
King Arthur: Recensione del film di Guy Ritchie con Charlie Hunnam e Jude Law
Titolo: King Arthur – Il potere della spada (King Arthur: Legend of the sword)
Genere: avventura, azione, fantastico
Anno: 2017
Durata: 126 min
Regia: Guy Ritchie
Sceneggiatura: Guy Ritchie, Joby Harold, Lionel Wigram
Cast: Charlie Hunnam, Jude Law, Djimon Hounsou, Eric Bana, Astrid Bergès-Frisbey, Aidan Gillen, Katie McGrath, David Beckham, Neil Maskell, Michael McElhatton, Mikael Persbrandt
Quando si arriva al trentesimo minuto di King Arthur – Il potere della spada, si tira un sospiro di sollievo. Non c’entra nulla la scena che si sta guardando né la colonna sonora ha indotto qualche ricordo sopito che riemerge non richiesto. Dopo trenta minuti si tira un sospiro di sollievo, perché quello che nei trailer appariva un film di un trash mai visto, in realtà si sta rivelando essere più godibile del previsto.
Ed è cosi per tutta la durata del film: ci sono delle scene apprezzabili sotto ogni punto di vista (regia, sceneggiatura, montaggio etc.) ma altre dove invece la potenza del trash esce fuori incontenibile.
Senza fare spoiler eccessivi, basti pensare alla scena dove un serpente enorme viene evocato e sconquassa tutto il palazzo, oppure agli incredibili combattimenti guidati dalla spada magica che non ha rivali. Artù da solo spazza via intere legioni di combattenti, solo perchè la spada è un artefatto magico quasi invincibile.
Eppure c’è anche la dinamicità delle scene montate ad arte per raccontare antefatti o per mostrare eventi successivi nel momento in cui vengono pianificati. Una certa verve comico-realista che caratterizza i personaggi della banda di Artù che li rende molto più moderni rispetto al mito medioevale dei cavalieri della tavola rotonda. Tutti elementi classificabili tra i pregi di un film che sa intrattenere, è per gran parte scritto bene e quando sprofonda nel trash più trash che si può non pregiudica tutto il resto della pellicola.
Come si può intuire dal titolo, la storia è una narrazione in chiave fantastica dell’ascesa al potere di Artù in un tempo passato non meglio precisato, dove l’Inghilterra è l’Inghilterra, Camelot è nel passato e il futuro si chiama Londinium. Un mondo fantastico, si diceva, perchè abitato dalla magia e dai suoi utilizzatori, banditi ai giorni del trentenne Artù in quanto nemici del quieto vivere. Gli antefatti sono tutti nei primi minuti: Artù cresce lontano dalle sue origini regali, in mezzo al fango della città come un popolano qualsiasi spaccone ed arrogante. Riesce ad acquistare un certo rispetto e a guadagnarsi da vivere gestendo un locale/bordello, ma ben presto il destino lo chiama a sé e lo porterà sulla strada verso Excalibur. Quando fatalmente estrae la spada, viene a contatto con la resistenza e con la maga Guinevere (Astrid Bergers-Frisbey) che lo aiuterà a controllare il potere dell’artefatto. La spada, forgiata da Merlino in persona, deriva infatti da un antico bastone pregno di potere magico.
La resistenza è contro il tiranno Vortigern (Jude Law). Zio di Artù, era in combutta con uno stregone cattivo grazie al quale ha ottenuto dei poteri magici per uccidere Uther Pendragon (Eric Bana) e assicurarsi così il controllo del Regno. Jude Law si ritrova a fare un altro ruolo di potere dopo la sua apparizione in The Young Pope, questa volta però votato al male. Se c’è una cosa che accomuna lui e il personaggio di Charlie Hunnam è la chiamata del destino. Artù è destinato ad essere Re, a vincere, mentre il secondo è destinato ad essere uno strumento del male che non può ribellarsi a ciò che è diventato. Chiamato a sacrificare le persone che più ama, Vortigern non può fare altro che eseguire. Non è semplice questione di trama, è una parte che caratterizza i due personaggi fino al midollo.
Notevoli sono i costumi del film. Ricordano molto quelli di Game of Thrones, e non è l’unica caratteristica che lega i due progetti. Proprio come in GoT, anche in King Arthur si nota come alcuni personaggi storici di questo mondo immaginario siano caratterizzati in maniera tale che a noi spettatori basti solo modo in cui viene pronunciato quel nome, altrimenti sconosciuto, e vedere un paio di atteggiamenti del tipo in questione per immaginare tutto il mondo che c’è dietro.
Warner Bros vorrebbe produrre ben altri cinque film per raccontare la leggenda di Re Artù. Se uno va bene giusto per una serata da passare al cinema, altri cinque film di questo genere potrebbero risultare pesanti e non graditi. A meno che il tocco trash non venga completamente eliminato e si lavori su tutto quello che c’è di migliorabile.