
L’uomo che vide l’Infinito: La recensione del film con Jeremy Irons e Dev Patel
Titolo: L’uomo che vide l’infinito
Genere: Drama, storico
Anno: 2015
Durata: 108 min
Regia e sceneggiatura: Matthew Brown
Cast principale: Dev Patel, Jeremy Irons, Toby Jones, Kevin R. McNally, Jeremy Northam, Devika Bhise
G.H. Hardy ha definito la sua collaborazione con Srinivasa Ramanujan come ‘l’unico episodio romantico della mia vita’ e questo film, molto più che della matematica, parla proprio di questo: di una romantica amicizia, di un incontro tra culture diverse. Temi attuali, temi moderni – come la diversità, l’integrazione, la globalizzazione e spesso la discriminazione e il razzismo. A raccontare queste storie, utilizzando come spunto la vera amicizia e collaborazione tra il professor Godfrey Harold Hardy e l’autodidatta matematico Ramanujan è Matthew Brown, a sua volta ispirato dal libro di Robert Kanigel. Una storia di infiniti rimandi al passato che arriva, finalmente, al 1912 quando un giovane matematico autodidatta di Madras invia le sue teorie ad uno studioso dell’Università di Cambridge e parte per l’Inghilterra alla volta di quello che spera essere un futuro più brillante di quello che lo aspetta in India.
I protagonisti della vicenda sono, rispettivamente, Jeremy Irons e Dev Patel, uomini agli antipodi di due culture e due società, nonché due caratteri, completamente differenti. Mentre Ramanujan (Dev Patel) è ancora un ragazzo quando arriva in Inghilterra, colui che dovrebbe essere il suo mentore e amico, il professor Hardy (Jeremy Irons) è un uomo piuttosto freddo, rigido, immortalato nelle sue abitudini quotidiane e con il minimo interesse a qualsiasi cosa che non riguardi la matematica. Manca in lui quello di cui più avrebbe avuto bisogno un ragazzo senza una guida, in un paese straniero e con mille difficoltà da affrontare: un carattere empatico e simpatetico. Malgrado l’ambiente in cui Ramanujan si trovi sia di grande prestigio e l’opportunità di pubblicare le sue teorie – tutte risultato del suo brillante intuito – sia impareggiabile, inevitabile è lo scontro tra la sua cultura orientale e quella occidentale. Uno dei temi che meglio vengono affrontati è proprio quello della distanza dall’India, dalla sua famiglia e da sua moglie. Un semplice pasto diventa un percorso ad ostacoli per qualcuno che è vegetariano e gli abiti leggeri un cruccio nel clima tutt’altro che mite delle campagne inglesi.
La storia di Ramanujan e del professor Hardy emerge, prepotente, ed eclissa tutto il resto. La cultura, la storia, perfino la trama sembrano dileguarsi di fronte alla forza e alla genuina bellezza di questo tumultuoso eppure brillante rapporto tra i due uomini. Jeremy Irons, fortemente voluto per la parte da Brown, eccelle nella sua interpretazione del professore scorbutico e chiuso, un perfetto inglese e matematico, per il quale i sentimenti sono poco più che un accessorio, sia che si tratti del suo collega e collaboratore di lunga data Littlewood (Toby Jones) sia che si tratti di un matematico giovane, smarrito e lontano da casa quale il suo pupillo. Al contrario, il personaggio di Dev Patel è empatico, genuino, sincero, abituato a porgere costantemente l’altra guancia, sicuro di niente se non delle sue formule matematiche, che Hardy gli chiede costantemente di dimostrare. È emozionante scorgere questo viaggio parallelo e al tempo stesso antitetico di questi due personaggi, vicini ma lontani, uguali ma diversi.
A fare da cornice alla storia dei due amici e colleghi sono prima l’India e poi l’Inghilterra. I toni tra i due ambienti sono volutamente contrastanti. Lì dove l’India è colore, gioia, autenticità, l’Inghilterra è freddezza e rigore. Le scenografie, curate da Luciana Arrighi, sono impreziosite da un magistrale lavoro sulla luce, opera del direttore della fotografia Larry Smith. La sede del Trinity College e la Nevile Court sono di certo tra gli spazi più iconici di tutto il film e costituiscono insieme uno spazio sacro e un luogo di vita, in continuo movimento – tanto è vero che gli stessi personaggi si muovono spesso al suo interno. Subito dopo l’ufficio di Hardy e la stanza di Ramanujan, due spazi privati totalmente differenti e che bene completano i rispettivi personaggi. Se Ramanujan è spesso ospite di Hardy per lavorare o per esporre le sue teorie, quest’ultimo appare nella stanza del suo pupillo al massimo due volte, non entrando mai ma fermandosi sempre alla porta.
Accanto ad Irons e Patel troviamo altrettanti importanti nomi del cinema, come Toby Jones, il quale interpreta l’amico ‘immaginario’ e collaboratore storico di Hardy Littlewood; Jeremy Northam (già visto ne I Tudors) nel ruolo di Bertrand Arthur William Russell, professore come Hardy e attivista pacifista, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1950. E ancora Kevin R. McNally (o Mr. Gibbs per gli amanti di
L’uomo che vide l’Infinito non è il solito biopic, malgrado abbia tutte le carte in regola per essere considerato tale, è di più. È un dialogo di culture, un confronto di società, un racconto di coraggio e dedizione, amore e amicizia. La storia si evolve principalmente con i lunghi dialoghi tra Jeremy Irons e Dev Patel, che fanno un ottimo lavoro – sento puzza di nomination all’Oscar? – nel dare il volto a due figure storiche così significative. Un film da gustare tutto d’un fiato, che finisce troppo in fretta, dopo averci fatto calare nella realtà che racconta e appassionare a un tempo e una storia di cui forse non conoscevamo ancora abbastanza particolari.