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Legion: Recensione degli episodi 1.02/1.03 – Chapter 2/Chapter 3

Sapranno che ciò che noi chiamiamo schizofrenia era una delle forme sotto cui – spesso per il tramite di gente del tutto ordinaria – la luce ha cominciato a filtrare attraverso le fessure delle nostre menti chiuse.

Estrapolati dal contesto in cui sono state scritte, le parole di Ronald Laing, psichiatra scozzese attivo negli anni ’60 e ’70, possono sembrare una sorta di profezia messianica priva di alcun valore concreto. Cominciano ad acquisire un maggiore significato quando si ricordi che, in contrasto con l’ortodossia psichiatrica del suo tempo, Laing considerava l’emozionalità del paziente come una descrizione valida di una esperienza vissuta, piuttosto che una semplice sintomatologia di una malattia presente. Soprattutto diventano un involontario ed imprevedibile riferimento a quanto sta accadendo a David, il protagonista di Legion.

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Una malattia che non esiste

Per tutta la vita, David è stato convinto che le voci insistenti che solo lui sentiva, le persone irreali che solo lui vedeva, i personaggi innaturali che solo lui tormentavano fossero parti crudeli della propria mente irrimediabilmente malata. Una schizofrenia paranoide a cui opporre le pillole monotone degli ospedali psichiatrici o le visioni allucinogene di droghe sempre diverse. Una malattia insopportabile da affrontare nella solitudine di chi non può essere capito da altri o nella compagnia di un’amica con cui condividere il comune desiderio di evasioni in mondi artificiali. Come convincersi dopo tanto tempo che era tutta una triste bugia? Come accettare che l’impossibile è possibile e la finzione una realtà diversa ma non meno concreta? Come credere che il morbo che hai sempre considerato la tua condanna sia il più grande dono che potesse capitarti?

Sono questi i problemi che deve affrontare David, le verità che la dottoressa Bird vuole fargli conoscere, le tracce che il dottor Loudermilk sta cercando nelle spire convolute del suo cervello. Ma per farlo David è costretto a rileggere tutto il suo passato, a rivedere i ricordi che ha tenuto nascosti, a illuminare con una luce diversa gli angoli bui che voleva dimenticare. Chi è David? O, più in generale, chi siamo noi stessi se tutte le esperienze che hanno contribuito a farci diventare ciò che siamo sono state lezioni il cui senso abbiamo completamente travisato?

Prima ancora che con i suoi poteri che diventano sempre più forti e incontrollati, David deve fare i conti con questo quesito ontologico. Siamo ciò che siamo oggi perché in passato siamo stati ciò che siamo stati. Ma David ha appena scoperto che per tutta la vita è stato ciò che non era. Un malato curato inutilmente per una malattia che non esiste. Cosa sarebbe stato se avesse incontrato Melanie prima? Quanti dei ricordi attraverso cui Ptonomy lo sta riportando non sarebbero mai accaduti? E come sarebbe oggi se non ci fossero stati? Ma soprattutto come si costruisce un io adesso quando tutto deve essere cancellato nel nome di un nuovo inizio?

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A pazziella ‘mmane e’ criature?

Soprattutto perché di quel passato carico di menzogne qualcosa inevitabilmente resta. Gli affetti incancellabili in primis come quello per la sorella Amy. È il desiderio urgente di salvarla dalle torture psicologiche prima che fisiche (ma anche farsi salassare dalle sanguisughe non è certo un piacere) a spingere David ad affinare ulteriormente i suoi poteri che adesso si arricchiscono della capacità di proiettare il proprio corpo astrale (si potrà chiamare così?) laddove è in pericolo qualcuno con cui è profondamente connesso. Scena che ha il pregio ulteriore di fornirci anche qualche dettaglio sull’inquietante agente della Divisione Tre soprannominato l’Occhio. Un essere che scopriamo essere capace di vedere i mutanti come David e Syd anche quando non sono fisicamente presenti percependone l’aura quando si avvicinano troppo a lui. Un pericolo per David e il gruppo della dottoressa Bird che deve tuttavia principalmente temere un altro pericolo più vicino.

Minaccia che ha il volto paffuto e gli occhi gialli del Demone che infesta i ricordi di David e che si manifesta quando i suoi poteri telecinetici si scatenano. O che ha il viso bambinesco di un pupazzo in carne e ossa fuggito da una fiaba nera per spaventare i bambini (ma chi è che usa un libro come quello come favola della buonanotte?). Soprattutto, il vero pericolo è uno che, come direbbero in quel di Napoli, sia finita a pazziella ‘mmane e’ criature (il giocattolo in mano ai bambini). Perché i poteri di David sono tanto immensi quanto incontrollabili. Come dare un bazooka a chi non ha mai sparato neanche con la pistola ad acqua e meravigliarsi che succeda una strage, come direbbe Lenny che sempre più appare come la voce ironica della coscienza che avverte David che il controllo non gli appartiene e mai gli apparterrà.

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All you need is love?

O forse no. Forse, David riuscirà, infine, a non aver più paura di guardare il Diavolo dagli Occhi Gialli. Forse, riuscirà a non scappare davanti al Bambino più Arrabbiato del Mondo. Forse, sarà in grado di spostarsi dove vuole e non dove lo scaraventano i suoi momenti di rabbia e paura. E, se ce la farà, sarà solo grazie all’amore per Syd. Grazie a lei che ci sarà sempre. Grazie a quel rapporto speciale che in questi episodi si sublima nell’abbraccio col David bambino nel mondo dei ricordi.

Una storia d’amore che potrebbe sembrare un noioso ripetersi del cliché solito tra l’eroe e la sua damigella. E, invece, tutto è diverso e non solo perché Syd è al momento colei che difende piuttosto che colei che è difesa. Soprattutto perché quell’impossibilità di toccarsi rende tutto estremamente delicato e sognante, sottolineando ancora di più il legame indissolubile tra i due innamorati  che mai potranno neanche baciarsi. Bravissimi sono sia Dan Stevens che Rachel Keller a comunicare il romanticismo del tutto con l’imbarazzo degli sguardi, il trattenersi dei corpi, il sognare dei sorrisi, il candore delle parole. Perché, forse, davvero all you need is love, ma questa ipotesi riesce ad essere tanto antica quanto originale proprio grazie all’abilità di non scadere in uno sdolcinato melò.

Non abbiamo avuto paura di tessere elogi sperticati per l’episodio pilota di Legion. Con altrettanta sicurezza diremo ora che i successivi due episodi sono riusciti a fare qualcosa di altrettanto difficile: convincere lo spettatore che il meglio non stava tutto nell’inizio, ma che è proprio il livello estremamente alto di ogni capitolo a candidarla fin da ora al top di un 2017 che è iniziato ancora da poco.

In attesa del prossimo episodio e delle prossime recensioni ricordatevi di mettere like alla nostra pagina Facebook per tutte le novità su tv e cinema.

Winny Enodrac

In principio, quando ero bambino, volevo fare lo scienziato (pazzo) e oggi quello faccio di mestiere (senza il pazzo, spero); poi ho scoperto che parlare delle tonnellate di film e serie tv che vedevo solo con gli amici significava ossessionarli; e quindi eccomi a scrivere recensioni per ossessionare anche gli altri che non conosco

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