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London Town: la recensione del film con Jonathan Rhys Meyers in anteprima ad Alice nella Città

Titolo: London Town

Genere: drammatico

Anno: 2016

Sceneggiatura: Matthew Brown

Regia: Derrick Borte

Cast: Jonathan Rhys Meyers, Daniel Huttlestone, Dougray Scott, Natascha McElhone

Londra, fine anni ’70. Il centro come la periferia della capitale inglese sono invasi da montagne di spazzatura. Il Regno Unito è un paese in crisi, sia a livello che sociale che economico. La working class è agitata da continue manifestazioni e scioperi, a causa delle pressioni economiche da parte del governo. Nel 1979 sale al potere The Iron Lady Margaret Thatcher e lì resterà fino al 1990.

London TownNel sobborgo di Wanstead vive la famiglia Baker, composta da Shay, il classico ragazzino per bene, con la testa sulle spalle e buoni voti a scuola, Alice, una bimba molto perspicace e curiosa, e il padre Nick. Il quasi 15enne Shay si occupa quasi a tempo pieno della sorellina, mentre Nick di giorno porta avanti l’attività di famiglia, un negozio di pianoforti con guadagni quasi pari allo zero, e la sera guida guida un taxi.
Anche la madre di Shay, Sandrine, ha un’attività nel campo musicale: la donna, infatti, li ha abbandonati anni prima per intraprendere la carriera di cantante a Londra, scegliendo di vivere in una casa occupata da squatters hippie.

La modesta e tranquilla routine di Shay viene scossa all’improvviso da una lettera della madre, la quale invita lui e la piccola Alice a trascorrere con lei l’estate, e dall’incontro casuale con Vivian, una giovane ragazza punk che lo introduce alla musica dei The Clash.
Il ragazzo ancora non lo sa, ma la sua vita sta per cambiare radicalmente.

Ho incontrato gente a cui il punk ha cambiato il modo di vivere. Mi sento come se avessi letteralmente incontrato ognuno di loro! Ed è la stessa storia anche per tutti loro: abbiamo cambiato il loro modo di pensare e influenzato le decisioni che hanno preso nella vita. (Pat Gilbert, The Clash. Death or Glory)

A distanza di 30 anni dal loro scioglimento, i The Clash continuano ad avere un’incredibile influenza a livello culturale sia nella loro patria che nel resto del mondo. È una prova lo è proprio questo film, i cui protagonisti sembrano usciti dai testi scritti da Joe Strummer.
Un progetto durato 8 anni, in cui il regista americano Derrick Borte è riuscito in maniera quasi impeccabile a raccontare una storia comune intrecciandola con quella di un gruppo che negli anni a venire divenne una legenda.

London TownIn London Town si respira l’aria delle proteste, le fortissime tensioni sociali che interessarono il Regno Unito, la violenta contrapposizione tra i punk e gli skinhead. Ma si respira anche quella voglia di cambiamento che imperversava nelle strade di Londra (e chi l’avrebbe mai detto che proprio il figlio di uno di quegli immigrati che nessuno voleva nel 2016 ne sarebbe diventato il sindaco), unita a quella volontà forte, universale, umana di non arrendersi ma tentare il tutto per tutto per tenere a galla dignitosamente la barca.

Shay, dall’alto dei suoi 15 anni, è l’incarnazione del rimbocchiamoci le maniche, il piccolo eroe positivo che demorde di fronte alla difficoltà ma cerca un modo per farcela sempre e comunque e per cui inevitabilmente si finisce per fare il tipo. Come piccoli eroi sono in quel momento The Clash, raccontati quando ancora non avevano raggiunto la notorietà che li avrebbe poi portati a diventare quello che tutti conosciamo.

Nel film le strade di Shay e di Joe Strummer (interpretato da Jonathan Rhys Meyers, credibilissimo nei panni di uno stralunato quanto lucido cantante punk) si incroceranno spesso. Per il ragazzo il cantautore sarà quasi come una sorta padrino, un insolito angelo custode che battezzerà i momenti clou di questo suo passaggio all’età adulta.

London Town è un film genuino, divertente, positivo ma non stucchevole, qualità molto rara quando si parla di working class e di tematiche legate al lavoro. Ed è anche e soprattutto un omaggio a quell’incredibile gruppo che sono stati i The Clash, band che non solo ha raccontato una generazione ed un paese, ma che riesce ancora ad essere un riferimento vivo nell’attuale panorama musicale.

Valentina Marino

Scrivo da quando ne ho memoria. Nel mio mondo sono appena tornata dall’Isola, lavoro come copy alla Sterling Cooper Draper Price e stasera ceno a casa dei White. Ho una sorellastra che si chiama Diane Evans.

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