
Passengers: la recensione del film con Chris Pratt e Jennifer Lawrence
Titolo: Passengers
Genere: fantascienza, avventura, amore
Anno: 2016
Durata: 1h 56m
Regia: Morten Tyldum
Sceneggiatura: John Spaiths
Cast principale: Chris Pratt, Jennifer Lawrence, Martin Sheen, Laurence Fishburne
Sei un regista con non ancora molti film in curriculum, ma sei stato bravo a guadagnarti una nomination agli oscar per la tua ultima fatica realizzando un’opera intelligente e profonda. Proprio questo successo ti fa piovere addosso una chiamata inaspettata direttamente da una major di Hollywood. Che però ti chiede di dirigere un film di fantascienza ad alto budget e con un cast di star dal cachet plurimilionario. E poi scopri anche che la prima sceneggiatura del film che ti hanno proposto risale al 2007 e non sei stato proprio la prima scelta perché già ci hanno provato a realizzare questo film, ma per motivi vari ed eventuali il progetto non è finora mai andato in porto. Qualche domanda cominci a portela, soprattutto perché non è il tuo genere e le major non sono famose per la libertà che lasciano ai propri registi. Soprattutto quando hanno investito molto e mal digerirebbero vedere attori strapagati usati col contagocce perché la tua idea di film prevede un one man show intellettuale con poche concessioni agli standard fracassoni di un blockbuster in salsa sci-fi.

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Lost in Space?
Concepito con queste tutt’altro che incoraggianti premesse e figlio di un difficile compromesso tra le non proprio conciliabili esigenze del regista Morten Tyldum (autore del delicato e intimista The Imitation Game) e della Columbia Pictures, interessata, ovviamente, solo ad una macchina accumula soldi per rientrare del ricco cachet concesso a Chris Pratt e Jennifer Lawrence, Passengers finisce per essere troppe cose per non esserne davvero nessuna. Una contraddizione in termini che pure non si può fare a meno di notare come si sia riusciti nella mirabile impresa di rendere possibile una palese antinomia. Eppure, il punto di partenza non era poi tanto male per quanto non particolarmente originale.
Una nave stellare, dal design innegabilmente lodevole, trasporta 5000 volontari e 258 membri dell’equipaggio in un viaggio della durata di 120 anni vero una colonia privata su un pianeta lontano, dove ognuno potrà cominciare una nuova vita dopo l’inevitabile sonno criogenico necessario a preservare intatta questa possibilità. Qualcosa va tuttavia storto ed il meccanico Jim Preston (Chris Pratt) viene risvegliato con 90 anni di anticipo, vedendosi quindi costretto a fare i conti con la drammatica prospettiva di vivere il resto dei suoi giorni nella assoluta solitudine di una nave dove l’unico altro essere parlante è l’androide Arthur (Michael Sheen), ottimo solo per scambiare chiacchiere intrise di banali luoghi comuni e filosofia spicciola da barman di hotel a cinque stelle.
Un’occasione mancata?
Possono bastare gli agi extralusso estorti con perizia tecnica a riempire il vuoto che è intorno a te? Possono gli applausi virtuali per un canestro ben riuscito o una gara vinta a Just Dance rompere il silenzio di una astronave addormentata in cui sei l’unico che non può dormire? Fluttuare nell’immensità delle stelle è una ricompensa sufficiente a risarcire un errore impensabile che è una condanna a vita che può finire solo in un unico modo?
Domande che indirizzerebbero il film verso quel tipo di fantascienza riflessiva e attenta più alle persone che alle cose che ultimamente sta riscuotendo un meritato successo di pubblico e critica. Era questo il Passeggers che avrebbe voluto realizzare Tyldum (stando a quanto dichiarato in qualche intervista promozionale). E magari ci sarebbe anche riuscito a piegare in un ruolo tanto intimista un attore come Chris Pratt abituato però ad interpretare l’eroe piacione dalla battuta pronta, i modi coraggiosi e la moralità flessibile (insomma, Starlord di Guardiani della Galassia per intenderci).

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Una storia d’amore tra le stelle?
Solo che. Solo che nel cast di Passengers non c’è solo Pratt, ma anche e soprattutto visto i costi, Jennifer Lawrence. A cui non puoi far fare la parte della bella addormentata, nonostante il suo personaggio Aurora Lane abbia lo stesso nome della iconica principessa Disney. Tocca che partecipi anche lei al film e in maniera più che attiva. C’è bisogno, insomma, che anche lei sia sveglia (e questo ce lo mostra il trailer per cui siamo ancora no spoiler). Qui finisce il film di Tyldum e ne inizia un altro che non si sa bene chi abbia scritto. Sicuramente qualcuno con poca fantasia dal momento che Jim e Aurora diventano protagonisti della più classica delle storie d’amore, che ripercorre la scontata sequenza che vede due personaggi di differente estrazione sociale e culturale (meccanico squattrinato lui, scrittrice ricca lei) ritenersi troppo diversi per stare insieme subito prima di diventare inseparabili. Un canovaccio scontato che almeno avrebbe potuto essere rinfrescato dalla possibilità di indagare perché due persone senza apparenti problemi personali decidano di lasciare tutto e tutti, imbarcandosi in un viaggio senza ritorno verso un futuro dove avranno perso tutto ciò che gli era caro alla partenza. Ma niente di tutto ciò avviene a parte due rapidissime risposte poco credibili e nettamente insufficienti.

Passengers: avventura nello spazio profondo?
Passengers diventa quindi una storia d’amore? Neanche. Perché pure questo secondo film si interrompe bruscamente per lasciare spazio ad una anche qui già vista avventura nello spazio, con i buoni che devono sacrificarsi per salvare il mondo (e poco importa che stavolta il mondo sia solo una astronave alla deriva perché, a tutti gli effetti, quello è il loro unico mondo). Al difetto di originalità che già aveva macchiato la storia d’amore si aggiunge ora anche una violenta richiesta di sospendere del tutto ogni credibilità.
Perché, se già era una forzatura accettare che un meccanico senza alcuna preparazione specifica fosse in grado di capire tutto di una nave spaziale leggendo schematici manuali di istruzione, decisamente oltre i pur larghi confini della realtà è credere che il salvataggio sia possibile nel modo in cui avviene (di cui non diciamo nulla per essere no spoiler, ma anche per non dare libero sfogo a termini poco educati ma adatti a descrivere lo stratagemma ideato). Bonus ulteriore che è poi un ennesimo malus arriva, infine, da un palese plagio di The Martian con buona pace di chi cercava tracce disperse di creatività.
A risparmiare a Passengers la meritata umiliazione di un voto scadente e a risparmiargli la degradante punizione dello stare in ginocchio sui ceci, è il comparto visivo grazie al design dell’astronave, alle sue lussuose facility, alla spettacolarità delle scene spaziali. Troppo poco per un film che voleva essere altro ed ha finito per essere una serie di tentativi interrotti. Una somma che non fa un totale.
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