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Once upon a time – Recensione dell’episodio 2.21 – Second star to the right

Nell’economia di una serie dalla qualità abbastanza traballante come Once upon a time, Second star to the right avrebbe dovuto assolvere a un compito abbastanza importante: farci dimenticare (semmai fosse stato possibile) quel disastro di scrittura che è stato il precedente The evil queen, o quantomeno riparare a qualche suo imperdonabile refuso (su tutti, la degradazione scritturale di un personaggio come Regina). Mettiamolo subito in chiaro: l’episodio – fatta eccezione per la parte dedicata a the dark side of Peter Pan Neverland – non ci riesce per nulla, anzi: se prima eravamo nella padella, con questo penultimo episodio siamo precipitati nella brace dell’assurdità.

3Di solito non amo fare troppi riferimenti alla trama dell’episodio, ma qualcuno mi perdonerà se indugerò in un sunto della questione, perché questa volta è proprio da qui che devo partire perché possa motivare appieno il mio totale sconcerto e il mio appello affinché gli autori cambino spacciatore. Quindi in sostanza ecco quello che succede.
Quei furboni della famiglia reale sono coinvolti nella peggiore trama investigativa mai vista: Emma continua con le sue congetture di aria fritta su Tamara, la sabbia nell’armadio e le corse sulla spiaggia. Mary Margaret e David si recano da Rumple perché c’è-sempre-un-favore-da-ricambiare (io ormai non mi ci raccapezzo più a proposito) e l’Oscuro, mentre gioca a fare l’Oscuro-Reloaded con un’insopportabile Belle-Reloaded (tale Lacey), confeziona un incantesimo nuovo di zecca basato sulle lacrime di Snow e Regina (?!) che dovrebbe creare una sorta di telepatia fra le due e quindi localizzare Regina e salvarle la vita (sennò Henry piange e il cuore della Mary resta oscuro per sempre, sigh sigh). Nel frattempo Regina, prima di essere fritta con un improbabile elettroshock, è impegnata in una conversazione con i ”due idioti” (finalmente qualcuno lo ha detto) di Greg e Tamara per stabilire chi è il più cattivo del reame (e no, non vince nessuno perché la più cattiva era Cora e gli autori ce l’hanno ammazzata). ”Insomma, la più cattiva sono io e voi vi illudete di poter rubare la magia?” dice Regina. E a questo punto scopriamo la sconcertante (siete sconcertati?) verità: loro non sono a Storybrooke per rubare la magia, no-no! Greg e Tamara, insieme al loro bel Quartier Generale dei Credenti (?!) hanno una missione ben diversa: eliminare la magia dal mondo, perché quello non è il suo posto e la magia è cattiva (cosa che dice anche Baelfire a Wendy ma poi ci arrivo). Alla fine, nell’inseguimento più brutto mai visto, Greg e Tamara se la filano (complimentoni a Charming & figlia, veramente) e Neal, ferito a morte, finisce nel portale aperto da Tamara con il fagiolo magico mentre lui ed Emma si giurano amore eterno. Regina, commossa dal salvataggio di Mary M. (e sorprendentemente lucida dopo scariche elettriche che manco Sister Jude… lasciamo stare, va’), rivela che Greg e Tamara sono in possesso di un gioiello-finto-uscito-dalla-busta-delle-patatine ”interruttore” (!) che – concepito come sistema di sicurezza per la maledizione (!) – potrebbe cancellare l’isola Storybrooke e tutti i suoi abitanti.

Cos’è che non funziona? Praticamente tutto. Un nome che mi sento di fare (e non per lodarlo) è Michael Raymond-James (Neal). Insomma, chi 1lo ha scritturato e perché?! È un attore non dico pessimo (…), ma per niente adatto – né esteticamente, né mimicamente – al ruolo assegnatogli: non ha mordente, non ha pathos, dovrebbe essere fra i personaggi più belli e tormentati e invece risulta di una sciatteria e una pigrizia a dir poco irritanti. Per giunta, è abbastanza improbabile (poveri noi) che sia crepato veramente.
Da qui giungo in quel di Neverland: la parte dedicata all’Isola Che Non C’è, funziona. Attenzione, non ho detto che è un miracolo di scrittura, perché – ahimè –  siamo molto lontani da questo e il tutto è raccontato in modo fin troppo accelerato. Però funziona (voglio dire, sempre meglio di Storybrooke): l’ambientazione è curata, gli effetti speciali non sono ridicoli come al solito (fatta eccezione per le sequenze di volo, ma non siamo sulla HBO), gli attori-bambini sanno il fatto loro, la ri-scrittura di ”Peter Pan” è piuttosto interessante, e il nostro Hook a bordo della sua Jolly Roger forse ha qualcos’altro da raccontare. Resta il fatto che questo nuovo prologo non è sufficiente a salvare la seconda stagione di un serial che sembra aver perso completamente le redini della narrazione.

4Quando Cora fu introdotta nel presente, covai molti dubbi perché c’era già Regina come villain (un tempo) credibile e la cosa mi sapeva di sovraffollamento, di sovrapposizione superflua. Oggi mi rimangio tutto. Perché (botox a parte) Cora funzionava e dava alla trama spessore narrativo. Con la sua dipartita (autori mannaggia a voi), pare si sia perso qualcosa e i personaggi si sono completamente impantanati. Con l’introduzione di ‘sto Quartier Generale, poi, parlare di sospensione dell’incredulità è un pallido eufemismo. Si chiede decisamente troppo. La raison d’etre di questo nuovo nemico non sta in piedi e l’impianto narrativo risulta sempre più sfaldato.

Mi sento di spaccare il mio giudizio in due stavolta, perché – ribadisco – ho trovato abbastanza piacevole la re-interpretazione di tutto quel mondo meraviglioso creato da J. M. Barrie agli inizi del secolo scorso (perché non tutto è Disney e occorre ricordarlo di tanto in tanto). Naturalmente, però, ciò non basta. Perché è impensabile scrivere con i piedi il finale di una stagione in sé già scritta male. Perché è assurdo caratterizzare i personaggi in modo a dir poco schizofrenico. Perché Once upon a time è un esempio perfetto di un potenziale di scrittura, a questo punto in modo abbastanza definitivo, miseramente sprecato.
Lascio il beneficio del dubbio per il final season, ma dubito che in quaranta minuti gli autori saranno in grado, sempre se questo è nelle loro intenzioni, di dare una sterzata in positivo agli enormi danni di questa stagione. Insomma, una flebile speranza per la prossima, qualora ci fossero ancora motivazioni per seguire questi avvenimenti ormai privi della benché minima direzione. A meno che Horowitz e Kitsis non si decidano a fare un obbligato passo indietro.

Antonio Manfuso

Scrittore in erba cresciuto a pane e Twin Peaks per poi trascorrere una spensierata adolescenza con Dawson's Creek e una gioventù variegata fra Prison Break e Lost. Nutre una malsana adorazione per Fringe e per i serial poco ortodossi come American Horror Story. Coltiva passioni europee come il vate Charlie Brooker.

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