
In the Flesh: Recensione dell’episodio 2.04 – Episode 4
Una regola tanto ovvia da non essere scritta in nessun manuale del buon recensore dice che è assolutamente vietato copiare quanto già scritto da un collega. Eppure, il quarto episodio di questa seconda stagione di “In the flesh” obbliga il colpevole recensore a infrangere questo basilare principio e riprendere la citazione di Marx fatta da Maura nell’incipit della sua recensione: “Quando una minoranza maltrattata e sfruttata acquista la propria coscienza di classe, i tempi sono maturi per una rivoluzione”. Peccato grave quello appena commesso, ma inevitabile per quanto indissolubilmente legati sono questo episodio e il precedente. Se, infatti, la volta scorsa abbiamo visto i malati di PDS iniziare ad acquisire una propria coscienza di classe, sono il seguito di questo processo e le sue prime conseguenze gli argomenti affrontati come a voler spiegare in che modo si deve interpretare la frase di Marx.
La cifra stilistica che da sempre caratterizza “In the flesh” è l’approccio intimista e riflessivo a temi delicati che la finzione della PDS permette di mascherare dietro circostanze immaginarie che finiscono per far volutamente risaltare il realismo universale dei sentimenti scandagliati. Con questa premessa, è quasi inevitabile che l’acquisire “coscienza della propria classe” viene affrontato non in relazione ad un gruppo di persone, ma indagando cosa ciò significa per pochi singoli individui. Primo su tutti, ovviamente, Kieran. Pur avendo accettato la sua condizione di malato di PDS, Kier non è mai realmente riuscito a liberarsi del senso di colpa, del sentire la sua malattia come una punizione, il suo ritorno come un ingiustificato dono che non meritava. Non toglie mai le lenti a contatto per non dover guardare gli occhi gialli che gli ricordano cosa hanno visto quando era ancora un rabbioso. Non dimentica mai di passare il cerone per nascondere il pallore livido del suo volto per non dover osservare il riflesso della vergogna. Implora Simon di fare altrettanto perché quella maschera tanto odiosa è per lui invece un’ancora a cui aggrapparsi per non andare alla deriva nel mare dei rimorsi. Eppure, Kier ha sempre saputo nel profondo che questo suo atteggiamento, questo suo sentirsi perennemente in debito, questo suo nascondersi fino a desiderare la fuga non erano corretti. Le condizioni animalesche in cui vengono tenuti i malati ancora da curare e l’esperienza di Freddie hanno iniziato a spezzare il bozzolo dentro cui si era avvolto; l’attrazione verso Simon e le sue parole hanno allargato quella crepa; il racconto di Gary in un quanto mai improbabile pranzo di famiglia e soprattutto la reazione del padre alla replica di Kieran hanno definitivamente mandato in frantumi quella corazza. Lenti e cerone non servono più; sono maschere di vetro che non nascondono nulla; non basta indossarle perché gli altri non vedano il tuo vero volto. E non c’è nulla che vada nascosto e di cui non ci si possa sentire anche orgogliosi. Kier decide quindi di cancellare ogni trucco come gesto di catarsi personale e amore verso Simon quasi a ripulire entrambi dalla sporcizia di una menzogna portata avanti troppo a lungo.
Chi ha invece sempre avuto coscienza del proprio essere e lottato perché anche gli altri lo accettassero è la sempre più preoccupata (e a ragione visto il progredire della malattia) Amy. Tuttavia, la sua continua gioia di vivere, il suo irrefrenabile entusiasmo, il suo incedere quasi saltellante sono, a ben vedere, una maschera buffa che nasconde la paura di essere rifiutata, di non essere amata, di essere abbandonata. L’aggrapparsi a Kieran prima e a Simon poi sono modi feroci per sfuggire alla solitudine e sentirsi parte di un gruppo e poco importa quale esso sia. Per questo, vedere Kier e Simon baciarsi è per Amy un colpo duro, ma al quale reagisce senza pensare neanche per un momento di accusare i suoi due amici. Troppo alto il rischio di allontanarsi da loro. Troppa la paura di perderli. Ciò che più cerca Amy è amore e a questo suo desiderio è disposta a sacrificare anche le proprie antipatie. Come quella per Philip che sparisce non appena quest’ultimo trova il coraggio di dichiararsi. Amy ride ancora e stavolta il suo sorriso non è una maschera per gli altri, ma l’espressione di una sincera felicità.
Contraddicendo quanto detto all’inizio, la presa di coscienza di cui questo episodio ci parla non è solo quella di una classe, ma anche di chi di quella classe non fa parte. È Philip, infatti, il personaggio che trova finalmente il coraggio di confessare la propria alterità dall’immagine comune che altri hanno scelto per lui. Un percorso doloroso e titubante, fatto di timidi passi avanti (come il testardo sottolineare a Maxine quanto falsa sia la versione su Henry che lui dovrebbe raccontare alla disperata Shirley) e impaurite retromarce (vedi i nastri sottratti che mostrano l’esistenza del bordello). Ma che alla fine esplode in una pubblica dimostrazione che mostra quanto eroico possa essere anche solo mettersi in posa in una crudele gogna mediatica. Un coraggio che Amy non può che apprezzare e che invece manca del tutto a Jem che decide di ritornare nella riformata milizia solo per non affrontare la propria paura di reinserirsi in una vita dove omicidi e ronde sono eccezioni e non la norma.
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2.04 - Episode 4
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