
Pirati di Caraibi – La vendetta di Salazar: ritornare a navigare in acque sicure
Titolo: Pirati dei Caraibi – La Vendetta di Salazar (titolo originale: Pirate of the Caribean – Dead men tell to tales)
Genere: fantastico, avventura
Anno: 2017
Durata: 129min
Regia: Joachim Ronning e Espen Sandberg
Sceneggiatura: Jeff Nathanson
Cast principale: Johnny Depp, Kaya Scodelario, Brenton Thwaites, Javier Bardem, Geoffrey Rush
Certo che il motivo iniziale era alquanto insolito. Rivitalizzare un’attrazione ormai desueta di un parco giochi provando a renderla nuovamente attraente perché fonte di ispirazione per un blockbuster a stelle e strisce. Solo che l’attrazione era a tema piratesco, il che si prestava facilmente ad inserirsi in un genere che al cinema vantava precedenti illustri. E soprattutto il parco era Disneyland e Disneyland significa la ludica macchina bellica della Disney. Nasce da questa premessa inusuale la saga di Pirati dei Caraibi, il cui quinto episodio arriva nelle sale dopo una gestazione complessa che ha visto il parto finale grazie alla tenacia dei due registi e del produttore.

Un graditissimo more of the same
Tre anni tra La maledizione della prima luna, primo capitolo della serie nel 2003, e il suo sequel La maledizione del forziere fantasma, seguito a distanza di un solo anno da Ai confini del mondo che chiudeva una trilogia segnando l’uscita di scena di Will Turner ed Elizabeth Swann che del franchising erano stati gli iniziatori. I quattro anni di pausa che hanno preceduto il quarto capitolo Oltre i confini del mare potevano essere letti, col senno di poi, come un primo indizio che qualcosa cominciava a non andare più.
Timore confermato da una pellicola che aveva creduto di potersi limitare ad essere un one man show di Jack Sparrow, finendo per trasformare il pirata interpretato da Johnny Depp in una caricatura di se stesso. Ci sono voluti sei anni e svariate vicissitudini (tra cambi di sceneggiatura e ritardi nella produzione) prima di arrivare a questo quinto capitolo. Un tempo lungo che ha consentito di rendersi conto che l’unico modo per dare un futuro a tinte pastello a questa saga era di cercare nel passato glorioso il tesoro prezioso per andare avanti.
Ed è questo che La vendetta di Salazar fa senza neanche cercare di nasconderlo troppo. Al contrario, si potrebbe avere a tratti la sensazione neanche tanto velata che il film intenda proporsi come un fan service doveroso, come a voler restituire con gli interessi quei debiti che il capitolo precedente aveva contratto con i fedeli fan delusi. Tornano, quindi, le fughe rocambolesche, i furti impossibili, i duelli fantasiosi, i salvataggi all’ultimo momento, i dialoghi irriverenti, le guasconate divertenti. E tutto viene servito in abbondanza e chiedendo allo spettatore in sala di alzare al massimo livello la sospensione dell’incredulità, di modo che anche ciò che è smaccatamente irreale venga accettato con gioiosa disponibilità.
Niente di nuovo nei mari dei Caraibi, quindi, ma molto che, seppure già visto in passato, era mancato troppo nella versione precedente. Perché, dopotutto, chi va a vedere Pirati dei Caraibi cerca propri questi ingredienti e il merito dei due registi norvegesi Joachim Ronning e Espen Sandberg è quello di prepararli in maniera accurata e servirli in una confezione mai tanto spettacolare, grazie ad un ottimo uso degli effetti speciali ed di un 3D sfruttato nella sua piena potenzialità. More of the same, quindi, ma esattamente quel che ci voleva.

Un sapore già provato ma ancora gustoso
Lo stesso desiderio di recuperare i punti di forza della trilogia originaria anima anche la scrittura della sceneggiatura, che si mantiene lineare e a tratti anche piuttosto prevedibile nello svolgersi degli eventi, ma ha il pregio di impostare correttamente i rapporti tra i personaggi. Se una lezione si poteva trarre dall’insuccesso di critica di Oltre i confini del mare è che Pirati dei Caraibi non può essere solo Jack Sparrow.
Tornando, quindi, alla struttura originaria, Jeff Nathanson restituisce all’iconico capitano il ruolo di catalizzatore della nascente chimica tra i due nuovi entrati, l’astronoma Carina Smyth (Kaya Scodelario) e il coraggioso Henry Turner (Brenton Thwaites), figlio di Will e Elizabeth. Proprio come nel primo episodio del franchising, sono proprio questi due personaggi il motore dell’azione con Jack, che mette al loro servizio le sue mirabolanti abilità di spavaldo truffatore e coraggioso uomo di mare. Sensazione di dejà vu che viene rafforzata dalla innegabile similitudine degli intenti con Henry, che vuole liberare il padre da una maledizione proprio come Will col suo, e Carina, che intende affermare la propria autonomia in un mondo misogino che la bolla come strega, in ciò simile alla Elizabeth insofferente del ruolo di figlia da concedere in moglie. Si ha l’impressione di assaggiare una pietanza già nota il cui gusto è, tuttavia, così saporito che è piacevole assaggiarne ancora dopo che per tanto non la si è potuta assaporare.
Analogo ritorno al passato è riservato a Jack, che di nuovo si ritrova più a sfuggire da un nemico ultraterreno (Barboza o Davy Jones allora, il capitano Salazar ora) che a cercare un’improbabile meta favolistica. Un andare indietro verso le origini della saga, che viene ravvivato dalla felice intuizione di mostrare quanto ancora non si era visto del personaggio di Jack. Perché chi sia ora Jack lo sanno tutti, ma chi fosse e come è diventato quel che ora ammiriamo era ancora ignoto. E quindi il film ci mostra come un acerbo pirata si sia guadagnato il rispetto (ed anche il suo caratteristico outfit) delle ciurme dei sette mari e persino quello che pensavamo fosse solo un comune cognome.

Non si vive di solo Jack
È questo semplice eppure dimenticato assioma che muove l’intero film che, pur nella semplicità cui si accennava prima, evita di accentrare tutta l’attenzione sul solo Jack lasciando al contrario agli altri personaggi la possibilità di avere uno spessore proprio che non li riduca a figure sbozzate sullo sfondo. Ne guadagna sicuramente Barboza (un sempre capace Geoffrey Rush), il cui passato si rivela interessante quanto quello di Jack e il cui presente risulta conseguenza coerente dello sviluppo avuto da un film all’altro della saga. E ne guadagna ancora di più il capitano Salazar (un ispirato Javier Bardem), che si dimostra un villain la cui spietatezza non è figlia del cliché che vuole il cattivo essere crudele senza motivo, ma piuttosto una conseguenza amara di un destino spezzato dall’imprevedibile arrivo di Jack. Una personalità distrutta che si riflette efficacemente nella resa visiva del personaggio e della sua ciurma che appaiono corpi fluttuanti nella loro distruzione incompleta, come sospesi in attesa di un destino da compiersi.
Giunti al quinto capitolo della serie, la nave dei Pirati dei Caraibi torna a navigare in acque sicure impostando con La vendetta di Salazar una rotta che sembra seguire la bussola magica di Jack. Non punta ad una meta indecisa, ma verso ciò che più desidera il suo possessore. Fosse anche tornare indietro a degli inizi dove le cose erano magari semplici ed esagerate, ma soprattutto assurdamente piacevoli.
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