Bentornati nello sfavillante mondo della pubblicità degli albori. E Weiner decide di catapultarci di nuovo all’interno nel modo meno soft possibile, con un conturbante e affascinante descrizione di una nuova idea pubblicitaria, una sorta di storyboard narrato che viene visualizzato grazie alla voce di un sorprendentemente “affascinante” Fred Rumsen… talmente tanto sorprendente che non è veramente lui, o meglio, è lui, ma è solo un fantoccio manovrato dal ventriloquo Don, o come, in modo più poetico lo definisce lo stesso Fred, come un novello Cyrano.
Ma la favola del bel mondo pubblicitario, di Peggy che gestisce una riunione creativa, di Don e Megan che nella loro prima scena, accompagnati da musica di sottofondo, appaiono cool più di quanto lo siano stati finora, di Joan in una splendida forma, dura poco, è solo una facciata, è solo la pubblicità iniziale di questa stagione di Mad Men, apparenza, poi il set viene smontato e riappaiono tutte le crepe nei muri, tutte le frustrazioni, tutto lo smarrimento.
Perché sì, i personaggi in questa premiere sono disperatamente fuori luogo, alla ricerca di qualcosa di cui non conoscono l’essenza, particolare sublimato dalle scene e scelte di vita di Roger e sua figlia, che finiscono, incredibilmente rovesciando il ruolo genitore/figlio, nei due lati opposti della ricerca della felicità, uno attraverso l’eccesso e la cultura hippie, l’altra in un non meglio precisato ma molto probabile sottofanatismo religioso.
Ma senza arrivare a questo, vediamo tutti i nostri protagonisti che sbracciano disperati, sommersi da qualcosa, frustrati, muovono le braccia e ondeggiano, ma non sanno ancora dove andare a sbattere: Don innanzitutto.Mr. Draper è ancora in una sospensione dorata (essendo socio continua pur sempre a guadagnare) tanto che impiega il suo tempo ad ideare campagne per interposta persona e a cercare, cosa probabilmente meno importante, di ricucire il rapporto con sua moglie. Non che fosse successo qualcosa di irreparabile tra lui e Megan, a parte la consueta difficoltà a stare con Don, ma il suo spostarsi a Los Angeles per far decollare la sua carriera li ha resi, se non all’apparenza, quantomeno nella sostanza, più distanti. In molte scene è palpabile la sensazione di imbarazzo che c’è tra i due, anche se la provano a nascondere, e un mondo di non detti. Certo, Don arriva da una crisi profonda con se stesso, una crisi che nel finale della scorsa stagione lo aveva reso più bello, più vero e più umano e quasi sei mesi sono passati da quel momento, ma la sensazione che lui e Megan siano due navi salpate dallo stesso porto ma in direzioni diverse è molto chiara. Che ripercussioni avrà su Don? Lo abbiamo visto flirtare, ma, incredibilmente per lui, rinunciare. Ci troviamo di fronte ad un Don diverso o solamente ad una persona ancora dispersa nelle sue insicurezze e crisi? Probabilmente è così solo perché siamo all’inizio della stagione e questa apertura doveva essere funzionalmente un trait d’union con la stagione scorsa, in attesa di rivedere Mr. Draper rimontare in sella.
Ma nemmeno a New York la situazione è diversa. La SCP è in ascesa con Pete Campbell a Los Angeles, che per ora ci ha solo regalato un comico inserto di un Pete differentemente felice, forse troppo, e con Bob Benson a Detroit. Talmente in ascesa che Ken Cosgrove è sull’orlo di un esaurimento nervoso nella gestione dei clienti. Sarà Joan, ancora una volta, a prendere l’iniziativa, come fatto nella scorsa stagione, per salvare un cliente. Weiner in questo inizio di stagione ci fa di nuovo vedere come Joan sia e si senta sottostimata e sottoutilizzata. Sappiamo bene qual’è il marchio che si porta dietro e qual’è il modo in cui è diventata socia, ma lei è la prima a saperlo e vuole dimostrare qualcosa di diverso. La situazione è potenzialmente interessante, ma in parte l’avevamo già vista nella scorsa stagione e non aveva portato a nulla, tanto che Joan è nella stessa identica posizione. Infatti non mi ha più di tanto stuzzicato, nonostante la sempre ottima performance della Hendricks, perché è qualcosa di rivisto.
Chi invece è in palese difficoltà è, puntualmente, Peggy.La ragazza che si è fatta da sola si trova a dover affrontare una situazione con un rimpiazzo di Don, troppo brutto per essere vero, poteva giocarsela meglio qui Weiner, renderlo almeno un po’ meno odioso, che non la apprezza e non sembra nemmeno apprezzare il proprio lavoro. Lo sfogo di Peggy con il povero Stan è emblematico: “qui nessuno vuole fare le cose bene, qui a nessuno importa”. Oltretutto si trova a che fare, visto che la sfiga non viene mai da sola, con un altro paio di casini: Ted, l’uomo che l’ha sedotta e abbandonata che torna a farsi un giro in città, e i suoi inquilini che sono solo dei piantagrane. Ci prova la povera Peggy a gestire tutto, ma la cosa sembra veramente troppo grande per lei. Il suo crollo finale appare sconfortante ma liberatorio al tempo stesso.
La premiere di questa (corta) settima stagione è, per alcuni versi, fin troppo introduttiva, figlia anche della necessità di presentare situazioni evolutesi in quasi sei mesi di off-screen, ma la sostanza ha appassionato solo a tratti in questo episodio. Certo, abbiamo gran fiducia in Weiner che ha il difficilissimo compito in questi 14 episodi (divisi tra 2014 e 2015) di accompagnarci verso la conclusione di uno dei più belli show dell’ultimo decennio.
Nota a margine: la televisione nella televisione, che spesso Weiner usa per parlare direttamente ai suoi personaggi, questa volta riporta due diverse citazioni, la prima del film Lost Horizon (con le frasi che passano scritte sullo schermo) e la seconda di un discorso di Nixon. Entrambe parlano di stato di guerra o disperazione ma con un forte desiderio di pace, di animi divisi ma con desiderio di unità; Weiner cerca di dire a Don che la felicità potrebbe essere nel trovare il suo “posto di pace” interiore o esteriore, nel cercare di riunire famiglia e lavoro e non sacrificare l’uno all’altro. Lo ascolterà Don?