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Mr. Robot: Recensione della doppia première della seconda stagione

Raccontare la realtà è un’impresa difficile, in alcuni casi azzarderei titanica. Anche perché, nel momento in cui alla base della narrazione ci sono fatti e situazioni che avvengono in contemporanea, il rischio è quello di non essere in grado di leggerli nella loro completezza, che non significa sottovalutarli o sovrastimarli ma piuttosto vederli come singoli eventi di un quadro ancora in formazione.
Nella sua prima stagione Mr. Robot (e dunque Sam Esmail) ha dimostrato di essere in grado non solo di stare e leggere bene la realtà, ma in alcuni casi di anticiparla. Tra fantaeconomia e hackeraggio, la serie ha intrecciato al nostro quotidiano la storia di Elliot, un ragazzo in bilico tra il dentro e il fuori di ciò che viene definito “comune”.

Il pubblico, affezionatosi a lui come alla causa che insieme alla fsociety portava avanti, in questi mesi ha teorizzato e vagheggiato su chi potesse nascondersi dietro quella porta che chiudeva il season finale. E se la logica televisiva premia la continuità temporale e logica e punta ad una risposta positiva del pubblico (in poche parole gli ascolti), questa doppia premiére di Mr. Robot invece di darci delle risposte aggiunge alla alta pila di domande altri quesiti, altri dubbi. La prima stagione era a suo modo incentrata quasi esclusivamente sulla dualità Elliot – Mr. Robot e dedicava piccole (per quanto significative) parti ad altri personaggi, mentre è già chiaro con queste due puntate quanto questa nuovo racconto avrà più volti e più voci, alcuni conosciuti e altri no.

CONTROL IS AN ILLUSION

mr robotLa nostra storia riparte nel punto esatto – fisico e temporale – che il finale della scorsa stagione aveva omesso di raccontare, ciò che in realtà aspettavamo di vedere dall’inizio ma che non ci è mai stato presentato. In quella sala giochi abbandonata Elliot e Tyrell danno il via (forse anche senza rendersene troppo conto) ad una rivoluzione di cui loro non saranno spettatori. Uno perché in fuga dalle autorità, l’altro perché in fuga da sè.

Come si può dominare una parte di se stessi di cui non si ha il controllo? Come si può aver fiducia in una mente che crea dei fantasmi così realistici da sembrare veri? Come ci può togliere una maschera quando smette di essere una maschera?
Forse nella ripetitività senza senso e senza peso di una vita scandita dal soddisfacimento dei soli bisogni primari, forse nella perpetuazione di azioni e gesti sempre uguali a se stessi riusciamo ad illuderci di aver piegato al nostro volere una realtà non reale di noi siamo gli unici artefici. Ma il cervello umano, quel meraviglioso quanto misterioso organo vitale di cui gli umani utilizzano e conoscono una minima parte, è un campo minato in cui la realtà fisica e quella metafisica si incontrano senza aver noi piena consapevolezza. Si può combattere qualcosa che non si conosce? Come si può sconfiggere un nemico se quel nemico siamo noi stessi?

MADAME EXECUTIONER

mr roboteps2.0_unm4sk-pt1.tc si divide idealmente in due parti, una dedicata ad Elliot e al suo processo handmade di “guarigione”, l’altra incentrata su due figure femminili in contrapposizione, Darlene e Susan Jacobs. Abbiamo già fatto la conoscenza della prima, l’abbiamo vista muoversi in un mondo maschile come quello degli hackers con sicumera, nascondere (a noi) di essere la sorella del protagonista, covare dentro quel dolore, quella rabbia e quella disillusione che hanno la stessa origine – probabilmente – del malessere che il fratello nutre dentro di sé. Ora il suo compito è occupare quel posto che Elliot ha lasciato libero, guidare un movimento che nonostante la bontà degli intenti non è comunque immune ad uno dei grandi mali che le proteste civili contemporanee soffrono. Essere dentro ma non al 100% o, ancor peggio, ostentare un coinvolgimento che in realtà non si pone in essere. Comportarsi in poche parole da free rider, come i sociologi direbbero, coloro i quali beneficiano di beni e servizi senza contribuire al pagamento.
Susan Jacobs è, al contrario, un nuovo personaggio in un’istituzione che conosciamo bene. Avvocato dell’E Corp, è conosciuta come Madame Executioner, non solo perché sia in grado di chiudere con profitto ogni causa contro l’azienda con cui lavora, ma e soprattutto perché i casi su cui lavora trattano spesso e volentieri di morti. Come quella di Edward Alderson.
Eppure anche Darlene potrebbe avere lo stesso soprannome. Perché execute non significa solo giustiziare ma anche eseguire. Eseguire un processo informatico che ha lo stesso potere di cambiare la vita, le vite degli altri di una manovra finanziaria.

A CON DOESN’T WORK WITHOUT CONFIDENCE

eps2.0_unm4sk-pt2.tc si apre ancora di più rispetto al precedente episodio, mettendo altra carne al fuoco e muovendosi molto più velocemente rispetto al primo episodio.
Battery Park City, il quartiere in cui si trova Wall Street (il simbolo del potere economico di quel’1% dell’1% della popolazione che gioca a fare Dio), è il luogo scelto da Darlene e dalla fsociety per condurre la E Corp in una trappola mediatica che ha il sapore di una beffa: 5.9 milioni di dollari bruciati fisicamente dal rappresentante di una delle società che ha dato alle fiamme i risparmi, gli investimenti, la sicurezza di una intera nazione. 

“Funziona così nel nostro magnifico Paese. Ogni giorno, al suono della campanella di apertura del mercato, noi portiamo la gente attraverso una truffa a credere in qualcosa, il sogno americano, i valori della famiglia. Potrebbero essere anche le patate fritte della libertà per quel che mi interessi, non ha importanza. Basta che l’inganno funzioni e che la gente compri e venda qualunque cosa vogliamo.” (Phillip Price, CEO della E Corp)

mr robotIllusione e controllo potrebbe essere le due chiavi di lettura di questi due episodi, ma probabilmente lo saranno di tutta la stagione, vista anche la risonanza riservata alle stesse nella promozione della serie. Ognuno dei personaggi della serie, dal protagonista ai comprimari fino alle nuove reclute viste solo per pochi minuti, sembrano possedere almeno due facce e due modi di esseri riconducibili alle due parole di cui sopra, a volte divisi tra pubblico e privato, altre tra ciò che si accetta di sé e ciò che non si vorrebbe essere. Come Joanna, madre perfetta amante del bondage, ma anche forse come DiPierro, investigatrice dell’FBI con un lecca-lecca in una mano e una fiaschetta di chissà quale liquore nell’altra. Come Angela, che più potrebbe rappresentare con il suo percorso l’illusorietà del sogno americano, l’inganno e il piacere del potere che dovrebbero far dimenticare una vita di sofferenze e quella sensazione di non essere all’altezza delle situazioni.
Probabilmente l’unico personaggio che non rientra in questo schema è Gideon, ucciso due volte in questa première prima idealmente e poi fisicamente. Vittima random di una giustizia che l’ha identificato come “il tramite perfetto per le loro bugie”.

ELLIOT Vs. MR. ROBOT

mr robotMa, scesi dalle montagne russe su cui con questa première siamo saliti – tra presente e passato, realtà ed irrealtà – non possiamo che tornare in quella stanza grigia, in quell’incubo analogico in cui Elliot ha trascinato se stesso e il suo “doppio”. Se nella prima stagione il punto di vista con cui guardavamo all’esterno era il suo (a quanto pare la Evil Corp è tornata ad essere la E Corp), ora la sensazione è di essere al suo fianco e quindi forse in grado forse un po’ di più di vedere le cose oggettivamente.
È cambiato il PoV ma è cambiato soprattutto il rapporto tra il ragazzo e Mr. Robot, che è passato dall’avere un’accezione “positiva” (motrice e propositiva) all’essere un’entità negativa quasi dotata di una propria esistenza. Un tumore di cui vorresti liberarti ma non può, perché quello stesso male non è altro che una parte di te. E allora non ti resta che fingere che non esista o provare a farlo credere a lui. Con il rischio di nutrire la propria follia di follia.

Mr. Robot è tornato e invece che aprire quella maledetta porta ce ne ha sbattute altre in faccia. Ci ha puntato il grilletto in testa più volte e lo ha premuto senza ucciderci. Ci ha presi in giro per l’ennesima volta, mentre ascoltavamo Obama raccontare del più grande attacco informatico di sempre. E ora siamo qui, senza sapere come ci siamo arrivati, a rispondere al telefono. Ciao Tyrell, ci puoi dire gentilmente dove diavolo sei finito?

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Valentina Marino

Scrivo da quando ne ho memoria. Nel mio mondo sono appena tornata dall’Isola, lavoro come copy alla Sterling Cooper Draper Price e stasera ceno a casa dei White. Ho una sorellastra che si chiama Diane Evans.

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7 Commenti

  1. Grazie Winny 🙂
    Avevo letto di questa teoria e non ti nego che non sembra del tutto una bufala. Praticamente al momento stiamo vedendo una sorta di palazzo mentale alla Sherlock. Potrebbe starci, ma allora
    la scena negli uffici dell’FBI come la si spiega secondo te?

  2. Dopo la versione 2015 di Fight Club, questa stagione sarà la volta di Brazil 2016 (spero di sbagliarmi, ma gli indizi sono tutti lì).

  3. A parte una buona capacità attoriale e di regia, mi stupisco semplicemente nel vedere il credito dato a questo serial, quando non fa altro che riproporre situazioni già viste. Soprattutto nella prima serie va ben oltre la citazione colta, sfora nel plagio imho.

  4. Che ci siano dei chiari riferimenti, questo è fuor di dubbio. Ma parlare di plagio, secondo me, è un po’ eccessivo. Comunque a livello televisivo ha introdotto delle novità.

  5. Con calma, ho finito al visione della doppia Premiere. Rami Malek come sempre pazzesco, la scena del secondo episodio in cui si confrontava con Mr. Robot ha suscitato in me delle sensazioni molto controverse. Stupenda come sempre è la fotografia, ci sono dei fotogrammi che potrei guardare per ore perdendomi nei colori e nei vari dettagli. Ma, perché c’è un ma, mi spaventa un po’ la scelta di alimentare ulteriormente il lato dark della serie, ok che ne è la caratteristica, tuttavia come sempre ogni ingrediente risulta essere efficace nelle giuste quantità.

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