
Narcos: Recensione della seconda stagione
Cercate sul dizionario il termine “realismo magico” e leggerete che si tratta di uno stile letterario con elementi fantastici e leggendari in un contesto realistico. Questo stile è nato in Colombia. E chiunque abbia vissuto qui capisce perché. Le cose bizzarre vanno a braccetto con quelle incomprensibili ogni singolo giorno. Ma come nei romanzi di Gabriel Garcia Marquez, le cose più assurde di solito saltano fuori nei momenti critici.
Le parole d’apertura all’episodio finale di questa seconda stagione di Narcos pronunciate dall’agente Murphy spiegano cos’è il realismo magico. Una corrente letteraria nata in Colombia grazie a Gabriel García Márquez, uno scrittore capace di raccontare storie fantastiche convincendoti però che quello che hai letto è vero dalla prima all’ultima parola.
Puoi realmente affermare che Remedios Buendía, detta La Bella, sia volata in cielo. Riesci a credere in tutta sicurezza che in Colombia sia esistita una nonna che portava in giro sua nipote a prostituirsi con più di mille uomini in pochi anni. Sai benissimo, perché è stato un caso giudiziario durato anni, che senza volerlo una madre ha chiuso la porta di casa in faccia al figlio, senza sapere di averlo condannato a morte.
Narcos, tra realismo magico e realtà storica
Se volessimo definire le serie televisive secondo i canoni dei generi letterari, Narcos probabilmente non faticherebbe a trovare posto in uno scaffale insieme ai libri di Márquez.
La storia di Pablo Escobar raccontata dalla serie Netflix ha un che di letterario, un tocco di realismo magico che permette di mettere in scena una storia tanto bella quanto sanguinosa, con i capitoli che scorrono veloci mentre le pagine vengono consumate voracemente.
Ma è costante il richiamo alla realtà: le foto e i video dell’epoca sono messe lì a testimoniare come questa storia non sia il frutto della fantasia di un fervido autore, quanto di un efferato assassino. Sembra impossibile, ma è tutto successo per davvero.
In questa seconda stagione è braccato, sempre in fuga, eppure non smette mai di sognare di diventare, proprio lui che ha messo una bomba su un aereo, presidente della repubblica colombiana.
Talmente ipocrita da chiamare la stessa polizia che lo ha incarcerato quando ne ha bisogno per difendere la sua famiglia. Talmente potente da bruciare soldi solo per riscaldare sua moglie e i suoi figli, le uniche persone al mondo cui veramente tiene.
Un uomo-contraddizione: un santo per il popolo che dallo Stato non aveva mai ricevuto niente, un diavolo per quello stesso Stato che si è abbassato al suo livello di assassino.
Narcos racconta e denuncia il male
È ben più di tutto questo: racconta e denuncia il male commesso in Colombia, ma che in realtà è accaduto e può ancora accadere ovunque.
Non è una semplice lotta tra bene e male: la durezza del racconto, anzi della storia, disorienta a tal punto da non riuscire più a distinguerli. Per riuscire a catturare un mostro, tutti quanti, a partire dal presidente Gaviria fino al magazziniere del Search Bloc, passando per Steve Murphy, sono diventati mostri. Per non parlare della CIA che aiuta i Los Pepes, macellai più che assassini. E così, il corpo di Escobar diventa un trofeo su cui banchettare.
Il patron è caduto: destino che tocca inevitabilmente a tutti coloro che vogliono sostituirsi allo Stato (Gomorra docet).
Tutto questo e tanto altro Narcos lo denuncia senza dirlo, un po’ come facevano i veristi. Ad esempio negli ultimi minuti, quando la madre di Pablo affranta elenca tutti i pregi del suo figliolo, tutte le opere di bene che ha compiuto. Mentre però scorrono le immagini dei centinaia di cadaveri che Escobar si è lasciato dietro.
Si può proseguire su alti livelli: c’è il rischio di fare cilecca, certo, ma forse bisogna capire che non sarà necessaria la presenza di una figura “grande” tanto quanto quella di Escobar, ma bisognerà non intaccare il modo in cui Narcos racconta e denuncia. Cambierà il cosa, non il come: e questo ci basta.
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