
Oppenheimer: la fisica prima e dopo la bomba
Come già aveva fatto con Interstellar, anche con Oppenheimer Christopher Nolan non lascia che la finzione scenica interferisca con la realtà scientifica. Fatte salve alcune inevitabili semplificazioni e necessarie drammatizzazioni, niente di ciò che nel capolavoro del regista inglese si vede e si sente è scorretto da un punto di vista della pura fisica. Tanto corretto che, qualora foste interessati a sapere qualche dettaglio in più, potreste domandare ad un laureato in questa ostica materia.
Toh, guarda caso in redazione a Telefilm Central ce n’è uno. Il sottoscritto che proverà a darvi qualche approfondimento su cosa Nolan ha mostrato, cosa ha ridotto e cosa ha lasciato allo spettatore scoprire.

Oppenheimer prima del progetto Manhattan
J. Robert Oppenheimer passerà alla storia per aver diretto il progetto Manhattan diventando così, come con rabbia sottolinea Lewis Strauss in una delle sue ultime invettive, l’uomo più importante della storia. Il prometeo moderno che ha dato agli uomini il potere supremo, quello di distruggere l’intera creazione. Ma per arrivare a questa posizione il brillante fisico statunitense ha dovuto prima divenire un protagonista di quella nuova fisica che Niels Bohr, Max Planck, Albert Einstein, Werner Heisenberg, Max Born avevano fatto nascere. Come il film mostra, sarà proprio Oppenheimer a introdurla a Berkeley grazie al prestigio guadagnato con gli studi in giro per i luoghi dove quella scienza ha visto la luce.
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Nolan mostra sullo schermo dei flash improvvisi che appaiono come visioni del giovane Oppenheimer. Particelle che si muovono lente in modo apparentemente caotico e ellissi che oscillano frenetiche nel vuoto. Non è una scelta puramente stilistica. Quelle particelle sono i nuclei delle molecole e le ellissi gli orbitali su cu si muovono i loro elettroni. Nuclei lenti ed elettroni velocissimi. Sarà proprio partendo da questa osservazione che Oppenheimer e Born formuleranno nel 1927 quella approssimazione di Born – Oppenheimer che è ancora oggi lo strumento teorico che permette di studiare i fenomeni chimici a livello atomico. Una intuizione che renderà famoso il nome dell’allora appena ventireenne studente.


Le stelle nere ossia i buchi neri
Quel primo lavoro sarà solo il primo di un lungo elenco di contributi in diversi campi della fisica teorica che non menzioniamo sia per ovvi motivi di spazio sia perché non appaiono nel film di Nolan. Sono ancora delle visioni a introdurre il secondo contributo fondamentale di Oppenheimer alla fisica del suo tempo. Le fiamme che squarciano il cielo buio collassando verso l’interno non sono, come si potrebbe credere, un riferimento anticipato alla bomba atomica. Sono, invece, un omaggio a quello che, da un punto di vista squisitamente scientifico, è la più importante scoperta di Oppenheimer. Nella gita nel deserto, il suo collega Lawrence le chiamerà erroneamente stelle nere. Oggi le conosciamo come buchi neri.
Fu, infatti, proprio Oppenheimer a dimostrare che potessero esistere. Senza entrare in troppi dettagli tecnici, vale la pena ricordare che, giusto un anno dopo la pubblicazione della teoria della relatività generale di Einstein nel 1915, Karl Schwartzschild, mentre era al fronte durante la prima guerra mondiale, aveva trovato una soluzione matematica delle equazioni che prevedeva un corpo la cui gravità fosse così forte da impedire anche alla luce di scappare. Nessuno aveva però dimostrato che tale corpo potesse veramente esistere in natura ossia che si potesse raggiungere la densità necessaria.
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Hans Bethe (che, come il film mostra, diventerà il capo della divisone teorica del Progetto Manhattan) aveva scoperto come le stelle potessero generare, tramite reazioni di fusione nucleare, l’energia sufficiente a bilanciare l’effetto della gravità. Subrahmanyan Chandrasekhar aveva poi calcolato quale fosse la massa che una stella doveva avere per esplodere dopo aver consumato tutto il combustibile di idrogeno prima, elio poi. Nessuno pensava, quindi, che una stella potesse raggiungere la densità necessaria a diventare un buco nero. Fu proprio Oppenheimer in una serie di lavori a calcolare quale dovessero essere le condizioni per cui una stella potesse evolvere fino allo stato di buco nero. Sorpresa: era possibile raggiungerle. Una scoperta che diede il la alla ricerca di questi affascinanti oggetti astrofisici.


Le bombe del progetto Manhattan
Buona parte del film di Nolan è incentrato ovviamente sul ruolo di Oppenheimer nello sviluppo del progetto Manhattan. Basterà dire che tutta la narrazione è ragionevolmente accurata e non ci sono inesattezze gravi da segnalare. L’importanza di alcune figure è stata ridotta, ma in verità questa è una scelta ampiamente giustificata dall’essere il film dedicato ad Oppenheimer e non al progetto Manhattan in quanto tale. Si può, perciò, ampiamente accettare, ad esempio, l’aver fatto apparire Enrico Fermi quasi come una comparsa, quando invece fu proprio la sua scoperta del modo di generare una reazione a catena a rendere possibile la bomba atomica.
Vogliamo qui, invece, soffermarci sul significato delle biglie fatte cadere nella grossa sfera di vetro e nel bicchiere. Stanno ad indicare visivamente lo stato degli approvvigionamenti di uranio 235 e plutonio 239 disponibili per la costruzione dei due tipi di bombe atomiche che saranno realizzate a Los Alamos. Perché due? E perché sono così diverse le dimensioni dei contenitori? Entrambe sono bombe a fissione basate sull’enorme rilascio di energia che si ottiene innescando una reazione a catena in cui neutroni vengono sparati su nuclei (di uranio o plutonio) per spezzarli. Lo stesso fenomeno è alla base sia della bomba che dei reattori usati nelle centrali nucleari. La differenza la fanno sia la velocità dei neutroni che la densità del materiale bersaglio. Affinché la reazione divenga esplosiva, la densità deve essere maggiore di un valore critico e i neutroni devono essere veloci. Ci sono appunto due modi per raggiungere queste condizioni.
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Cominciamo da The Gadget, la bomba che verrà fatta esplodere nel Trinity Test e che sarà poi replicata da Fat Man, quella sganciata su Nagasaki. Si tratta di una bomba al plutonio, un materiale che rilascia molta più energia ed è molto più instabile. Ne serve, quindi, una quantità minore da cui la dimensione inferiore del bicchiere rispetto alla boccia di vetro. Solo che il plutonio non esiste in natura per cui va prodotto tramite un processo che parte appunto dall’uranio. Una volta ottenuta la quantità giusta, bisogna comprimerlo alla densità critica e sparargli contro i neutroni.
A creare le giuste condizioni di densità ci pensavano le lenti implosive ossia quegli spicchi montati intorno alla palla centrale. Sono degli esplosivi convenzionali, ma realizzati in maniera tale da esplodere verso l’interno comprimendo così il plutonio. Questo a sua volta verrà spinto verso il centro dove impatterà con una modesta quantità di berillio e polonio. Sono questi a rilasciare i neutroni che servono per avviare la reazione.
Diversa e concettualmente più semplice è il meccanismo alla base di Little Boy, la bomba che invece su lanciata su Hiroshima. Stavolta, le condizioni di densità critica e la produzione di neutroni si ottengono sparando un blocco di uranio 235 contro una quantità dello stesso materiale posto alla fine di un condotto cilindrico. Di nuovo, ad azionare il meccanismo è una prima esplosione convenzionale che spinge il proiettile contro il bersaglio. L’energia rilasciata è inferiore. Si stima, infatti, che Little Boy produsse una esplosione della potenza di 12 – 18 kilotoni contro i 25 di The Gadget. Serve, quindi, molto più materiale per ottenere un effetto simile a quella a plutonio e perciò una boccia più grande.
L’ostacolo da superare è, ancora una volta, il fatto che l’uranio 235 in natura è quasi assente. Si trova, infatti, l’uranio 238 (che ha tre neutroni in più nel nucleo) che non è instabile e quindi non adatto per una bomba. A inventare un processo per produrre uranio 235 da quello 238 fu proprio il gruppo di Berkeley di Ernest Lawrence, il vicino di ufficio di Oppenheimer.


I nazisti e l’atomica
Una forte spinta alla creazione del progetto Manhattan venne dalla lettera che Albert Einstein e Leo Szilard scrissero al presidente Truman segnalandogli la possibilità che i nazisti arrivassero per primi a realizzare un’arma atomica. Di fatto, così non fu tanto che lo stesso Szilard si fece promotore del movimento contro l’uso di quella stessa bomba che aveva proposto di sviluppare per primi. Eppure, i timori dello scienziato di origine ungherese erano fondati. A realizzare per primi la fissione nucleare furono i chimici tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassman. Ad interpretare i risultati e coniare il termine fissione era stati Lise Meitner e Otto Robert Frisch. Il maggiore esperto nella produzione dell’uranio era Carl Friedrich von Weiszacker. Anche i migliori teorici erano in Germania guidati da quel Werner Heisenberg che lo stesso Oppenheimer ammirava come maestro inarrivabile. Perché non avrebbero dovuto riuscirci?
La storia dice che fortunatamente fallirono. Ma perché? Una risposta univoca è difficile da dare, ma forti indizi si ottennero dopo la guerra quando gli inglesi rapirono otto dei leader del progetto atomico tedesco tra cui gli stessi von Weiszacker e Heisenberg. Gli otto furono rinchiusi agli arresti domiciliari a Farm Hall con la precisa intenzione di registrare le loro conversazioni. In particolare, dopo l’annuncio dell’esplosione della bomba di Hiroshima, emerse l’incredulità del gruppo con, in particolare, Heisenberg convinto che la notizia fosse un falso. Secondo i suoi conti sarebbero servite 10 tonnellate di uranio per ottenere una reazione a catena esplosiva. Un errore madornale dato che ne bastarono 40 chili. Proprio questa sovrastima aveva spinto il programma atomico tedesco verso lo sviluppo di un reattore che rendesse più efficiente la produzione di uranio e che potesse eventualmente esplodere.
L’assenza di informazioni impedì al gruppo di Heisenberg di accorgersi dell’errore e indirizzò la ricerca sulla strada sbagliata. A questo contribuì anche la convinzione errata che fosse necessaria acqua pesante (ossia acqua in cui l’idrogeno è sostituito dai suoi isotopi deuterio e tritio) per il progetto. Convinzione rafforzata indirettamente da un’operazione di sabotaggio anglo – norvegese che aveva distrutto l’unico stabilimento di produzione sotto controllo tedesco.


Oppenheimer e Einstein (e l’atmosfera)
In una delle scene più importanti del film di Nolan, Oppenheimer incontra Einstein dopo la guerra commentando quello che è accaduto allora e soprattutto dopo. Diciamolo chiaramente: questa è la parte totalmente frutto della fantasia del regista. Non perché Oppenheimer ed Einstein non si conoscessero. Si erano sicuramente incontrati più volte sia prima che dopo il progetto Manhattan. Eppure, Oppenheimer non lo invitò a far parte del gruppo di scienziati incaricati di costruire quella bomba che Einstein aveva incautamente suggerito a Truman nella lettera con Szilard. Il motivo è che Einstein di fisica nucleare non si era mai occupato veramente. Soprattutto, era uno strenuo oppositore dell’interpretazione che Bohr e Born, maestri di Oppenheimer, avevano dato della meccanica quantistica.
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Altrettanto falso è, quindi, che Oppenheimer avesse chiesto ad Einstein di verificare i conti di Teller che prevedevano una possibilità non nulla che la bomba atomica incendiasse l’atmosfera. A rifare quei conti fu innanzitutto Bethe perché era quello il suo campo di ricerca. Teller aveva, infatti, previsto che il calore rilasciato nell’atmosfera sarebbe stato sufficiente a innescare una reazione di fusione nucleare. Non dell’idrogeno, ma dell’azoto che è il principale gas che compone l’atmosfera. Bethe ci mise poco a dimostrare che non era possibile e, in verità, lo stesso Teller rifece i conti arrivando alla stessa conclusione. La probabilità era quel quasi zero che Oppenheimer da a Groves come stima. Un quasi zero che, in realtà, era talmente basso che nessuno se ne preoccupò mai davvero.


Dopo la bomba
Il progetto Manhattan ha rappresentato sicuramente il momento più importante nella vita di ognuno di quelli che vi presero parte. Cosa sia stato di Oppenheimer dopo la fine della guerra è raccontato magistralmente da Nolan. Come sono procedute, invece, le carriere dei più importanti tra i fisici coinvolti è storia molto più lunga dato il numero elevatissimo di personaggi da citare. Ci limiteremo ai più importanti.
Una menzione la merita sicuramente Edward Teller che il film dipinge prima come una mente tanto brillante quanto insofferente alle imposizioni di Los Alamos. Come lo stesso film fa capire, l’importanza di Teller crescerà dopo la guerra grazie a Lewis Strauss e alla rincorsa all’arma più potente voluta da Truman. Sarà proprio Teller a realizzare la bomba H basata sul rilascio di energia che avviene dopo la fusione di nuclei di deuterio e tritio. Si tratta dello stesso meccanismo che fa vivere le stelle, ma per accendere questa fornace solare è necessario portare gli ingredienti a temperature e pressioni tanto elevate che solo una esplosione atomica può generare. Oggi le ricerche sulla produzione di energia tramite la fusione nucleare hanno dimostrato che esistono vie alternative e pacifiche, ma a Teller interessavano quelle distruttive.
Teller apparteneva a quel clan degli ungheresi che contribuì a sviluppare la meccanica quantistica e la fisica nucleare negli Stati Uniti dopo esservi giunti per sfuggire alle persecuzioni naziste. Li accomunava la comune nazionalità, ma li dividevano nettamente le idee sull’utilizzo dell’atomica. Altro eminente membro del gruppo era, infatti, proprio quel Leo Szilard che si oppose con forza al lancio delle bombe su Hiroshima e Nagasaki. Dopo la guerra, Szilard cambiò ambito di ricerca nonostante fosse stato lui a ideare il concetto di reazione a catena. Al contrario, fondò con Einstein il Comitato degli Scienziati Atomici i cui membri si impegnavano a non avere a che fare con i militari per lo sviluppo di armi.
Del clan faceva parte anche quello che è il grande assente nel film di Nolan. Ad ideare, infatti, le lenti implosive che hanno fatto funzionare The Gadget fu John von Neumann. Fu anche lui a calcolare a che altezza dovessero essere fatte esplodere le bombe su Hiroshima e Nagasaki per rendere massimo il potere distruttivo. Dopo la guerra, von Neumann supportò attivamente lo sviluppo della bomba H spingendosi a suggerire addirittura di usarla preventivamente contro i sovietici per annientarli prima che sviluppassero un proprio programma atomico. Considerato da alcuni una sorta di genio del male, von Neumann è oggi principalmente ricordato per aver inventato l’informatica. Si deve, infatti, a lui la teorizzazione dei modelli su cui si basa ancora oggi l’architettura dei computer.
Non si espose più in prima fila, ma non rinnegò il proprio lavoro anche Ernest Lawrence che ad Oppenheimer fu sempre molto vicino. Le sue ricerche avevano permesso di scoprire il plutonio e di produrre l’uranio necessari per le bombe atomiche. Non è un caso, quindi, che a lui sono intitolati i Lawrence Livermore National Laboratory dove sono ancora oggi condotti gli studi sugli armamenti di nuova generazione.
Al nostro compatriota Enrico Fermi è, invece, intitolato il più prestigioso premio per la fisica nucleare e uno dei più importanti laboratori di ricerca. D’altra parte, fu Fermi (supportato dal suo gruppo a Chicago) a realizzare la prima reazione a catena controllata auto alimentata. Ideò anche il metodo per misurare la potenza dell’esplosione di The Gadget. E fu ancora lui a far parte del comitato che espresse il parere positivo sul lancio dell’atomica sul Giappone. Insomma, se anche non diresse personalmente il Progetto Manhattan, Fermi fu uno degli oracoli a cui lo stesso Oppenheimer si rivolgeva quando cercava consigli. Dopo la guerra, si oppose allo sviluppo della bomba di Teller, ma morì pochi anni dopo, nel 1954, lasciando il suo antico direttore da solo in questa battaglia contro l’atomica.
Altro nome che Oppenheimer volle fortemente fu quello di Hans Bethe. Paradossalmente, Bethe si oppose da subito allo sviluppo della bomba H nonostante si basasse sul fenomeno della fusione nucleare di cui lui era il massimo esperto. A Bethe dobbiamo, infatti, la spiegazione del meccanismo che genera energia nelle stelle tramite il bruciamento dell’idrogeno in quello che è appunto chiamato ciclo di Bethe.
Molti anni dopo, Bethe accettò l’invito di George Gamow ad aggiungere il suo nome alla lista degli autori di un articolo i cui due altri firmatari erano lo stesso Gamow e il suo studente Ralph Alpher. In questo modo, il lavoro sarebbe stato firmato da Alpher – Bethe – Gamow riecheggiando le prime tre lettere dell’alfabeto greco. Il perché di questa scelta? Semplicemente a Gamow sembrava carino che le prime tre lettere che danno inizio all’alfabeto fossero i nomi dei tre che stavano spiegando come è iniziato l’universo. Sebbene non avesse elaborato l’idea iniziale, Bethe contribuì poi fattivamente al suo sviluppo. Si trattava della teoria del Big Bang. Un grande scoppio non per distruggere l’universo, ma per crearlo.
Tra i più giovani del gruppo vale la pena, infine, ricordare Richard Feynman. Nel film di Nolan lo si nota più che altro per essere quello che suona i bonghi. Particolare storicamente accurato perché Feynman ne fu sempre un grande appassionato. Ma fu soprattutto uno dei maggiori fisici teorici del dopoguerra, capace di dare contributi fondamentali alla meccanica quantistica. A confermarlo il premio Nobel ricevuto nel 1965. Feynman divenne anche famoso per i suoi modi non convenzionali che lo resero un ottimo divulgatore e un personaggio noto anche al di fuori dell’accademia. Fece anche parte della commissione che indagò le cause del disastro dello shuttle Challenger in cui persero la vita sette astronauti.