
Le meilleur reste à venir: amici fino alla fine e oltre – La recensione della commedia francese in anteprima alla Festa del Cinema di Roma
Titolo: Le meilleur reste à venir
Genere: commedia
Anno: 2019
Durata: 1h 47m
Regia: Alexandre de La Patellière, Mathieu Delaporte
Sceneggiatura: Mathieu Delaporte, Alexandre de La Patellière
Cast principale: Fabrice Luchini, Patrick Buel
Buoni amici, buoni libri e una coscienza tranquilla. Erano questi gli ingredienti a comporre la trilogia necessaria ad avere una vita ideale secondo Mark Twain. Ma, forse, esagerava e ne basta solo uno. I buoni amici. Almeno così la penserebbero sicuramente i protagonisti di La meilleur reste à venir. A cui basta l’amicizia sincera e indissolubile per affrontare con leggerezza persino un lutto non troppo futuro che è l’unica nemesi contro cui non potranno battersi.

Una commedia in tre atti
Scritto e diretto dalla rodata coppia Alexandre de La Patellière e Mathiedu Delaporte, La meilleur reste à venir è l’ultimo dei prodotti della recente linea comica che sembra aver donato una patina più popolare al cinema francese. Titoli come Su al Nord e Cena tra amici hanno, infatti, dato una mano di vernice allegra e colorata diffondendo l’idea di un tipo di cinema che non è solo raffinato ed elitario, ma sa anche andare incontro al pubblico più interessato ad un onesto intrattenimento. Una comicità aliena dagli eccessi pecorecci dei cinepanettoni italiani, priva delle smorfie ridicole dei comedy a stelle e strisce, meno cerebrale dell’algido humour inglese.
Un umorismo che nasce dalle situazioni in cui si vengono a trovare personaggi inadatti al ruolo che dovrebbero svolgere. O incapaci di affrontare con la necessaria serietà argomenti difficili. Come dovrebbe essere l’aver scoperto che un tumore in stato avanzato ha già scritto la condanna a morte di uno dei due protagonisti. Parte da questa rivelazione una commedia degli equivoci dove due amici dovranno trovare il modo di avvicinarsi al fatale momento in cui dovranno per forza dirsi addio.
Le meilleur reste à venir diventa, allora, una commedia in tre atti di tenore e lunghezza differenti. Un primo tempo breve e fulminante che presenta i due amici singolarmente mostrandone vizi e virtù con vignette immediate. Una scoperta quasi casuale innesca un secondo tempo che è un pirotecnico susseguirsi di dialoghi salaci, situazioni esilaranti, momenti grotteschi. Prima di spegnersi nella serietà inevitabile del terzo conclusivo atto.


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Amici perché opposti
La meilleur reste à venir è soprattutto un inno all’amicizia. Non quella che oggi piace tanto chiamare bromance quando di parla di serie tv. Ma quella vera che nasce per caso da bambini e diventa l’unico punto fisso su una lavagna dove la vita scrive e cancella i nomi di tanti che si trovano ad esserci accanto. Il porto sicuro a cui entrambi possono attraccare quando desiderano riposarsi da una tempesta appena affrontata. O semplicemente la casa in cui incontrarsi per il puro piacere di ritrovarsi ogni giorno come fosse il primo.
Arthur e Cesar sono inseparabili nonostante siano caratterialmente diversi. Anzi, proprio perché sono palesemente opposti. Arthur (Fabrice Luchini) è il classico maniaco dell’ordine e del rispetto di ogni legge ed educazione che non può neanche esimersi dal rinfacciare ad un autista distratto che non ha acceso le frecce. Un uomo buono e tuttavia talmente ossessivo che una moglie può non smettere di amarlo, ma anche questo non basta a sopportarlo quanto serve per non divorziare. Un personaggio che va quasi fiero del suo non essere simpatico, ma preferisce essere sé stesso comunque convinto che siano gli altri a dover scegliere se prendere o lasciare il pacchetto completo.
Esattamente il contrario di Cesar (Patrick Bruel) che è, invece, alla costante ricerca di piaceri effimeri che durano giusto il tempo di pensare a cosa fare dopo. Eccentrico, piacione, gigioneggiante, insofferente di ogni regola, rispettoso degli altri fintanto che non intralciano il suo divertimento. Così è Cesar. Un carattere ribelle e iconoclasta per il quale è possibile scherzare su tutto e su tutti. Un uomo che ha fatto della libertà un bene inalienabile interpretandola come dovere di non lasciarsi precludere e non precludersi nessuna possibilità.
Sarebbe banale dire che Arthur e Cesar sono gli opposti che si attraggono. Ma è una banalità mai così vera e divertente come in La meilleur reste à venir.


Ridere del lutto
Dante insegnava che una commedia inizia male e finisce bene, mentre l’opposto avviene in una tragedia. Seguendo questo schema, La meilleur reste à venir andrebbe assegnato al più triste dei due generi. Non è così ovviamente perché il tono generale del film è quello comico. Ed è, dopotutto, proprio questo l problema del terzo atto di questo film. Una fase finale che deve lasciare da parte i ritmi e i toni leggeri per affrontare una fase più cupa e riflessiva. Ma è nella gestione di questa chiusura che il duo alla regia e alla scrittura va in comprensibile difficoltà. Perché né chi scrive e dirige né chi interpreta sa trarre dai suoi pur versatili strumenti le giuste note per una melodia differente dal resto del concerto andato in onda fino a quel momento.
E, tuttavia, il difetto è ampiamente perdonabile perché con La meilleur reste à venir registi e attori hanno voluto provare l’impossibile. Ridere del lutto. Accettare che la morte non sia un motivo sufficiente per smettere di sorridere. Dimostrare che anche, se è destinato a finire, il viaggio va sempre affrontato cercando di divertirsi finché dura. Che un nuovo impensabile inizio è possibile anche quando gli opposti che sono stati sempre uniti sono costretti a dividersi.
Dopotutto la definizione di Dante era incompleta. Può iniziare bene, continuare meglio e finire male prima che vada di nuovo tutto bene. Anche così è ancora una commedia.