
London Spy: Recensione dell’episodio 1.01 – Lullaby
E’ solo un assaggio questo episodio, il primo di cinque complessivi, un assaggio di una portata molto più ricca e saporita che promette di elevare il drama con protagonista Ben Whishaw ad alti livelli di serialità televisiva. Le premesse, per quel poco che abbiamo visto, ci sono tutte. Il fascino british, per citarne una a caso, con una Londra cupa e piovosa; dei protagonisti tenebrosi ma, al tempo stesso, impossibili da non amare; una storia ricca di spine che ancora deve svelarsi nella sua interezza. Tutti elementi che, se giocati nell’ordine e nella modalità corretti, potrebbero davvero regalare al pubblico un piccolo gioiellino. Il condizionale è d’obbligo, naturalmente, perché ci siamo ancora basando su un singolo episodio: un episodio estremamente promettente e accattivante ma, non di meno, un singolo episodio.
Londra, anno del Signore 2015. Danny lavora come un magazziniere e cerca ancora la persona giusta con cui condividere la sua vita. Dopo una serata fuori incontra Alex, un ragazzo introverso e particolarmente riservato. Dopo un inizio incerto, i due iniziano a frequentarsi, conoscendosi man mano e lasciando entrare l’uno nella vita dell’altro. Improvvisamente Alex scompare e Danny, trovando un misterioso pacco, riesce ad entrare in casa sua, trovando un cadavere, presumibilmente quello dell’amante. La polizia gli rivela, in seguito, che Alex non lavorava per una banca, come Danny credeva, bensì era un agente dei Servizi Segreti – uno con parecchie perversioni sessuali, aggiungerei io?
‘Breve ma intensa’ sono gli aggettivi che sceglierei per la relazione tra Alex e Danny. Diversi, praticamente provenienti da realtà tanto distanti da non conoscere l’una l’esistenza dell’altra, andando contro ogni tipo di logica e scommessa, i due si incontrano e si innamorano. So che dovremmo (e dovrei io in primis) essere stanchi delle storie d’amore impossibili ma sfido chiunque a dire che, dopo i primi venti minuti, non ci fosse uno di voi che non tifasse per loro due come coppia. Il lato trasandato, semplice e perfino leggermente stereotipato di Danny (sculettava parecchio camminando, o l’ho notato solo io?), che non ha paura di vivere liberamente la propria omosessualità, anche se questo non gli rende facile la vita, viene compensato dall’eleganza, raffinatezza e compostezza di Alex. Si sposa bene la recitazione di Ben Whishaw con quella dello statuario Edward Holcroft, che qui interpreta un uomo che non ha ancora fatto i conti con ciò che è (almeno all’apparenza e da quello che ha scelto di rivelare) e trova conforto in qualcuno di imperfetto, certamente, ma che lo accetta senza riserve. Lo stesso si può dire per Danny, che confessa al compagno quello che cerca di nascondere anche a se stesso, dando una prova di fiducia e coraggio non indifferenti.
Perché funziona? Funziona perché la banalità viene lasciata in un cassetto e vengono invece tirate fuori scene lunghe, riflessive, spesso colmate solo dagli sguardi, senza musica di sottofondo che possa riempire, in qualche modo, il vuoto. I discorsi sono significativi, la scrittura pacata ma brillante, i personaggi ben delineati. La storia, benché sembri dirigersi verso una direzione ben precisa, devia presto versa un’uscita secondaria e ci fa scontrare con una realtà che non avevamo considerato (che potrebbe ancora essere sconvolta, se vogliamo essere realisti). La storia d’amore che avevamo apprezzato ed iniziato a ‘shippare’ viene distrutta in pochi attimi. Attimi di terrore, paura, che ricordano più un film horror che un drama british, in cui Ben Whishaw se la gioca da solo contro un appartamento vuoto e una cassa con il morto. Sarà Alex, non sarà Alex? Gli indizi sembrano puntare proprio verso di lui, quell’amante che ha rivelato poco di se e che potrebbe in realtà essere una persona completamente diversa rispetto a quella di cui Danny si era innamorato.
London Spy è una serie eccellente, scritta e diretta molto bene, da cui non si può fare a meno di restare incantati. Promossi a pieni voti tanto i personaggi principali quanto Jim Broadbent, che a mio parere non ha ancora iniziato a svelare i misteri che si nascondono dietro al passato del suo personaggio, Scottie. La Londra delle spie torna a colpire, con una tempistica perfetta, data l’uscita nelle sale di Spectre. Peccato che le somiglianze tra le due produzioni si concludano lì – e questo è tutt’altro che un aspetto negativo, tutt’altro. La serie, infatti, è molto più vicina – stilisticamente parlando – ai Bourne Identity, il cui Matt Damon, tuttavia, non regge il confronto con un Edward Holcroft. Sorry, Matt, non stavolta!
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