
Nel Paese dei Coppoloni: la recensione del film con Vinicio Capossela
Titolo: Nel paese dei coppoloni
Anno: 2016 Durata: 104 min
Regia: Stefano Obino
Cast: Vinicio Capossela
“Chi siete? A chi appartenete? Cosa andate cercando?” sono le domande che Vinicio Capossela rivolge al suo pubblico in Nel paese dei coppoloni, il nuovo lavoro di Stefano Obino, ispirato all’omonimo e nuovo libro dell’eclettico artista italiano. Chi conosce, segue o ascolta questo cantante e scrittore, può aspettarsi di tutto da lui, da un suo album, da un suo libro e in questo caso anche da un film. Di tutto e di più, ma sicuramente qualcosa di inaspettato e affascinante.
Non esiste una storia vera e propria, non c’è una fabula prestabilita, ma un insieme di riflessioni su un paese realmente esistente, a metà strada tra storia, cultura, antropologia, cucina e, soprattutto, musica! Vinicio da abile, simpatico e colto cantastorie quale è ci guida con le sue parole e il suo personaggio di cantante-viandante in una (ri)scoperta di un mondo in cui il tempo sembra essersi arrestato, un mondo dimenticato e travolto dal flusso della vita contemporanea, che sembra aver cancellato il ricordo di quei luoghi. Egli con il suo inseparabile cappello ci accompagna attraverso i paesaggi e i paesi dell’Alta Irpinia, allietandoci con note di brani inediti dal prossimo album Canzoni della Cupa, istruendo, raccontando, riflettendo sul valore del passato e della fantasia creativa, che rende capaci di vedere una rocambolesca macchina volante in una trebbiatrice abbandonata e mezza distrutta in mezzo a un campo.
“Chi siete? A chi appartenete? Cosa andate cercando?”, ci ricorda con la sua voce profonda, lasciando a noi ampia possibilità di plasmare una risposta…
A Vinicio preme far riemergere una realtà inglobata dall’oblio, e proprio da quest’ultimo ammantata di un fascino accattivante, di una bellezza melodica che solo gli artisti sono in grado di assaporare, cogliere e, nel suo caso, anche trasmettere. Frammenti di un mondo vicino e al contempo lontano vengono amalgamati in un mistico e intrigante flusso di parole, note e immagini suggestive, o perturbanti. Egli vaga come un viandante incuriosito e sensibile per quella terra da dove viene la sua stessa famiglia, migrata in Germania, omaggiando terra, acqua e fuoco delle pagine da lui stesso scritte. Ad esser precisi non è la sua terra natìa, ma attraverso i suoi racconti a metà tra il visionario, l’immaginario e la ricostruzione storico-culturale, essa rivive in una veste molto suggestiva.
Protagonisti delle scene sono le verdeggianti campagne, i villaggi abbandonati o poco abitati, i boschi con i suoi suoni, animali e spiriti, ma anche le feste di paese, le ricorrenze, i tanto dimenticati riti collettivi. Da queste ambientazioni, oltre alla cantilena delle vecchie mammenonne risuona la voce di un passato fatto di usanze e costumi rurali, non intaccati dalla frenesia contemporanea, ma che davanti ad essa hanno avuto vita breve, proprio come quella vecchia ferrovia sulla quale è stata anche scritta una canzone a distanza, ma ritornata in patria durante un concerto di Vinicio. A scandire il racconto del protagonista/narratore/autore/musicista si trovano anche spezzoni di video presi dai concerti da lui organizzati proprio in Irpinia, giusto per conferire quella carica in più agli occhi più stupiti degli spettatori più scettici.
Simpatia, cultura e creatività visionaria e imprevedibile sono dei fattori vincenti su cui Capossela si appoggia per coinvolgere il suo pubblico, sia esso quello di un concerto o di una sala cinematografica. Per quanto questo lavoro possa essere a tratti un po’ difficile da seguire con la logica, non smette di essere un viaggio documentato e rielaborato da una mente eclettica, che dà valore all’aneddoto, al dettaglio colto, al racconto di origine, ma soprattutto dall’entusiasmo di un uomo trasformista, nell’arte e nella musica.
Dietro ad un lavoro di questo tipo, che può essere tanto apprezzato quanto no, si percepisce tutta la gioia di un artista che vuole riscoprire qualcosa che gli appartiene indirettamente e che il mondo ha seppellito nel silenzio, nell’eco, nel ricordo.
Dal “conosci te stesso” egli si muove con le sue domande ripetute, quelle di un viandante, quelle di un forestiero, quelle di un esploratore del passato, rivolgendole a se stesso e a noi: “chi siete? A chi appartenete? Cosa andate cercando?”.