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Qualcosa di Buono: La recensione

Quando si affronta un tema difficile come una malattia degenerativa non c’è un modo giusto o un modo sbagliato di farlo, c’è solo un modo più o meno ‘gradevole’. Sono sempre stata convinta che i film drammatici, quelli che ti fanno piangere e ridere e ancora piangere, siano film ‘unici’: dopo la prima volta che li hai visti, saprai dire con certezza se sarà la prima e l’ultima volta o se, invece, soltanto la prima di tante e vorrai rivederlo, magari anche con piacere, tante e tante volte ancora. Qualcosa di Buono, ahimè, rientra nella prima categoria. Si tratta di un film drammatico, una storia difficile, forse affrontata con tanta, troppa leggerezza, anche se restano pilastri delle interpretazioni straordinarie da parte del cast principale, con la tripletta formata da Rossum-Swank-Duhamel.

qualcosa di buono_4Qualcosa di buono parla di Kate, la tipica donna che ha tutto nella vita: un marito premuroso, un lavoro redditizio e una casa da sogno. Tutto questo svanisce sullo sfondo quando a Kate viene diagnosticata la SLA – sclerosi laterali amiotrofica. Dopo essere stata accudita per diversi mesi da una donna premurosa ma ‘vuota’ trova una nuova assistente in Bec, una studentessa universitaria casinista e disordinata. Quello che tuttavia manca a Bec nell’aspetto o nel portamento lo compensa con un grande cuore e tanta sincerità, che porteranno inevitabilmente le due donne ad avvicinarsi e diventare amiche, affrontando insieme il percorso difficile che Kate sarà costretta a intraprendere con la sua malattia.

Sarebbe un complimento troppo grande definire questo film un Quasi Amici al femminile benchè la pellicola non si discosti molto dalla dramedy francese con protagonisti Francois Cluzet e Omar Sy. Lo qualcosa di buono_3schema non cambia: una situazione difficile, un’amicizia nata in condizioni improbabili e una storia sul filo di un rasoio, in cui i momenti di gioia si alternano a quelli di profonda tristezza. Quello che tuttavia riesce ad elevare, di solito, film del genere a ‘classici’ del loro genere è una scenografia e una sceneggiatura, soprattutto, ben studiata e questa è una mancanza irrimediabile in questo film. Le scene sono piatte, mosse da qualche risata o qualche improvvisa scoperta scioccante, mentre i dialoghi lasciano il tempo che trovano. Non si può far a meno di alzare le spalle con rassegnazione. Non sono gli attori a non dare grande prova di se ma anche Picasso, lasciato con un pennello spezzato e senza colori non sarebbe stato il grande pittore che è. Allo stesso modo degli attori capaci e bravi sono limitati da scene quasi banali, con dialoghi privi di spirito, in cui è la situazione a donare la drammaticità alla storia e non il modo in cui viene raccontata.

A giostrarsi quest’ora e mezza sono Emmy Rossum ed Hilary Swank, di tanto in tanto qualcosa di buono_1affiancate da Josh Duhamel e Jason Ritter. Emmy Rossum riveste un ruolo fin troppo congeniale per la sua persona, dal momento che il personaggio di Fiona Gallagher (protagonista di Shameless, interpretata appunto dalla Rossum) sempre essere strappata dalla famiglia Gallagher ed impiantata nella pellicola senza cambiarne neppure una virgola. Naturalmente si tratta pur sempre di Emmy Rossum che, malgrado il nome, non ha visto un (più che doveroso) riconoscimento per il suo lavoro in oltre cinque anni e che quindi è impeccabile nei panni della ragazza dal cuore d’oro ma tutt’altro che ‘di classe’. Se da una parte non si può fare a meno di amarla, dall’altra viene spontaneo chiedersi se non sia il caso di lasciare, almeno in parte, i panni di Fiona e dedicarsi a qualcosa di un po’ di diverso. E’ dal 2005 che non la vediamo con un vestito (ah, belli i tempi de Il fantasma dell’Opera) e iniziamo a domandarci se, tra qualche anno, non possa essere troppo tardi e se i vestiti (strappati) di Fiona non finiscano con l’esserle incollati addosso.

qualcosa di buono_2Diverso è invece per Hilary Swank che, personalmente, non mi è mai particolarmente piaciuta. Non l’ho mai trovata dotata di altrettanto carisma di Rachel McAdams o del sorriso stravolgente di Jessica Alba ma, nel suo piccolo, in questo film Hilary Swank riesce a regalare al pubblico un’interpretazione straordinaria. Una donna che a 35 anni è costretta a rinunciare alla propria indipendenza, al proprio marito, alla propria carriera e ad affidarsi completamente agli altri anche per le faccende quotidiane… è dura, è davvero dura. Ma è in questo che la Swank è brava, nel calarsi nei panni di una donna malata di SLA, facendolo con una grazia e un realismo che fanno male al cuore. Proprio come fa male guardare il progressivo degenerare di Evan, che perde pian piano la sua forza iniziale e rivaluta, proprio come tutti gli altri, le priorità della propria esistenza e la sua stessa direzione.

Per quanto nutrissi grandi speranze per questo film, devo confessare di esserne rimasta assolutamente delusa. Interpretazioni magnifiche a parte, non mi ha lasciato quasi nulla ed è un vero peccato.

Katia Kutsenko

Cavaliere della Corte di Netflix e Disney+, campionessa di binge-watching da weekend, è la Paladina di Telefilm Central, protettrice di Period Drama e Fantasy. Forgiata dal fuoco della MCU, sogna ancora un remake come si deve di Relic Hunter.

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