
Life: La recensione in anteprima
Cosa rende ‘leggendaria’ una leggenda? Si tratta del modo in cui è percepita dagli altri, quello che è in realtà o semplicemente quello che appare? La consistenza, l’apparenza o una giusta dose di entrambe? Se lo domanda anche Anton Corbjin nella pellicola Life, racconto malinconico ma autentico dell’incontro e poi dell’amicizia tra il fotografo Dennis Stock e l’attore James Dean.
Jimmy (Dane DeHaan) e Dennis (Robert Pattinson) si incontrano per caso ad una festa, quando il nome James Dean non significa ancora nulla nel mondo dello spettacolo. Basta tuttavia una battuta, un paio di parole e la visione della pellicola che lo vede protagonista – East of Eden – per far capire a Dennis, fotografo alla ricerca della storia che possa trasformarlo da semplice fotografo in un fotografo famoso – che James Dean è un soggetto che vale la pena esplorare, una figura che va catturata su pellicola e con questo scoperta. Inizia così l’avventura dei due giovani, prima a Los Angeles poi a New York e infine in Indiana, che non solo contribuiscono l’uno alla crescita professionale dell’altro ma creano anche un legame forte, apparentemente intenso, che fa da filo trainante a tutto il film. Davanti alla macchina fotografica il giovane Jimmy lascia andare le pressioni di un mondo troppo grande, il mondo dello spettacolo, dalle troppe e dure pretese, e riesce ad essere se stesso, soprattutto quando circondato dalla famiglia e dai cugini.
Mentre ci si aspetta di veder emergere la figura di Stock e dell’attore che gli presta il volto, Pattinson, si resta sorpresi nello scoprire un ruolo per lui quasi marginale, oscurato da quella brillante luce che è DeHaan e che è il suo James Dean. Nulla di nuovo vediamo nella pur credibile interpretazione del fotografo divorziato, alla ricerca di quella fama che sa di meritare ma ancora fatica ad ottenere. Pattinson è bravissimo a fare la faccia corrugata e l’espressione cupa, ma è per lui prassi, nulla in confronto al James Dean del suo compagno di schermo. L’ex Harry Osbourne regala al pubblico una versione della leggenda di James Dean insieme accattivante e originale, autentica ma personale, ammaliando immediatamente il pubblico nella sua interezza. La descrizione di Dean si sposta da luogo a luogo, seguita dalla progressiva catalogazione del suo essere, della sua vita, dalla macchina di Dennis. Il confine tra lavoro e vita reale sfuma progressivamente, tanto che la macchina fotografica, da protagonista e elemento centrale, inizia a diventare quasi un’intrusa in scene che vogliono restare private, che richiederebbero di restare intime e nascoste. Ma è la storia che Dennis insegue, è la storia e il mito che diventerà Dean in un futuro non troppo lontano.
Singolarmente, invece, i due attori non potrebbero essere più diversi. Robert Pattinson emerge da una carriera fatta di alti e bassi, non estraneo da pellicole dal tema difficile o dalla difficile interpretazione (a caldo mi verrebbe da ricordare Cosmopolis) e quindi anche stavolta riesce a inquadrare bene il suo personaggio, fatto principalmente di sentimenti umani e dunque comprensibili, che portano lo Stock di Pattinson a figurare come un protagonista-antagonista, più di se stesso che negli altri. Il carattere di Stock, tuttavia, come già accennato in precedenza, è troppo simile al ‘tipico ruolo di Pattinson’, una maschera che l’ex attore di Twilight pare avere difficoltà a scrollarsi di dosso. Da qui l’emergere, progressivo ma fulmineo, della figura di James Dean e del suo interprete, DeHaan. Già noto al pubblico, soprattutto grazie a ruoli in diverse serie tv, l’approccio di
Poche pecche e tanti sentimenti per la pellicola di Corbjin, che focalizza l’attenzione su una storia che riesce insieme a documentare il passato ma anche a raccontare di una leggenda, intraprendendo il difficile compito di capire come questa leggenda sia nata e che cosa l’abbia definita tale. Come recita anche una frase alla fine del film, furono solo tre i film che contribuirono al successo di James Dean, rendendolo l’icona di un’epoca. Forse con un azzardo potrei dire che basta questo unico film a capire l’umanità dietro la maschera di Hollywood: una maschera che Dean non indossò mai volentieri. Il film procede con un ritmo lento ma è una scelta indispensabile per dare alla storia l’impronta desiderata. Una pellicola che merita di essere vista, una storia che merita di essere conosciuta.