
Pose: più di una famiglia – Recensione della seconda stagione
I politici a caccia di consensi a basso costo amano sottolineare l’importanza capitale della famiglia come nucleo della società civile. Tanto dirlo non costa niente. Ma definire cosa è una famiglia è qualcosa di molto più sottile. Perché si può piegare la definizione alle opportunistiche esigenze elettorali. O mostrarlo davvero parlando apparentemente di altro. Come fa Pose, la serie scritta da Ryan Murphy la cui seconda stagione si è da poco conclusa su FX.

Il vero significato
Complice il periodo estivo e il tema non proprio comune, Pose al suo debutto un anno fa era passata relativamente inosservata. Dal grosso pubblico, ma non dalla critica che ha accolto positivamente anche questa seconda parte come confermano le nomination agli Emmy Awards 2019 nelle prestigiose categorie Miglior Serie Drammatica e Miglior Attore Protagonista (a Billy Porter per il ruolo di Pray Tell). Successo ampiamente meritato.
Perché Pose è qualcosa che difficilmente si vede in tv. Ambientato nella comunità LGBT di fine anni Ottanta, la serie abbaglia per la vivacità irrefrenabile e la sfrenata vitalità delle ballroom. Ma questo luccichio affascinante è solo una confezione glitterata che invita a scoprire quel che c’è prima e dopo quelle competizioni tanto apparentemente spensierate. E quel che c’è è il concetto più intimo della parola famiglia. I vari partecipanti sono, infatti, membri di quelle che vengono dette houseognuna gestita da una o più mother. Termini scelti non per scimmiottare la bigotta opinione comune. Ma perché sono gli ingredienti principali che servono a costruire una famiglia.
Non a caso la prima stagione aveva mostrato Blanca prendere sotto la sua ala protettrice Damon, Angel, Papi. Personaggi diversi uniti dallo stesso fattore comune: essere stati cacciati dai loro genitori, esclusi dalle loro comunità, spinti ai margini come reietti. Solo perché sono omosessuali o transessuali. La seconda stagione non fa che confermare il trend della prima. Chiarire ancora di più che una famiglia non è un gruppo di persone unite da legami di parentela. O tenuti insieme perché un contratto sociale (matrimonio o convivenza che sia) li fa vivere sotto lo stesso tetto.


Una famiglia è ciò che si vede in Pose. È Blanca che lotta perché Damon non lasci la scuola di danza nonostante le sue doti di ballerino gli potrebbero permettere di darsi alle lezioni private o agli show televisivi. Che non smette di incoraggiare Angel quando vuole diventare una modella nonostante il mondo là fuori potrebbe non essere ancora pronto ad accettare una transessuale. Che capisce quando è il momento di lasciare andare Angel e Papi verso il loro sogno di amore e successo e Damon verso il prossimo capitolo della sua vita professionale.
In Pose (e così dovrebbe essere nella realtà) una famiglia è un legame che va persino oltre il proprio ristretto nucleo per allargarsi agli altri membri della tua stessa comunità. È per questo che Blanca e Pray Tell sono i primi ad intervenire quando Lulu e Ricky si sentono svuotati dalle delusioni indicando loro nuove possibilità. Che l’egocentrica Elektra sa trascinare dietro di sé la stessa Blanca quando capisce il suo bisogno di un momento di pace. Perché in una famiglia nessuno lascia affondare nessuno neanche quando vecchie ruggini e litigi continui farebbero pensare che andare d’accordo sia impossibile.
Eppure, in Pose, tutto questo avviene. Perché è questo il vero significato della tanto abusata e tanto poco compresa parola famiglia.
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Il mondo fuori e l’AIDS
Pose potrebbe essere visto come un family drama. Ed in effetti lo è. Ma è anche molto di più perché il suo orizzonte non si rinchiude nelle mura immaginarie di una pur vasta casa. Al contrario, si apre sul mondo al di fuori andandosi a scontrare con i suoi problemi e i suoi pericoli, con le sue ingiustizie e le sue discriminazioni. Ed è inevitabile che sia così dato il periodo storico in cui la serie è ambientata che coincide con quello degli inizi dell’epidemia di AIDS.
Se questi argomenti erano solo sullo sfondo nella prima stagione, è in questa seconda stagione che si fanno più pressanti. In particolare, l’AIDS non è più un fantasma distante che si porta via persone di cui conosciamo solo il nome e il legame con qualcuno dei protagonisti. Che sono invece ora colpiti direttamente perché i malati sono nomi pesanti come Blanca, Pray Tell e Ricky. E perché li vediamo combattere e patire le conseguenze di questo male fino a farci quasi pensare che la loro battaglia stia per essere persa. Ma più importante è sottolineare come Pose intenda mostrare il modo in cui questa malattia andò a influenzare la quotidianità del mondo LGBT.
Fondamentale, da questo punto di vista, ricordare che la malattia era all’epoca erroneamente considerata una sorta di piaga divina mandata per punire gli omosessuali peccatori. I malati erano allora marchiati come appestati e l’intera comunità criminalizzata più di quanto già si era soliti fare. I primi Act Up ebbero un ruolo importante nel combattere questa assurdità. Bene fa, quindi, la serie a coinvolgere i nostri personaggi in manifestazioni introducendo il personaggio dell’infermiera Judy e mostrando il supporto reciproco che si instaurò allora.


Il dolore e la gioia
Ma l’AIDS non era un nemico solitario. Perché la discriminazione era anche la più potente alleata per tragedie più immediate e improvvise. Come lo erano gli omicidi di transessuali e gli stupri di omosessuali costretti a prostituirsi perché altri lavori erano negati. La morte di Candy arriva come un fulmine a ciel sereno. Ma è lì per ricordare quel dramma ed offrire l’occasione per uno degli episodi più intimistici e sentiti di Pose.
Anche perché, se l’AIDS non è più visto come una punizione essendo chiaro che colpisce a prescindere dagli orientamenti sessuali, omicidi e stupri sono ancora presenti. E ancora troppo spesso vengono trattati con noncurante superficialità da chi di dovere e considerati quasi come mali che ci si è andati a cercare da una parte troppo grande dell’opinione pubblica.
Si piange per Candy, ma si sorride per Angel e Papi. Perché in Pose a scorrere è la vita fatta di dolori e di gioie. Che possono seguirsi in maniera anche caotica e contraddittoria. Così l’euforia per il primo contratto proposto dalla Ford, mentore di Angel, si offusca poco dopo per i festini a base di droga e si spegne quando è la stessa Ford a dover cancellare i contratti per l’ostracismo del mondo della pubblicità verso i trans. Per poi esplodere di nuovo nella gioia di un nuovo inizio con Papi come manager e la successiva proposta contemporanea di matrimonio tra i due innamorati.
Si esulta per la carriera in rampa di lancio di Damon e Ricky, ma ci si abbatte per l’effimera durata iniziale e si precipita nella tristezza per la sieropositività del secondo. Si festeggia la promozione del figlio di Blanca prima di restare sconvolti per il deflagrare improvviso di rabbie represse che sembra disintegrare l’armonia comune. Per poi accorgersi che ciò che li ha uniti tutti tornerà sempre a farli restare insieme nel momento del bisogno.
Pose è, in fondo, la storia di persone considerate diverse che dimostrano di essere loro quelli normali. Perché, alle volte, bisogna essere speciali per dimostrare agli altri cosa significa essere normali.
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