
Milano Film Festival – The Outsiders: Le notti bianche del Postino
Il modo più adatto di giudicare un film come Le notti Bianche del Postino – film presentato nella categoria ‘The Outsiders’ del 20mo Milano Film Festival – sarebbe farlo nella maniera più oggettiva possibile, preferibilmente essendo del tutto estrai alla condizione rurale della Russia (o degli ex paesi sovietici). Per mia (s)fortuna non potrò essere né oggettiva né estranea alla realtà in cui sono cresciuta quindi mi sembra giusto avvisarvi che non sarà un occhio completamente ‘italiano’ a giudicare ma uno, semmai, per metà ancora legato alla sua terra d’origine.
Andrei Konchalovsky racconta la realtà di un villaggio sperduto della Russia settentrionale, Kenozero, nella regione di Arcangelo, attraverso lo sguardo del postino Lyokha. Si tratta di un villaggio isolato e di una comunità davvero piccola, in cui gli unici spostamenti possono essere fatti grazie alle imbarcazioni sul lago e l’unico modo per coloro che non ne possiedono una di ottenere approvvigionamenti e notizie dal mondo esterno è, appunto, solo tramite il postino. Aleksej Trjapicin è Lyokha, un uomo semplice e dalle poche pretese, che porta sia le poche lettere ancora necessarie, come quelle delle pensioni, sia il pane ed i giornali agli abitanti del suo villaggio.
Proprio come tutti gli altri personaggi del lungometraggio, Aleksej esiste nella realtà, insieme ai suoi amici e ai suoi vicini. Non sono stati attori veri, infatti, quelli scelti da Konchalovsky per la sua pellicola ma autentici abitanti di Kenozero, nelle cui vite la camera da presa si è infiltrata come un ospite momentaneo, cogliendo attimi della loro quotidianità ed autenticità. Un’idea che si prova vincente, senza dubbio, dal momento in cui la semplicità dei personaggi e la loro concretezza ne fanno dei protagonisti perfetti in un lungometraggio che è quasi un documentario sulla vita della Siberia e delle zone isolate dal mondo civile. Ciò che tuttavia mi preme sottolineare, perché potrebbe sfuggire dato l’accento che si pone sulla ‘lontananza’ dal centro della Russia, è che la povertà e la condizione descritta nella pellicola è molto più estesa di quanto si voglia ammettere e perfino zone vicinissime a Mosca non si discostano molto dalla povertà delle case, dalla precarietà delle abitazioni o dal sogno del ‘lavoro in città’ che porta via Irina e il piccolo amico di Lyokha lontano da Kenozero. Il lavoro di Konchalovsky, in tal senso, è molto più significativo e la denuncia sociale che molto velatamente nasconde è estesa a buona parte del suo paese natio.
L’ambientazione è quella della regione di Arcangelo, in cui le case sono realizzate direttamente dagli abitanti o dai loro avi con legno e materiali a disposizione; in cui i servizi igienici sono spesso ‘fai da te’ e l’acqua corrente non è sempre presente; in cui è buona usanza offrire un thè con pasticcini agli ospiti che arrivano a casa ed in cui sopravvivono ancora le antiche leggende sulle ‘Streghe della Palude’. Ma è anche un luogo in cui le scuole sono praticamente inesistenti, gli edifici che un tempo le ospitavano vuoti ed abbandonati, i bambini in età da istruzione già da tempo lontani per studiare nelle grandi scuole di città. Ma vi dirò: benchè possa sembrare un
Un lungometraggio la cui bellezza non può essere ignorata, autentico e caratteristico sotto tantissimi aspetti e per questo meritevole dei premi che gli sono stati attribuiti – ricordiamo il Leone d’Argento a Venezia nel 2014 – grazie soprattutto alla maestria dietro la macchina da presa di Konchalovsky. Una finestra su una Russia contemporanea di cui non si sente spesso parlare e, forse, proprio per questo ancor più interessante di quello che ci si potrebbe aspettare.