un 2019 che ne ha esaltato la bravura e la versatilità come testimoniano il suo ruolo in Jojo Rabbit (nelle sale in questi giorni) e i premi ottenuti per la miniserie tv Fosse/Verdon. Efficaci seppure in ruoli più defilati sono anche Jon Hamm e Olivia Wilde a completare un cast che è il punto di forza di questo film.
Con Richard Jewell Clint Eastwood dimostra che a ottantanove anni ha ancora la rimarchevole capacità di non fossilizzarsi in una stantia riproposizione del meglio fatto negli anni passati. Ma di avere ancora qualcosa da dire. E di non avere paura di dirlo. Mettendosi anche in secondo piano se serve a rafforzare il messaggio. Come ha detto un amico, che il dio del cinema ce lo conservi ancora a lungo.