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Marriage Story: l’amore è eterno ma non basta – Recensione del film Netflix di Noah Baumbach

Titolo: Marriage Story
Genere: sentimentale
Anno: 2019
Durata: 2h 17m
Regia: Noah Baumbach
Sceneggiatura: Noah Baumbach
Cast principale: Adam Driver, Scarlett Johansson, Azhy Robertson, Laura Dern

Di aforismi sull’amore se ne possono trovare in quantità industriale (e non solo nei proverbiali Baci Perugina). Come di libri di qualità varia tra i romanzetti Harmony e i racconti più raffinati di una Liala. E di film ovviamente ne esistono più di quanti la memoria possa contare tra commedie in tinta rosa e storie strappalacrime. Anche la fine di un amore è un tema ampiamente esplorato spaziando dallo black humour di La Guerra dei Roses alla devastazione emotiva di Kramer contro Kramer. E allora perché un altro film su un tema tanto abusato? Semplicemente perché ci sono i film e ci sono i capolavori. E Marriage Story appartiene a questa seconda categoria.

Marriage Story: la recensione
Marriage Story: la recensione – Credits: Netflix

Storia della scoperta di una verità

Scritto e diretto da Noah Baumbach, Marriage Story è il racconto della cacciata da un paradiso. Quello in cui vivevano Charlie e Nicole. Uniti dall’idillio romantico di chi dell’altro ama ogni aspetto del carattere ed anche le piccolezze che lo rendono unico. Benedetti dall’affetto per un figlio a cui sono disposti a dedicare ogni momento del loro tempo libero. Complici in una carriera nel mondo del teatro d’avanguardia dove lui è un apprezzato regista e lei la sua indispensabile musa ispiratrice e attrice protagonista. Un eden perfetto meravigliosamente descritto da un incipit che trascina subito lo spettatore in un sognante romanticismo. Per poi prenderlo a schiaffi con la verità più inattesa e cruda.

Che il paradiso non esiste. Perché, a dispetto del suo titolo e delle sue scene iniziali, Marriage Story non è la storia di un matrimonio, ma di un divorzio. E l’amore descritto dai monologhi che aprono il film drammaticamente non basta più. Non è sufficiente a nascondere quelle troppe rinunce che Nicole ha accettato ogni giorno sempre di più credendo che la serenità di ogni attimo potesse garantirle la gioia di ogni domani. Non può da solo essere il collante di un rapporto che si è basato sulla ferma convinzione di Charlie che il successo di uno fosse anche il desiderio ultimo dell’altra. Né può essere una ricompensa inestimabile che premia ogni sacrificio personale sull’altare di un’unione ad ogni costo. 

Marriage Story è il velo di Maya che si squarcia e mostra la drammatica realtà nascosta dietro la rassicurante illusione. E la verità che Charlie e Nicole devono accettare è che tristemente l’amore non basta. Che due io non diventeranno mai un solo noi. Per quanto forte possano amarsi. Nonostante tutto ciò che li unisce.

Marriage Story: la recensione
Marriage Story: la recensione – Credits: Netflix

Storia di Charlie e Nicole

Marriage Story è anche e soprattutto la storia dei due coniugi. Di due persone che si sono amate, ma non sono disposte a rinunciare a sé stesse. Ai propri sogni faticosamente compiuti o troppo a lungo tenuti nel cassetto. Al loro legame viscerale con i luoghi dove sono diventati quel che ora sono. All’affetto inestinguibile che provano per il figlio che finirà per essere il casus belli di una battaglia cruenta che mai avrebbero voluto iniziare. Ma alla quale finiranno per partecipare tra avvocati che lucrano sulla separazione e sentimenti repressi che esplodono in una violenta catarsi emotiva.  

Intelligentemente i poster di Marriage Story riportano i profili di Charlie e Nicole riempiti rispettivamente dalle silhouette di New York e Los Angeles al tramonto. Una scelta niente affatto casuale perché i due protagonisti di questo meraviglioso racconto sono immagini riflesse delle due metropoli americane. Di New York Charlie ha la ricchezza di idee, la capacità di ammaliare chiunque con la sua vitalità irrefrenabile, la volontà di chiudersi in una autarchica serenità di chi  è convinto che quel che ha è il meglio di quel che potrebbe desiderare. Diventa impossibile per Charlie, quindi, accorgersi di ciò che non c’è perché la sua vita è una collezione di sogni realizzati. Una galleria d’arte moderna dove ammirare il successo delle sue opere teatrali, la gioia di aver sposato Nicole, la felicità di essere padre di Henry.

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Nicole è, invece, la solarità di Los Angeles. Gli spazi aperti della città degli angeli diventano la disponibilità di Nicole ad ascoltare davvero chiunque le parli. La solarità della città californiana risplende nell’esuberanza di una madre che gioca davvero con il figlio e non si limita a fargli compagnia. Il caos di una città che non si ferma è lo stesso di una moglie che è sempre disattenta alle piccole cose, ma sempre presente quando le grandi chiamano. Non smettere di pensare a Los Angeles come la propria casa nonostante da anni ne sia lontana è, in fondo, la dimostrazione che anche la gioia più grande è solo un attimo destinato a passare. Perché dentro di sé Nicole sa di essere lontana da ciò che davvero potrebbe essere. E a quel viaggio verso sé stessa non vuole più rinunciare.

Marriage Story non può che essere la storia di un divorzio proprio perché è la storia di Charlie e Nicole. Di uno scontro che nessuno dei due voleva, ma che nessuno dei due poteva evitare. Una bomba che deve esplodere affinché possa aver fine quella minaccia che impedisce di ricostruire. Perché la ragione è da entrambi i lati e il torto da nessuna parte. Di nuovo il problema è solo uno: semplicemente l’amore non basta. Alle volte o forse sempre.

Marriage Story: la recensione
Marriage Story: la recensione – Credits: Netflix

Storia di un capolavoro

Marriage Story potrebbe ricordare il già citato Kramer contro Kramer. Paragone inevitabile considerato l’argomento affine. Ma non completamente corretto perché il film di Noah Baumbach finisce per essere molto più ricco e multiforme. In maniera felicemente inattesa, il film, infatti, sa alternare generi diversi riuscendo, al tempo stesso, a far commuovere e divertire, emozionare e pensare. Merito di una sceneggiatura calibrata che da il giusto spazio anche ai comprimari facendone occasione per i cambi di registro.

Non si può che sorridere delle situazioni paradossali in cui si vanno a infilare la madre e la sorella di Nicole divise tra il voler essere dalla parte di lei, ma troppo affezionate a Charlie per essere contro di lui. Né si può non riflettere amaramente sull’avida bramosia di avvocati divorzisti (tra cui una fantastica Laura Dern) pronti ad appellarsi ad ogni cavillo pur di trasformare una quieta separazione in un per loro munifico divorzio.

Noah Baumbach eccelle nella scrittura di dialoghi che arrivano dritti al cuore dello spettatore facendogli sentire tutto il dolore, la paura, lo smarrimento, la delusione, la speranza dei suoi protagonisti. Una scrittura che è esaltata dalle performance di un monumentale Adam Driver e una spettacolare Scarlet Johansson (che, ironia della sorte, sono californiano e newyorkese in perfetta antitesi con i loro personaggi).

Spogliata della carica sexy che normalmente mostra nei film Marvel, la Johansson appare tanto ordinaria nel suo look quanto straordinaria nell’intensità con cui restituisce i tormenti di Nicole. La notevole differenza di altezza con Adam Driver permette a quest’ultimo di avvolgerla nei suoi abbracci in una metaforica evidenza di quel rapporto totalizzante che Charlie ha con Nicole. Il crollo di un uomo che deve accettare che i propri sogni fossero solo suoi e non di entrambi è reso magnificamente da un attore che è senza dubbio ormai uno dei migliori della sua generazione.

Netflix ha aspettato Dicembre per diffondere Marriage Story come a voler chiudere l’anno in crescendo dopo il Novembre di The Irishman. E non a caso si è usato l’espressione in crescendo. Perché il film di Scorsese può competere per il primo posto nella classifica dei migliori film del 2019. Ma quello di Baumbach sta in un’altra lista: quella dei capolavori di sempre. 

Winny Enodrac

In principio, quando ero bambino, volevo fare lo scienziato (pazzo) e oggi quello faccio di mestiere (senza il pazzo, spero); poi ho scoperto che parlare delle tonnellate di film e serie tv che vedevo solo con gli amici significava ossessionarli; e quindi eccomi a scrivere recensioni per ossessionare anche gli altri che non conosco

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