fbpx
CinemaRecensioni Cinema

Jimi – All is by my side: la recensione

 

Finalmente un omaggio tanto aspettato ad un mostro sacro della musica rock: molti personaggi lo avevano già ricevuto con un film biografico o un adattamento ispirato, dai Doors a Johnny Cash, da David Bowie a Bob Dylan. Un impegno e una responsabilità che il regista John Ridley si assume nei confronti di un pubblico impaziente. JIMI

Il trailer scandito da immagini psichedeliche e melodie familiari agli amanti di Jimi, invoglia ancor di più ad andare al cinema e crea certe aspettative nei curiosi spettatori, ansiosi di vedere uno spettacolo energico, pieno di aneddoti e episodi avvincenti.

Quale idea migliore se non scegliere un cantante per vestire i panni di una giovane stella cadente, che ha incantato e continua ad appassionare con il suo genio effimero? L’onore di tale interpretazione è toccato ad un simpatico André Benjamin, o meglio noto come cantante della band “OutKast”, per chi non si ricordasse, gli autori del singolo “Hey Ya”!. L’inaspettata scelta di Benjamin, che avrà presumibilmente lasciato indispettito Lenny Kravitz, desideroso più che mai di prestare la sua voce al suo mito musicale, suscita grande sorpresa anche nel pubblico meno scettico. Notevole è la sua estrema scioltezza con cui compare sul grande schermo, facendoci decisamente dimenticare il suo estro di cantante vestito da fantino o giocatore di golf nel video della sua più famosa canzone. Somiglianze a parte, riesce a rendere con grande maestria il carattere introverso e schivo, ma al tempo stesso sincero e profondo di un “mostro sacro” del rock.

Tuttavia il film non si rivela scattante ed energicamente coinvolgente come ci si può aspettare dal trailer. Inoltre non viene presa in esame la sua vita intera, e nemmeno tutta la sua carriera, dall’origine all’infausta morte, ma un lasso di tempo più ristretto e meno “pop”, ma fondamentale per la sua carriera artistica. Il periodo su cui viene puntata la cinepresa va dall’incontro nel 1966 con la fidanzata di Keith Richards, Linda Keith (Imogen Poots), che funge da angelo custode ad un giovane emergente e pieno di talento che smarrisce spesso la via, all’esibizione al Saville Theatre di Londra nel 1967, poco prima del festival di Monterey, tra il cui presenziano niente meno che i Beatles.

Si tratta di una scelta singolare, ma che permette di riflettere a mio parere con maggiore attenzione sul carattere di Hendrix. Non posso negare che mi aspettavo di vedere la celeberrima scena in cui dà fuoco sul palco alla sua Fender Stratocaster o di ascoltare ancora una volta la sua perturbante versione dell’inno americano, ma queste mancanze non hanno affatto turbato la visione di questa pellicola. Analizzando l’ascesa, dall’anonimato prima, e dalla swinging London poi, il regista (John Ridley) ha avuto l’occasione di fare luce su una personalità combattuta e sensibile, che preferisce osservare e suonare, piuttosto che perdersi in disquisizioni e distinzioni o giudizi netti: “la conoscenza parla, la saggezza ascolta” ribatte al rimprovero di essere taciturno.

jimi-hendrixCon un montaggio a tratti rapido, a tratti volutamente rallentato, viene lasciato spazio agli incontri, ai dialoghi con uomini, donne, musicisti e manager in locali e luoghi perfettamente ricostruiti secondo la moda degli anni ’60. Dall’amica Linda che lo rimprovera per la sua condotta e che lo sprona a dare il meglio di sé nonostante le situazioni avverse, all’entusiasta produttore e manager Chas Chandler (bassista degli Animals) che riesce a portarlo a Londra e a farlo suonare con un allibito Eric Clapton, da un ricco nero che lo invita a suonare la “musica del popolo nero”, ai litigi più che verbali con la fidanzata Kathy, scopriamo un retroscena che fa sorridere e rende ancor più fascinoso (o riprovevole, a seconda) colui che divenne un’icona intramontabile.

L’originalità del film sta proprio nell’osservare l’evoluzione di un musicista autodidatta dal passato travagliato, che solo con l’aiuto e la fiducia di altri artisti riesce ad emergere, a cantare con la sua voce da lui stesso inizialmente svalutata, a suonare una musica che arrivi all’anima delle persone, senza parlare di politica.

Si tratta sempre però di scelte cinematografiche rischiose per l’apprezzamento di un film, che lascia il periodo del successo planetario alla competenza del pubblico: eppure bisogna ricordare che esso non avrebbe avuto luogo senza gli incontri, le conoscenze, le esperienze fatti negli anni precedenti, senza quella serendipity che molti artisti sognano. Incrociando le dita per il successo del film, anche se temo che sarà limitato, lo consiglio a chi vuole vedere qualcosa di diverso, discorsivo e introspettivo.

 

 

Jimi - All is by my side: la recensione

Insolito

User Rating: Be the first one !

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Pulsante per tornare all'inizio