
Il Professor Cenerentolo: la recensione del film di Leonardo Pieraccioni
Leonardo Pieraccioni non ha sgarrato neanche questa volta. Da i tempi de Il Ciclone esce con un nuovo film una volta ogni due anni, sempre nel periodo delle festività natalizie. Il 2015 lo vede dirigere e interpretare un film (Il Professor Cenerentolo) che, stando a quanto dichiarato dal comico fiorentino, dovrebbe dare una svolta non tanto alla storia raccontata ma al personaggio da lui interpretato. Spinto dalla consapevolezza di non avere più un’età da giovanotto, il buon Pieraccioni ha pensato bene di costruire su di sé un personaggio “negativo”. Basta farfalloni che prendono sbandate per giovani ragazze esotiche. Basta eteri Peter-Pan che non hanno nessuna intenzione di crescere. Largo invece a uomini problematici, la cui vita ha riservato amare sorprese.
Umberto Massacciuccoli è un ingegnere che si lascia coinvolgere da due amici nel compiere una rapina in banca. Il tentativo finisce male e Umberto viene prima arrestato e poi trasferito nel carcere dell’isola di Ventotene dove conduce una vita quasi normale. Lavora alla biblioteca comunale e dirige dei cortometraggi con protagonisti gli altri carcerati. Durante la proiezione di uno di questi fa la conoscenza di Morgana (Laura Chiatti), una giovane e attraente ragazza che scambia Umberto per un operatore sociale. I due cominciano a frequentarsi e Umberto cerca ogni scusa per sgattaiolare di prigione e incontrarsi con lei. Ma a mezzanotte in punto è obbligato a tornare in cella.
Leonardo Pieraccioni c’ha provato a voltare pagina. Tornato a scrivere la sceneggiatura col fido Giovanni Veronesi (dopo la parentesi poco fortunata con Paolo Genevose in Un Fantastico Via Vai), l’autore di perle comiche come I Laureati e Il Ciclone fa cilecca mancando completamente il proprio obiettivo di dare maggior complessità e originalità alla storia narrata.
Il Professor Cenerentolo si presenterebbe come un film comico ma che raramente riesce a trovare la battuta giusta o lo sketch capace di provocare una risata. La prima ora del film va avanti a stento tra situazioni surreali (l’infatuazione tra Umberto e Morgana nasce, sboccia e “diventa seria” nel giro di neanche 10 minuti), coprotagonisti macchiette (i compagni di carcere di Umberto sono un guazzabuglio stereotipato di siculi mafiosi e brutti ceffi di nazionalità straniera) e scambi di insulti poco carini tra il Professor Cenerentolo (anche se non lo vediamo mai dare ripetizioni alla figlia del direttore del carcere dal dover giustificare l’appellativo di professore) e il nano che gestisce la biblioteca comunale che sente dentro di sé James Bond (???).
Solo verso la parte finale il film ha un sussulto di vera comicità con l’entrata in scena di Massimo Ceccherini e una sua ex fiamma romena che qualche risata di gusto la strappano con facilità. Ma non sono neanche 10 minuti in un’ora e mezza di un film che di risate ne provoca poche. Male per un film che ha questo come scopo principale.
Sebbene il sottoscritto apprezzi l’umiltà di Pieraccioni nel dire che “questo so fare, altro no”, dall’altra parte bisogna anche fargli notare che i tempi dei suoi primi tre film (per me i più divertenti, poi il vuoto assoluto) sono altro che passati, e non basta strizzare l’occhio alla contemporaneità inserendo nei dialoghi del film riferimenti a Peppa Pig o introducendo un drone come segno di essere al passo con i tempi. No, Leonardo. Ci vuole ben altro per convincere il pubblico e centrare la mission del film (far ridere). Perché quel sottile cinismo e quella velata cattiveria tipica delle commedie di Monicelli che contraddistingueva i tuoi primi tre film l’hai irrimediabilmente persa, e in quasi vent’anni dal tuo ultimo lavoro convincente (Fuochi d’Artificio è del 1997) non è più pervenuta in nessuna delle tue pellicole.