
In the Flesh: Recensione dell’episodio 2.02 – Episode 2
John Ruskin (scrittore, poeta e critico d’arte inglese della seconda metà dell’Ottocento) scriveva che la casa è “il luogo della pace; il rifugio, non soltanto da ogni torto, ma anche da ogni paura, dubbio e discordia”. Seguendo questa definizione, sentirsi a casa dovrebbe significare anche essere felici di trovarsi nel luogo a cui si appartiene, dove puoi incontrare le persone che condividono con te una quotidianità fatta anche di lavori monotoni e feste eccitanti, incontri piacevoli e discussioni antipatiche. Se la prima stagione di “In the flesh” si era chiusa con Kieran tornato a casa, questa seconda mette sempre più in dubbio che Roarton sia davvero quella che Ruskin avrebbe definito casa.
Rifugio da ogni paura, dubbio e discordia ? Assolutamente, no. I malati di PDS potranno anche lavare le tue finestre, frequentare le stesse scuole dei vivi, bere una birra in un pub, sistemare gli scaffali di un supermarket, lavorare come prostitute in un bordello. Ma a patto che non dimentichino il fondotinta e le lenti a contatto, che siedano a mensa ben distanti da tutti gli altri studenti isolati come vittime di un rinnovato bullismo, che si sottomettano ai servizi sociali implicitamente accettando di essere innocenti colpevoli (ossimoro voluto) di crimini compiuti senza alcuna volontà. Troppo sensibile per non accorgersi del malcelato rifiuto che buona parte dei suoi ipocriti concittadini cercano di giustificare in nome di una sicurezza che è solo paura del diverso, Kieran cerca di vincere quel desiderio di fuga che, quando ancora era vivo, lo aveva portato al suicidio. Certo, la prima volta scappava dall’impossibilità di essere accettato per la sua omosessualità che lo rendeva troppo diverso dalla morale comune. Ma cosa c’è di differente stavolta ? Adesso come allora, Kieran sa che Roarton non potrà accettare il suo essere ancora una volta altro dalla maggioranza. Ma sa anche che il ritorno in vita è una seconda chance che gli è stata offerta e che non può sprecare macerandosi tra birre da spillare in un pub semideserto e discussioni ripetitive con i bulli del paese. Soltanto lo frenano l’affetto per la famiglia (con il padre diventato ormai figura quasi comica nel suo esprimere ogni pensiero anche in modo inopportuno), l’amicizia con Amy e la preoccupazione che il suo nuovo amore Simon sia altro da quello che dice di essere, il desiderio di non lasciare sola la sorella Jem nel suo difficile percorso di ritorno alla normalità. Ma anche il magnete più grande ha una forza limitata e il rendersi conto che un luogo dove devi nascondere chi sei anche a te stesso non potrà mai essere quello a cui appartieni è una spinta sufficiente a spezzare ogni legame.
Perché a pochissimi è concessa una seconda opportunità e un delitto troppo grande sarebbe sprecarla perché incapaci di accettarla. Non devi necessariamente essere ritornato dai morti perché ti sia offerta questa seconda chance. Magari eri una volontaria che andava in giro ad uccidere malati di PDS per nascondere il proprio dolore per la perdita dell’amato fratello ed ora, tornato lui e disciolta la milizia, ti trovi a doverti reinserire in quella che dovrebbe essere la normalità dei tuoi sedici anni. Solo che questa presunta normalità può essere più spaventosa dell’assalto di famelici a cui puoi sparare, mentre qui nessuna Colt può proteggerti dalla cattiveria di battute solo fintamente ingenue e volutamente perfide, dalle umiliazioni di chi vuole vendicarsi per quello che le hai fatto senza volerlo (e tristemente crudele è Charlotte a nascondere il suo essere orfana per colpa di Jem) e dal terrore di essere isolata solo perché vuoi bene ad uno che a mensa verrebbe ghettizzato in tavoli separati dai cosiddetti normali. Come capita spesso in questa serie, i temi inventati e irrealistici (come la PDS e la Human Volunteer Force) sono solo la scusa per parlare di problemi comuni e sentimenti umanissimi. Jem non è quindi una ex miliziana che ha un fratello malato di PDS. Ma piuttosto è l’adolescente che cerca il suo posto in un mondo che non capisce. La ragazzina che ha paura dei cambiamenti inevitabili che diventare grandi comporta e si sforza di affrontarli fidandosi del primo che finge di aiutarla per poi tradirla crudelmente. La sedicenne che si sente troppo esclusa da quelli che dovrebbero essere i suoi simili e preferisce abbandonarsi ai suoi modelli comportamentali passati anche se non sono più utilizzabili. Tornare di ronda con Gary è, in fondo, la stessa cosa che continuare a giocare con le bambole perché significa abbracciare quel passato che avrebbe dovuto abbandonare e da cui non riesce a staccarsi. Pistole invece che bambole; omicidi invece che giochi. Ma comunque un mondo dove Jem sa di essere ben voluta.
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2.02 - Episode 2
Delicatesse
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