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Judy: accettare il tramonto – la recensione del film con Renée Zellweger sugli ultimi anni di Judy Garland in anteprima alla Festa del Cinema di Roma

Titolo: Judy
Genere: biopic
Anno: 2019
Durata: 1h 58m
Regia: Robert Good
Sceneggiatura: Tom Edge, Peter Quilter
Cast principale: Renée Zellweger, Jessie Buckley, Finn Witrock, Rufus Sewell

Arriva sempre quel momento. Non importa quanto in alto sei riuscito ad arrampicarti. Né per quanto tempo sei rimasto in vetta a goderti l’aria rinfrescante di un successo meritato. Arriva comunque l’attimo in cui devi scendere. In cui il giro di giostra è finito e non hai più i gettoni per farne un altro. Il problema è che non sempre è così facile accorgersi di non avere più niente da offrire. E che quello che ancora potresti dare non interessa più a nessuno. Sempre che tu sia ancora in grado di dare qualcosa. Rassegnarsi che è finita: questo era il problema di Judy Garland. E questo ci racconta Judy.

Judy: la recensione
Judy: la recensione – Credits: 20th Century Fox

Una stella che bruciò troppo in fretta

Judy Garland esordì in un piccolo film musicale che doveva servire alla MGM del dispotico Luis B. Mayer come test per scegliere chi lanciare tra lei e la quasi coetanea Deanna Durbin. Era il 1936 e la appena quattordicenne Frances Ethel Gumm forse non sospettava neanche che sarebbe diventata l’eterna Judy Garland. L’aspetto aggraziato e una voce unica furono le doti che la resero rapidamente popolare, ma la fama planetaria arrivò con Il Mago di Oz del 1939. Da quel momento Judy divenne schiava del suo stesso successo come pochi ma significativi flashback ci mostrano gettando una fosca luce sul padre padrone della MGM.

Il film di Rupert Good inizia da quella camminata sui mattoni gialli per poi saltare direttamente a dove quei primi passi hanno, infine, condotto la sua protagonista. Judy non è la storia del successo, ma del dopo. Un racconto della fine del sogno di una ragazza a cui è stata negata l’adolescenza perché doveva incarnare un’ideale di purezza e innocenza. Di una donna che ha pagato quel sogno con una serie di scelte sbagliate che la hanno portata ad esaurire troppo presto ciò che aveva da dare. Un personaggio a cui una vita costellata di scelte sbagliate ha insegnato che quella purezza e quella innocenza erano solo finzioni cinematografiche. 

Judy è il finale di una favola che aveva per protagonista una stella che bruciava più forte delle altre. Senza sapere che ciò che brucia più forte, brucia più in fretta.

Judy: la recensione
Judy: la recensione – Credits: 20th Century Fox

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Una donna in cerca di amore

Eppure, la Judy che vediamo nel film sembrerebbe aver perso da tempo anche la volontà di splendere. Si accontenta di esibirsi in locali di terzo ordine che la pagano poco e subito. Trascinandosi dietro i figli (toh, c’è Bella Ramsey che non da ordini come quando era la Lyanna Mormont di Game of Thrones) da un palco all’altro sperando che non la caccino dall’ennesimo hotel. Riducendosi ad elemosinare accoglienza dall’ultimo dei mariti da cui ha divorziato. Infilandosi ai party a cui è invitata la figlia più grande (Liza Minelli che appare giusto il tempo di un cameo per Gemma Leah Devereux) in rampa di lancio per il successo.

Judy è il ritratto di una donna che ormai sa che non il suo tempo è finito, ma non può accettare questa lampante verità. Perché consapevole che a farlo finire prima del previsto è stata lei stessa con il suo alcolismo e i suoi troppi problemi. E, soprattutto, perché di lavorare ne ha un accanito bisogno se vuole ancora tenere con sé i due bambini che sono l’ultimo gioiello che le è rimasto. È per loro che accetta anche il sacrificio estremo di allontanarsi per una serie di spettacoli a Londra che dovrebbero fruttarle la stabilità economica necessaria.  

Non funzionerà. Perché ormai la Judy che quegli spettatori volevano vedere non c’è più se non nel ricordo di qualche fan arrivato fuori tempo massimo. Nel desiderio indomabile di essere ancora amata dal pubblico. Negli atteggiamenti insofferenti di chi pretende che tutti la vedano come la diva che fu e non è più. Nella disperata ricerca di qualcuno che creda in lei al punto da donarle amore incondizionatamente. Nella spasmodica volontà di restare in scena oltre ogni evidenza e oltre ogni andatura sbilenca e voce annegata nell’ennesimo drink di troppo.

Judy è un dipinto di un sole che non vuole tramontare perché tristemente sa che non ci sarà un’altra alba.

Judy: la recensione
Judy: la recensione – Credits: 20th Century Fox

Un Oscar prenotato

A decretare il successo di un film la cui sceneggiatura si limita a scrivere un solo personaggio e a ricalcare le cronache passate è sicuramente l’interpretazione di Renée Zellweger. Judy è tutto in lei. L’attrice statunitense diventa Judy Garland non tanto e non solo per l’operazione di mimesi di gesti e movenze. Piuttosto è Judy nel suo modo di rapportarsi ad una carriera costellata di successi, ma ormai senza un futuro radioso. L’intensità della prova. La capacità di comunicare con i silenzi. Il magnetismo degli sguardi sofferenti. La forza vitale degli ultimi scatti di chi non vuole arrendersi. Le insospettate abilità canore. Sono solo alcuni dei pregi di una prova attoriale che candida la Zellweger all’Oscar per migliore attrice protagonista. Una candidatura che sa quasi di prenotazione garantita dato anche il fascino che ruoli di questo genere esercitano sui giurati dell’Academy.  

Basterebbe da solo questo pregio per promuovere Judy. Ma il film si fa apprezzare anche per la qualità della messa in scena. La ricchezza delle scenografie e la varietà dei costumi restituiscono il glamour che i tempi richiedevano sapendo anche farsi poveri e dimessi quando le circostanze peggiorano. Una fotografia cangiante si adatta ai sentimenti che predominano nei momenti del film preferendo toni scuri o chiari a seconda dell’animo della protagonista. E, d’altra parte, tutto in Judy è al servizio della propria eroina come anche la regia che si limita a fare bene attenzione che nulla distolga l’attenzione dello spettatore.

Judy è ciò che aspetta alla fine della strada di mattoni gialli. Non la Wicked Witch, ma semplicemente un finale inevitabile. Che non sempre è un happy ending.

Winny Enodrac

Vorrei vedere voi a viaggiare ogni giorno per almeno tre ore al giorno o a restare da soli causa impegni di lavoro ! Che altro puoi fare se non diventare un fan delle serie tv ? E chest' è !

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