
Inside Out: la recensione
Premessa. Recensire una serie tv o un film richiede prima di tutto di essere obiettivi e di non lasciarsi trasportare da situazioni personali che possono alterare in qualche modo il giudizio finale. Ad esempio, non è che siccome hai una figlia della stessa età della Riley del film e, come il regista Pete Docter, ti sei chiesto cosa passi nella sua testa ora che sta cambiando ambiente e amicizie, puoi partire con un grazie preventivo nei confronti di chi ha realizzato “Inside Out”. Fortuna che il nuovo film Pixar faccia di tutto per meritarsi fino all’ultimo di quei ringraziamenti aprioristici riuscendo a farli sembrare persino risicati.
“Inside Out” parte da quella domanda persino banale e decide di affrontarla concentrando uno sguardo indagatore sul di dentro scegliendo di personificare le emozioni che controllano il modo di agire di ognuno e ne determinano la personalità. Che la Casa della Lampada che tante emozioni ci ha regalato con i suoi capolavori precedenti (anche se la vena sembrava essersi esaurita in troppi sequel non sempre riusciti) fosse la più adatta a renderle protagoniste di un nuovo lungometraggio era la scelta più condivisibile. Che a dirigere questo apologo delle emozioni dedicato al complicato passaggio dall’infanzia all’adolescenza fosse lo stesso regista che tanto bene ha saputo rileggere la vecchiaia con “Up” (fino ad essere premiato dall’Academy con l’Oscar nel 2009) era una rassicurante garanzia di sicura qualità. Che le promesse racchiuse in queste premesse siano poi state pienamente mantenute è il motivo innegabile del successo di questo “Inside Out”. Un film che, come spesso accade per le opere della Pixar, è confezionato per i bambini (con la sua fantasmagoria di colori e suoni, amici immaginari e macchiette divertenti), ma pensato per chi è lì ad accompagnarli e finisce sistematicamente per dover ringraziare la gazzarra che i suoi figli hanno fatto per convincere il recalcitrante genitore.
È vero; non sono stati quelli della Pixar i primi a mostrare l’interno della mente come una sala di controllo dove personaggi più o meno strampalati dibattono su come dirigere il loro ospite (perché già in una poco fortunata serie tv degli anni ottanta si era visto questo trucco). Ma sono stati i creatori di “Inside Out” a fare di questo simpatico calembour un delicato gioco per insegnare alcune profonde verità. Che crescere significa anche capire che non tutto è di un solo colore. Che il giallo luminoso della gioia non deve avere paura di sporcarsi con la tenue timidezza del blu della tristezza. Che ad un certo punto bisogna rassegnarsi ad uscire dal tunnel del divertimento senza avere timore di quel che potrebbe accadere. Che anche i ricordi più belli e duraturi possono cambiare perché diverso è il modo in cui ad essi si guarda. Che i fatti e le opinioni possono confondersi nella lontananza della memoria. Che un amico immaginario (un po’ elefante, un po’ zucchero filato) può sacrificarsi per lo stesso motivo per cui ne avevi evocato la rassicurante presenza. Che arriva inevitabile il momento in cui anche i pilastri incrollabili su cui si regge il palazzo del carattere possono sbriciolarsi, ma solo perché nuovi e più sontuosi edifici devono essere costruiti su macerie taumaturgiche. Concetti che possono sembrare anche banali o impregnati di una filosofia spicciola, ma che è difficile trovare esposti con tanta leggiadra eleganza e raffinata semplicità.
“Inside Out” è un film che ogni genitore di un undicenne dovrebbe vedere (e qui si ricade nel conflitto di interessi citato nella premessa). Ma è soprattutto di più. Un film del cui piacere ognuno, genitore o meno, non dovrebbe privarsi. E questo è certo al di là di ogni premessa.
Visitor Rating: 4 Stars
Visitor Rating: 5 Stars
Visitor Rating: 5 Stars
Visitor Rating: 5 Stars
Visitor Rating: 4 Stars
Bè, questi non sbagliano mai… davvero bello e intelligente. Alla faccia delle supposte gialle 😛
Visitor Rating: 3 Stars
Visitor Rating: 5 Stars