
Pixels: la recensione
C’era una volta la sala giochi. Grandi cassoni con variopinte fiancate e schermi che sembravano panoramici solo perché potevi quasi intravedere il tuo riflesso tra le luci di videogame che erano incredibilmente difficili solo perché non ti ci eri mai cimentato prima. E c’erano i gettoni da dosare accuratamente per non rischiare di esaurirne la sempre troppo risicata scorta proprio quando l’infernale mangiasoldi esigeva l’ennesimo pegno per lasciarti continuare il livello al quale eri quasi arrivato con tanta fatica. Ma soprattutto c’erano i pomeriggi passati in quelle mura chiassose aspettando il tuo turno o guardando gli altri più bravi solo per avere una scusa per non tornare a casa invece di passare ancora un po’ di tempo in compagnia degli amici fidati o anche solo appena incontrati sperando magari di fare colpo con qualche innata abilità (ad avercela !) sulla prima cotta da adolescente brufoloso in crisi ormonale. C’era il mondo di “Pixels”. Ed oggi non c’è più. Perché i videogiochi sono film da vivere in prima persona nella magnificenza elettronica di schermi casalinghi ad alta definizione e da commentare poi su social e forum in una comunità virtuale non per questo meno reale di quella del tempo che fu. E perché le scuse per uscire sono ormai tante e più facile è farle accettare a genitori complicemente memori di quando erano loro a doverle inventare.
Qual è il pubblico di riferimento di “Pixels” ? Basterebbe leggere la lista dei videogiochi omaggiati (Galaga, Centipede, PacMan, Donkey Kong su tutti) e dare uno sguardo all’età di regista e cast per convincersi che è proprio a chi ricorda i tempi citati poco sopra che questo piccolo divertissement vuole parlare. Un nostalgico divertirsi scherzando su quello che è stato quando ancora si portavano i capelli col mullet come FireBlaster o i caschi vaporosi di ricci alla Sam Brenner. Un rievocare nostalgico che non lascia il tempo a nessuno sguardo lucido perché troppo piacevole è lasciarsi andare sulle onde rinfrescanti di memorie felici. Lo si avverte questo desiderio di empatizzare con un pubblico coetaneo specialmente nei modi di dire, nel senso di quasi sprezzante superiorità, nel prendere in giro con spavalda presunzione che arricchiscono sotto traccia le battute di un Sam Brenner che è ben lieto di cogliere al volo l’occasione di una vita, la possibilità sempre sognata e sempre taciuta di dimostrare che la sua generazione non è ancora da rottamare, nell’orgoglio esibito del nerd che può avere la sua rivincita tanto attesa eppure mai cercata con insistenza. Se anche il Brenner di Adam Sandler non è poi tanto diverso dallo stereotipo rodato dei suoi film precedenti e pure la storia di fondo ripete l’abusato cliché del perdente che si scopre vincente e conquista la bella di turno (qui interpretata da una affascinante Michelle Monaghan), nondimeno la narrazione non originale riesce a non annoiare infilando buone battute e situazioni divertenti. Merito principalmente di uno Josh Gad in stato di forma nella parte del complottista disadattato che ha il suo momento di gloria senza per questo riuscire a non rendersi ridicolo e di un inusuale Peter Dinklage che smette i panni medioevali di Tyrion Lannister per vestire quelli per nulla eleganti di un laido truffatore pronto ad approfittare anche di una invasione aliena pur di trarre qualche discutibile vantaggio personale (vada per le tasse, ma Serena Williams e Martha Stewart ?).
“Pixels” non prova ad avventurarsi in nessun confronto tra il mondo desueto dei suoi eroi e quello ipertecnologico dei ragazzini di oggi. Tranne un rapido dialogo che sarà però solo funzionale alla soluzione finale, la nostalgia per le sale giochi (già omaggiate con più passione anche in “Ralph Spaccatutto” e non a caso anche qui sarà il piccolo Q – bert ad avere il ruolo di guest star) non si spinge fino a diventare una critica all’isolamento in cui i moderni giochi confinano il giocatore. Si potrebbe giustificare questo atteggiamento con la giusta osservazione che un simile paragone avrebbe poco senso dal momento che ogni epoca produce la sua cultura e i suoi modi di giocare e socializzare (e certo non potremmo criticare l’uso dei social network proprio noi di Telefilm Central che anche tramite quelli arriviamo ai nostri manzoniani venticinque lettori). Ma, in realtà, il film non affronta questo complesso argomento perché non ha alcun interesse ad essere pedagogico o riflessivo preferendo piuttosto mostrarsi per quello che è: un intrattenimento spensierato che vuole solo prendere spunto da un passato che non può tornare (e non importa se ciò sia un bene o un male). Lo stesso spirito che animava il cortometraggio omonimo di Patrick Jean apparso per la prima volta su YouTube nel 2010 (ed ancora disponibile) di cui la pellicola odierna è l’estensione su grande schermo (al punto da rifare identica una delle scene dell’originale). Un passaggio dalla produzione artigianale a quella hollywoodiana che si vede nella magnificenza di colori e luci, nel sapiente uso della CGI per rendere realistici gli effetti di pixellizzazione, nell’efficace aggiunta di personaggi con cui interagire. Il risultato è uno scenario affascinante che permette anche a chi è troppo giovane per lasciarsi conquistare dalla nostalgia di godere uno spettacolo allegramente variopinto che fa passare in secondo piano l’illogicità della trama basata su un assunto che è onestamente una cretinata, ma che diventa un’ottima ragione per costruirci 100 minuti di gustosa spensieratezza e rilassanti sorrisi.
La sinossi di “Pixels” lasciava presagire il forte rischio che il film soccombesse alla debolezza di una idea dopotutto stupida. Ma l’aver concentrato l’attenzione sulla messa in scena piuttosto che sulla credibilità dell’idea ha permesso a Columbus, Sandler e il resto del cast di vincere la scommessa e, imitando la rana del videogioco “Frog”, di attraversare la strada del successo senza finire schiacciato dal tir della critica. Benvenuti al livello successivo !
Visitor Rating: 1 Stars