
Little Fires Everywhere: L’inesorabile fascino del caos. Recensione della serie tv
Una delle grosse pecche della tv degli ultimi anni è la mancanza di novità. O forse, più semplicemente, di titoli che riescano a proporre una visione nuova di concetti già affrontati – sarebbe troppo chiedere concetti nuovi, sebbene negli ultimi mesi di prodotti innovativi ne siano emersi numerosi. Così, dopo il tema dei revival, subentra l’argomento “adattamento”: può una serie tv ispirata ad un’opera letteraria o teatrale costituire una novità? Oppure il suo destino è finire relegata nel cesto dei “già visti” o, peggio ancora, “già letti”?
Senza generalizzare troppo, con il rischio di incanalarci in una discussione che merita più spazio di questa recensione, posso affermare con assoluta risolutezza che Little Fires Everywhere tutto è fuorchè banale o già vista. Una serie tv come quelle che mancavano da un pezzo. In grado di tenere lo spettatore attaccato allo schermo per la (non breve) durata dei suoi 8 episodi.
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Prodotta dalle due protagoniste, Reese Witherspoon e Kerry Washington, la serie tv Little Fires Everywhere è l’adattamento del romanzo omonimo di Celeste Ng. Ciò che all’apparenza può sembrare una semplice storie di mondi in collisione è in realtà un quadro molto più complesso e stratificato sulle differenze di classe. Famiglia, maternità, desiderio di appartenenza, adolescenza, pressioni familiari e sociali. Questi sono soltanto alcuni dei temi a cui la serie tv creata (e co-prodotta) da Liz Tigeaar (Dawson’s Creek, Revenge, Life Unexpected).


Di seguito la Recensione della serie tv Little Fires Everywhere
Il quadro (im)perfetto di Shaker Heights
Elena Richardson (Reese Witherspoon) incarna tutte le caratteristiche della donna perfetta: ha un lavoro che la gratifica, ha cresciuto quattro figli – ora adolescenti, ha una casa grande e ordinata e sembra avere tutto sotto controllo, fino al più piccolo granello di polvere sulla sua credenza in stile neoclassico. Mia Warren (Kerry Washington) non è niente di tutto questo. Lei e sua figlia Pearl (Lexi Underwood) vivono alla giornata, spostandosi da città a città per seguire le opportunità lavorative di Mia, un’artista alternativa che in realtà fugge da molto più della gabbia sociale dell’America di fine millennio.
Quando le famiglie di Mia ed Elena entrano in contatto inevitabilmente si scontrano, prima in maniera educata di chi non ha abbastanza elementi per giudicare e poi in maniera sempre più aperta e ostile, fino a sfociare in una guerra aperta. L’iniziale fascino di Mia, che suscita la curiosità di Elena, si trasforma ben presto nella consapevolezza di quanto la sua apertura mentale e praticità possano minare il delicato equilibrio di Shaker Heights, comunità i cui valori Elena non soltanto incarna ma si impegna quotidianamente a promuovere e presentare. Le aiuole precise al millimetro, le cartoline di Natale con elementi in tessuto scozzese, le feste a tema. Elementi di una vita che si rifiuta di guardare oltre le mura di una città che non solo si finge ma crede fermamente di essere perfetta.
Mia vs Elena: Ideologie a confronto
Pilastri di due modi di vivere differente, le protagoniste diventano ben presto i due fuochi di una battaglia legale che fa emergere tutte le falle di un sistema che perfetto non lo è affatto. Più ancora di una disparità sociale l’ottima recitazione della Witherspoon da una parte della Washington dall’altra affrontano di petto il concetto di famiglia. La famiglia di Elena è quella idealizzata dei poster promozionali anni ’70 mentre Mia è il progresso, l’emancipazione, la lotta per i diritti e per ciò che è giusto.
Quando la collega di Mia scopre che la migliore amica di Elena, Linda (Rosemarie DeWitt), ha adottato la bimba che lei mai avrebbe abbandonato se non per le sue ristrettezze economiche, il suo istinto materno ed il passato che l’ha inesorabilmente segnata la portano ad aiutarla. Un aiuto che non è unicamente frutto di ciò che è giusto ma è quasi uno schiaffo morale. Quello all’idea secondo cui l’affetto non è sufficiente ed il benessere di un figlio passa anche dalla disponibilità economica dei suoi genitori.
Ecco allora che la famiglia perfetta di Elena e suo marito Bill (Joshua Jackson), che di ristrettezze economiche non ne ha mai nemmeno sentito parlare e su carta non dovrebbe essere altro che perfetta, comincia a vacillare. Emergono le incomprensioni tra madre e ultimogenita, Izzy (Megan Stott), che a al paradigma di regole e obblighi non si è voluta mai adeguare. Emergono i problemi matrimoniali di Bill ed Elena, che ha rinunciato alla sua carriera per seguire una vita familiare come fin da bambina le è stato detto che avrebbe dovuto fare. In poche parole emerge tutto quello che una famiglia come i Richardson vorrebbe nascondere sotto il tappeto.
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La complessità dei personaggi di Little Fires Everywhere è il suo punto di forza
Ma più ancora della trama orizzontale che coinvolge Shaker Heights e tutte le sue regole, colpisce la bravura dei protagonisti. O meglio la profondità con cui i loro personaggi vengono trattati. Prime fra tutti Elena e Mia. Non a caso l’episodio The Uncanny, focalizzato sul passato delle donne, è forse tra i più belli di tutta la miniserie. AnnaSophia Robb e Tiffany Boone fanno un lavoro brillante nel rappresentare al meglio le radici delle due matriarche, imitando fino al millimetro anche le mosse e movenze delle attrici “adulte”.
Si caratterizzano molto bene anche i personaggi di Pearl e Izzy, oltre alla ciurma dei fratelli Richardson al completo. Lexie (Jade Pettyjohn) con il suo desiderio di rispecchiare le aspettative della madre, Moody (Gavin Lewis) l’eterno incompreso e Trip (Jordan Elsaas) che riscopre un lato diverso del proprio carattere rispetto a quello del giocatore di football rubacuori.
Pearl desidera una famiglia normale, una famiglia come quella di Elena, della quale desidera disperatamente far parte. È quasi poetica la sua realizzazione di quanto in realtà la sua vita, seppur meno “ricca” economicamente sia in realtà molto più stabile e felice di quella della famiglia di cui desidera entrare a far parte. Al contrario Izzy è la Mia di Shaker Heights, una ragazzina che non riesce a trovare il suo posto. Una piccola donna cerca disperatamente di essere capita da una madre che la vuole diversa da ciò che è.
In un arco di tempo breve di appena 8 episodi, Little Fires Everywhere riesce dove anche in intere stagioni serie tv falliscono. Scava a fondo nella psiche dei personaggi, delle loro emozioni e del motore che muove le loro azioni e rende questi elementi parte attiva di una trama che altrimenti non sarebbe altro che l’ennesimo racconto dei tempi passati di una catfight nei sobborghi americani. C’è di più, c’è molto di più in questo caso.


Il concetto di maternità declinato in tutte le sue forme
Altro bellissimo quanto non facile tema che si affronta nell’adattamento del romanzo di Celeste Ng è la maternità. C’è chi madre lo diventa per scelta e per vocazione. Chi invece lo desidera ardentemente ma non può ricevere il dono di un figlio se non per mezzi alternativi. C’è chi ama i propri figli ma non può dar loro nient’altro che non sia il proprio affetto. Ma c’è anche chi diventa genitore nel momento in cui comprende che la vita che cresce dentro il proprio corpo non appartiene ad altri che non sia chi li ha messi al mondo.
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Particolare ma non sgradevole è il modo in cui la miniserie si fa carico di affrontare il tema della maternità, appunto. Un tema di per se già non facile ma che diventa ancor più complesso se amalgamato a tutti gli altri elementi già citati prima – tra cui non dimentichiamo il non-desiderio di Elena di un quarto figlio e l’aborto di Lexie.
Una serie tv che colpisce nel segno
Ritorno allora alla domanda che ci facevamo all’inizio: possiamo definire Little Fires Everywhere qualcosa di già visto, di noioso e scontato? La risposta – ormai l’avrete capito bene – è: assolutamente no. Non c’è nulla di scontato o superato in questa serie tv. La bellezza delle tematiche affrontate si appoggia ad un cast insolitamente solido e ben bilanciato. I dialoghi sono intensi ed il giusto peso viene affidato al collettivo e al singolo, senza pregiudicare la scorrevolezza della visione e della narrazione.
Guardando l’adattamento di Hulu di quest’opera letteraria che ora non potrò fare a meno di leggere si ha l’impressione di abbandonare il proprio salotto o la propria camera da letto per quei 50 minuti. Tempo in cui pare di vivere, respirare e perfino toccare la realtà di Shaker Heights e i problemi dei personaggi che la abitano. Vi sfido a trovare una serie tv “già vista” che lo sappia fare.