
Pillole dalla Festa del Cinema di Roma 2023 – Parte II
Si sta ancora svolgendo la diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Scendono in campo anche le serie tv. Le anteprime dei primi episodi di La Storia (dal romanzo omonimo di Elsa Morante) e di I Leoni di Sicilia hanno aperto la strada. Una certa curiosità c’è anche per Il camorrista, serie la cui genesi è alquanto insolita trattandosi di un adattamento televisivo girato in contemporanea con il film omonimo che segnò il debutto di Giuseppe Tornatore. La serie cedette il posto al film, ma il girato è stato recuperato dopo molti anni. Opportunamente rimasterizzato e adattato ad un nuovo formato, verrà trasmesso come serie tv a quasi quarant’anni dall’originale del 1986.
Nell’attesa di vedere questo tuffo nel passato trasportato nel presente, qui restiamo fedeli alla missione di aggiornarvi sui film visti. Sperando sempre che qualcuno divenga fruibile anche dalle nostre parti.

One day all this will be yours
Andreas Ohman ci fa accompagnare la sua protagonista Lisa (interpretata dalla brava Karin Franz Korlof) in un viaggio a casa per festeggiare il settantesimo compleanno della madre. I tanti anni passati dall’ultima visita sono serviti a fare di Lisa una cartoonist alla ricerca del titolo da dare al suo primo libro in attesa di pubblicazione. Non sono però abbastanza per cancellare un antico trauma che rende difficile il rapporto con i fratelli. Né le sono di aiuto quelle figurine immaginarie delle più svariate forme (pupazzetti di schiuma nella vasca da bagno, patate canterine nel piatto, angioletti su una lapide) che le parlano nei momenti meno opportuni.
La festa di compleanno sarà anche l’occasione per il grande annuncio da parte del padre intenzionato a ritirarsi in pensione. Non prima però di aver lasciato ad uno dei figli la gestione della foresta di famiglia nel nord della Svezia da cui estraggono la legna da vendere. Sopratutto, la celebrazione in pompa magna sarà il momento per affrontare quei conflitti latenti che non aspettavano altro che esplodere. Segreti decennali rivelati, incomprensioni mai chiarite e debolezze celate dietro false sicurezze. Questo il menù che il film offre ai suoi spettatori.
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One day all this will be yours si va a iscrivere nel ricco genere di quei drammi di famiglia a cui il cinema scandinavo ci ha ormai abituati. Un film ben scritto dove la natura idilliaca fa da contorno ad un quadro familiare che solo inizialmente riflette la serenità dei paesaggi per poi frantumarsi pezzo a pezzo in un crescendo di verità svelate e maschere andate in pezzi. Un passaggio che è reso meno drammatico dall’inserimento di scene ironiche e inserti cartooneschi che alleggeriscono la narrazione senza tuttavia risultare fuori luogo. Il risultato è un film che si fa felicemente specchio della sua protagonista.
Proprio come Lisa, One day all this will be yours usa l’ironia, anche acida, anche irrispettosa, per restare a galla su un mare in tempesta di emozioni. Una barca squassata da marosi che potrebbero affondarla per il peso troppo grande che nasconde nella stiva. Un film che più che altro vi farà restare in guardia quando riceverete il prossimo invito a una riunione di famglia.


Palazzina LAF
Sceglie la sua Taranto e un tema a lui ben noto Michele Riondino per il suo esordio da regista con Palazzina LAF. Assegna a sé stesso il ruolo del protagonista Caterino, operaio presso l’ILVA di Taranto e residente in una masseria in rovina proprio per la vicinanza all’impianto. Sono gli anni della vendita alla famiglia Riva che avviò un intenso programma di tagli al personale e alla sicurezza.
Caterino è troppo ingenuo e ignorante per rendersi conto di cosa gli sta chiedendo il dottor Basile (interpretato da un Elio Germano con un marcato quanto finto accento pugliese). Non capisce che le sue melliflue offerte servono solo a spingerlo su una strada che non porta ad un paradiso dove vivere con la compagna. Al contrario, ad aspettarlo c’è un inferno da cui si può uscire in un solo tragico modo. Perché nessun premio può spettare a chi si fa spia contro i suoi stessi colleghi.
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Film dal forte impegno a favore degli ultimi, Palazzina LAF lascia lo spettatore ridere del suo protagonista per sottolineare maggiormente il dramma di cui è l’unico a non accorgersi. Perché i lavoratori altamente qualificati non sono dei privilegiati pagati per non fare nulla. Essere costretti a ingannare il tempo tra preghiere e giochi, dormite e crisi isteriche non è una meta a cui aspirare. Al contrario, i reclusi della palazzina sono le vittime indifese di quello che fu il primo esempio di mobbing su larga scala in Italia. Un caso giudiziario che il film segue dapprima con simpatica ironia attraverso lo sguardo ignorante di Caterino. Per lasciare poi il posto ad una cronaca fedele dei racconti di chi quell’esperienza ha subito e che ha poi registrato nei verbali del processo.
Palazzina LAF si fa scudo degli eccessi macchiettistici del suo Caterino per non farsi ferire dai rovi acuminati di una discesa agli inferi che intende percorrere fino alla fine. Perché è questo che deve fare il cinema quando vuole farsi veicolo di impegno sociale. Ed è questo che Riondino e il resto del cast fanno con convinta partecipazione motivata anche dal vissuto personale. Giova, infatti, ricordare che il padre di Riondino lavorava all’ILVA e Vanessa Scalera è anche lei pugliese.


The monk and the gun
Bhutan, 2006: il re ha abdicato a favore del giovane principe ereditario. Tutto parte di un progetto che prevede la trasformazione del paese in una monarchia costituzionale. Inoltre il paese si è appena aperto all’Occidente con l‘introduzione della televisione e di Internet. Le prime elezioni libere sono alle porte, ma c’è un problema. Che significa elezioni? Come si vota? A che serve scegliere questo o quel partito? Perché non ci si può affidare al re come si è sempre fatto senza mai trovarsi male? Soprattutto, a che serve la democrazia?
The monk and the gun è il racconto divertito di storie diverse che si intrecciano in maniera casuale in un paese fuori dal mondo. Un’isola felice che non sentiva minimamente la mancanza di ciò che non aveva mai avuto. Ci sono i funzionari statali che devono organizzare una prova generale delle elezioni sfidando la diffidenza di gente che non capisce perché bisogna dividersi in fazioni distinte che si gridano addosso senza rispettarsi. C’è il monaco ingenuo che cerca un fucile perché così gli ha detto il suo maestro e non comprende perché l’americano voglia così tenacemente acquistarlo dandogli cambio roba inutile come i soldi o una collezione di pistole. Il contadino frustrato che cerca nelle elezioni un futuro diverso per la sua bambina a cui invece interessa solo avere una penna e una gomma cancellina per tornare a giocare con i suoi amici a scuola.
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Un collage di storie e personaggi che si uniscono in un finale ironico che accontenterà tutti anche se non hanno ottenuto quello che stavano cercando. Soprattutto, The monk and the gun è un film che, come il precedente Lunana dello stesso Pawo Choyning Dorji (candidato agli oscar nel 2022), trasporta lo spettatore in un mondo completamente diverso dal nostro. Un paese che ha eletto come suo obiettivo quello di massimizzare la felicità interna lorda invece che l’occidentale prodotto interno lordo. Un paradiso che magari può esistere solo tra le remote pendici dell’Himalaya. Ma in cui è sempre affascinante perdersi in un viaggio fuori dal tempo.


A la recheche
Adattare A la recherche du temp perdu di Marcel Proust in una sceneggiatura da proporre ad un mostro sacro del cinema italiano degli anni 70 è il compito che Ariane assegna a Pietro. Lei ha frequentato il mondo del cinema e dell’arte senza però farne mai davvero parte. Lui è uno scalcinato sceneggiatore il cui talento non è mai emerso dai film insignificanti a cui ha partecipato come autore. Sono solo loro due, interpretati da Anne Parillaud e Giulio Base, gli unici personaggi in scena in A la recherche, diretto dallo stesso attore italiano (sebbene recitato in francese).
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Un cinema da camera che vive dei continui dialoghi serrati tra i due protagonisti che si avvicinano e si respingono in un gioco di uguali che non vogliono riconoscere quanto siano simili. Perché ognuno vede nell’altro le verità su sé stesso che non vuole confessare. I fallimenti di chi ha solo visto da lontano il mondo in cui avrebbe voluto vivere. Le contraddizioni di chi vorrebbe vivere secondando ciò in cui crede, ma è troppo debole per rinunciare a comode ipocrisie. A la recherche si perde in questa inarrestabile dialettica che nulla risparmia confrontandosi anche con il giudizio sui protagonisti del cinema di quegli anni e con i temi sociali che fanno capolino da radio e giornali.
A la recherche è un film che, nonostante l’encomiabile impegno dei due attori, finisce per parlarsi addosso. Un flusso ininterrotto di parole che vanno e vengono come le cabine di una ruota panoramica. Che continua a girare portandoti in alto e in basso, ma senza andare mai da nessuna parte.