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Per primo hanno ucciso mio padre: la recensione del film diretto da Angelina Jolie per Netflix

Titolo: Per primo hanno ucciso mio padre (First They Killed My Father: A Daughter of Cambodia Remembers)

Genere: biografico

Anno: 2017

Durata: 136 minuti

Regia: Angelina Jolie

Sceneggiatura: Loung Ung, Angelina Jolie

Cast principale: Phoeung Kompheak, Sveng Socheata, Sareum Srey Moch, Tharoth Sam

Per primo hanno ucciso mio padre è un film biografico prodotto da Netflix e diretto da Angelina Jolie; attrice, produttrice cinematografica e regista statunitense con cittadinanza cambogiana. La Cambogia è un paese del Sud Est Asiatico di circa 15 mila abitanti che a partire dal diciannovesimo secolo è stata teatro di conflitti e genocidi.

Per primo hanno ucciso mio padre è molto più di un film di guerra

Con questo suo ultimo progetto, infatti, la regista Angelina Jolie affronta il tema del massacro cambogiano, in cui morirono 2 milioni di persone, attraverso gli occhi di una bambina e quindi di un nucleo familiare che rimane travolto dall’ondata di odio e di violenza che ha travolto la Cambogia a partire dal 1973, anno in cui le truppe statunitensi abbandonano il paese.

Per primo hanno ucciso mio padre

Avvenimento cruciale per le sorti della popolazione cambogiana che in un lasso di tempo esiguo, da paese neutrale ed economicamente prospero che era, si ritrova a fronteggiare uno scenario apocalittico in cui ogni traccia, ogni emblema della società cambogiana è stato brutalmente rimosso ed estirpato dagli emissari di Angkar, scellerato leader degli Khmer e del Partito Comunista di Kampuchea che, tramite la violenza inaudita delle sue truppe, instaurò un clima di violenza che portò alla distruzione dei tratti somatici della società cambogiana che proprio in quegli anni, prima dell’ingiustificato intervento militare degli Stati Uniti, si stava affacciando al modernismo del secondo dopoguerra dopo anni di opprimente dominazione coloniale perpetrata dai conquistatori francesi.

Nonostante tutto Per primo hanno ucciso mio padre non è un film di politica che si schiera nettamente dall’una o dall’altra parte della trincea. L’ultimo lavoro della regista Angelina Jolie si sofferma piuttosto sugli effetti sociali e sull’analisi di un fenomeno, che ad oggi, viene connotato da un termine ben preciso: genocidio.

Il genocidio cambogiano attraverso gli occhi di Angelina Jolie

Il film, tratto da un soggetto di Loung Ung, inizia proprio dagli ultimi scampoli di normalità concessi alla famiglia di Luon Ung, una bambina di 5 anni e ai suoi 5 fratelli. Una quotidianità felice e distesa, dovuta anche alla posizione lavorativa del padre, funzionario dell’esercito cambogiano, che però si incrina già nelle scene a seguire in cui la preoccupazione per l’abbandono delle truppe statunitensi traspare nei volti e nei discorsi degli adulti.

Loung però è una bambina molto perspicace, avverte che qualcosa sta per cambiare drasticamente nella sua vita. Giunge quindi il momento di abbandonare la città, le kefie a scacchi degli Khmer avanzano ordinando alla popolazione di raccogliere i beni di prima di necessità e gli effetti personali indispensabili perchè la città verrà, a detta dei militanti, bombardata nel breve termine.

Inizia così la seconda vita di Loung e della sua famiglia. Camminano per giorni lungo un percorso tracciato dai rivoluzionari, dove già si iniziano a intravedere i danni perpetrati dagli emissari di Angkar: monaci buddisti schiavizzati e sbeffeggiati in quanto effige di un mondo che ormai fa parte di un passato da rimuovere, funzionari del governo trucidati davanti agli occhi di tutti, bambini costretti a lavorare nei campi, picchiati, seviziati ed educati già in tenera età alla guerra. In questo film è molto presente la tematica dei bambini soldato, parte integrante delle milizie rivoluzionarie.

Per primo hanno ucciso mio padre

Loun e i suoi fratelli, ignari di quello che sta succedendo, si ritrovano catapultati in una realtà che non gli appartiene e capiscono in fretta che la vita che avevano vissuto fino a quel momento non esiste più. Rimane solo qualche foto sgualcita e una camicia a fiori da custodire segretamente per evitare di essere scoperti dai militari, che inneggiano alla distruzione di tutti gli elementi provenienti dal mondo occidentale, portatore sano dei germi tossici del capitalismo che avrebbe provocato la rottura del caduco idillio cambogiano.

Ma c’è una cosa che i militanti di Khmer non potranno mai requisire: i ricordi

Loung e i suoi fratelli osservano Ma, la madre afflitta e spaventata, ricordando con gioia e malinconia la vanità, la bellezza e la giovialità di una donna alla quale hanno rubato la dignità.

Ricordano i pranzi luculliani per mettere a bada i morsi delle fame, le carezze di Pa per lenire le ferite provocate dalle botte e dalle percosse dei controllori, bestie con sembianze umane che picchiano e uccidono chiunque sia sospettato di agire alle spalle del regime, anche una bambina indifesa che ha rubato un fagiolo dopo una giornata di lavoro nei campi della comune.

La caparbietà e l’istinto di sopravvivenza dei protagonisti, però, conduce a un finale tutto da scoprire, che cancellerà i segni e le lacrime e tutte le conseguenze prodotte dal conflitto.

Soprusi, schiavitù, violenza, infanticidi, fame, torture, esecuzioni, trucidazioni, crudeltà inaudita: la seconda parte del film è un colpo assestato alla sensibilità che ognuno di noi ha. Un turbine emozionale che fa sì che lo spettatore si immedesimi negli occhioni della piccola Loung, sensazionale interprete che risponde al nome di Sareum Srey Moch, nell’umanità di Pa (Phoeung Kompheak) e Ma (Sveng Socheata), genitori che si trovano inermi di fronte alla brutalità inaudita del conflitto interno che ha ormai stravolto l’anima caritatevole e spensierata di un popolo.

Per primo hanno ucciso mio padre è un film magistralmente diretto che eccelle in quanto a dialoghi, scenografia, fotografia e scelta del cast. Il senso di questa pellicola è racchiuso nello sguardo, nelle lacrime e dei gesti della piccola Loung e di tutti gli altri interpreti che hanno reso questo progetto, un vero e proprio gioiello di cinematografia che mi ha strappato il cuore.

Per primo hanno ucciso mio padre

Devo ammettere che per me non è stato facile. Sono rimasto incantato dalla fisicità e dell’umanità dei suoi protagonisti e tutti gli altri attori che hanno partecipato alla realizzazione di questo progetto, magistralmente diretto da Angelina Jolie. Figlia di una Cambogia controversa che ha fagocitato se stessa a causa di una politica internazionale sconclusionata, condotta dagli Stati Uniti negli anni della guerra del Vietnam. Una tematica che viene denunciata più volte all’interno del film anche attraverso video e immagini di repertorio degli allora presidenti della federazione americana, Nixon e Ford in particolare.

Per primo hanno ucciso mio padre è un film duro, diretto, scevro dei clichè dei prodotti cinematografici legati alla guerra e alla geopolitica, che fa perno sull’umanità dei suoi interpreti, descrivendo un avvenimento della storia recente in maniera del tutto apolitica.

Per primo hanno ucciso mio padre frantumerà gli scudi emozionali che ci portiamo addosso. Vulnerabile, indifeso, e trafitto, ecco come mi sono sentito dopo aver visto questo film.

Salvatore Giannavola

Esemplare ghiotto di notizie, onnivoro di contenuti con un occhio di riguardo per il cinema in tutte le sue forme.

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