
La Grande Scommessa: la recensione del film di Adam McKay
Titolo: La grande scommessa (The Big Short)
Anno: 2015 – Durata: 130′
Regia: Adam McKay – Cast: Christian Bale, Ryan Gosling, Steve Carell, Brad Pitt, Melissa Leo
Dal 2007 fino a oggi non si fa altro che parlare di crisi e di congiuntura economica. I consolidati stili di vita del mondo occidentale sono stati messi a dura prova da un fenomeno che affonda le sue radici nelle logiche speculative dei mercati finanziari pilotati da broker e gotha: i fautori della così detta “finanza creativa”.
Proprio a causa di questi “artisti” dell’investimento, milioni di persone hanno perso tutto: casa, lavoro, rapporti familiari, in alcuni casi la vita. Nonostante tutto, la maggior parte di noi non è ancora in grado di delineare con esattezza le cause che hanno portato alla crisi economica che ci ha travolto.
La Grande Scommessa, film diretto da Adam McKay e prodotto da Brad Pitt, spazza via tutti questi dubbi, spiegando con professionalità e competenza contenutistica tutti i passaggi che hanno scandito le fasi e gli sviluppi della caduta di un sistema. Una lezione di economia tenuta da quattro docenti speciali: Christian Bale, Ryan Gosling, Brad Pitt e Steve Carrel. Cassandre dell’era moderna che predicono i peggiori disastri macroeconomici ai quali nessun banchiere è disposto a credere.
Un establishment destinato a collassare basato su rapporti collusivi instaurati tra sorveglianti e sorvegliati, ovvero tra agenzie di rating e banche.
Michael Burry, interpretato da un sensazionale Christian Bale, nonché nerd della finanza sociopatico e metallaro, scopre un dato allarmante riguardante i termini di pagamento dei muti sottoscritti dagli statunitensi e decide di puntare sulla caduta dell’intero sistema immobiliare acquistando miliardi di prodotti finanziari e coinvolgendo pochi ma lungimiranti investitori capitanati Gosling, nei panni di un broker in stile The Wolf of Wall Street e da un sorprendente Steve Carrel.
Prestazioni attoriali di alto livello che hanno contribuito ad accrescere la spettacolarità di un film senza fronzoli che si svolge quasi interamente tra le vetrate degli uffici Wall Street dove il Dio denaro riesce a sopraffare chiunque sia disposto a vendere l’anima per seguirlo.
Non è il solito blockbuster americano pesante e macchinoso, anzi. The Big Short, questo il titolo originale, si fa seguire senza troppe difficoltà con una sola prerogativa: essere consapevoli del prodotto cinematografico che stiamo acquistando.
I ritmi sono frenetici e incalzanti, non c’è un attimo di tregua. La Grande Scommessa è coinvolgente, illuminante e dissacrante, produce una sorta di elettroshock emotivo che conferisce consapevolezza e che destabilizza allo stesso tempo.
Dopo averlo visto sorge spontaneamente un dubbio: “Abbiamo bisogno di un Brad Pitt di turno per capire cosa ci sta succedendo? Se la risposta è sì, allora qual’è il ruolo dei mass-media e delle grandi firme da editoriale?”
Molti hanno provato a identificare le cause di un malanno generazionale, tuttavia in pochi sono stati in grado di comunicare queste informazioni in modo chiaro e soprattutto corretto. Il film di Adam McKay ripara tutte le lacune delle alte sfere dell’editoria che hanno colpevolmente evitato di sottolineare delle situazioni estremamente rischiose per garantirsi forse la protezione e il supporto delle lobby a discapito delle persone comuni; le stesse che oggi pagano 8 euro per andare a vedere Brad Pitt che gli spiega la crisi.