
Milano Film Festival: Lamb – La recensione
E’ etiope il lungometraggio che apre la ventesima edizione del Milano Film Festival. Un film già proiettato a Cannes, la prima pellicola etiope in assoluto a raggiungere il lido francese, e scelto dal Toronto Film Festival per la categoria Contemporary World Cinema. Perché l’Etiopia raccontata da Yared Zeleke è insieme sfondo e protagonista di un film intenso e riflessivo, che porta sullo schermo la storia di un paese antico ma tremendamente provato da una storia per nulla semplice, ancor oggi oppresso da una straziante povertà ed estesa carestia.
La poesia che racconta attraverso delle immagini la storia di Ephraim introduce, volutamente, il paesaggio naturale dell’Etiopia, e lo fa con scene lente, meticolose, pigre, che permettono allo spettatore di abituarsi al verde, alle colline e al vento di un paese africano, gli permettono di immergersi in quel clima di mistero e natura incontaminata. In quella scenografia di colori e sensazioni si evolve la storia di un bambino, orfano di madre, a cui non resta altro che un padre costretto a lasciarlo per cercare lavoro in città e una capra, sterile, ultimo e unico ricordo della madre che non c’è più. Lasciato dal padre, Ephraim si ritrova a vivere con la sua famiglia, una nonna ed uno zio e dei cugini che hanno tutti dei caratteri diversi e variegati, ai quali bisogna abituarsi con la stessa lentezza con cui ci si abitua alla natura di cui sopra.
Il punto focale della pellicola risulta senz’altro il dolore di un bambino, così diverso da ciò che gli altri si aspettano che lui sia, che sceglie come amica una capra sterile – in un mondo dove questo viene considerato un lusso superfluo, dato che ogni centesimo viene investito nel cibo. La siccità, lo sappiamo bene, non perdona ma è il vederlo con i propri occhi che la rende ancor più autentica e reale. Con più violenza di una guerra, la siccità porta via ciò che vuole e non si ferma a considerare il dolore di nessuno, giovane o anziano che sia. Malgrado questo, Ephraim non si scoraggia e con una forza d’animo ammirevole per un bambino così piccolo continua a credere nella sua amicizia con Chuni (la capra), in un futuro migliore e nella sua diversità che, malgrado le botte dello zio, custodisce gelosamente.
Un lungometraggio che, più che ‘film’, meriterebbe di esser chiamato poesia su pellicola. Intenso, profondo e semplicemente bellissimo. La camera da presa segue, senza invadere, il mondo di Ephraim, interpretato da un bravissimo Rediat Amare, e racconta la sua storia un passo alla volta, soffermandosi pian piano sui vari aspetti della sua vita e concedendo tempo allo spettatore di comprendere, di capire l’Etiopia che il bambino vive. E’ questa lentezza che rende il film così ricco, così fluido e così bello, promuovendolo senz’altro e rendendo evidente la scelta da parte della giuria selezionatrice di proporlo in questa categoria di concorso.