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Il Ponte delle Spie: la recensione del nuovo film di Spielberg e Tom Hanks

Titolo: Il ponte delle spie – (originale: Bridge of Spies)
BridgeOfSpies01Anno:2015 – Durata: 141 minuti
Regia: Steven Spielberg
Sceneggiatura: Matt Charman, Joel e Ethan Coen
Cast principale: Tom Hanks (James Donovan) Mark Rylance (Rudolf Abel)

Il ponte delle spie è un film ben fatto, con un gran attore come Tom Hanks e che cerca di barcamenarsi tra due assoluti: da una parte un cinema che sai utile a dare un messaggio, prendendo uno spunto che come metafora possa servire per far pensare senza nominarli temi attuali, mentre dall’altra sente l’esigenza di costruire un thriller che sia orientato al tema spionistico con un buon ritmo. Riesce abbastanza bene in entrambe le cose, ma purtroppo le tiene nettamente separate, un tempo a testa, giusto per soddisfare ogni parte del pubblico, un primo spettatore che ama lo spunto di discussione e preferirà il primo tempo, e un secondo che invece ama una maggiore tensione e apprezzerà maggiormente il secondo.

Visto che Spielberg e gli autori (c’è un grosso contributo dei Coen al lavoro e si sente) si buttano in metafore, possiamo molto modestamente farlo anche noi, e possiamo dire che il film è un po’ come era la Berlino di fine anni cinquanta, inizio 60: divisa, nettamente da un muro, con la parte Ovest controllata dagli americani e quella Est dai sovietci, completamente distinte, entrambe funzionali per il loro scopo, ma con poco altro in comune, se non un confine che serpeggia per tutta la sua lunghezza; se per Berlino questo è il Muro, per il film è chiaramente Tom Hanks che ci regala una performance elegante e convincente, mai sopra le righe, che quasi diventa un one man show, perché, sì ci sono altri attori, ma la sua presenza quasi assoluta in scena oscura praticamente l’intero resto del cast, con l’unico a salvarsi in un algido Mark Rylance, molto bravo e molto convincente nel suo ruolo triste e drammatico.

ponte delle spie 2Come si diceva il primo tempo è lo spezzone dedicato alla parte maggiormente metaforica: una spia sovietica, in un momento in cui la guerra fredda creava enormi timori nella popolazione e poche speranze in un futuro roseo, non può che essere vista come il male assoluto. In tali frangenti fino a che punti si è disposti a sacrificare le stesse basi di una società libera, di una società di diritto, per sentirci più sicuri? Il fatto che questo “grande nemico” venga da un Paese straniero, quanto ce lo descrive come mostro non definibile nemmeno come umano e quindi non degno degli stessi diritti che riconosciamo invece ad ogni essere umano? Una riflessione del genere risulta, ovviamente, una delle cose più attuali possibili e il modo in cui viene mostrata è intelligente e mai troppo esplicito, la recitazione compunta e i ritmi blandi e esasperati. Ed è proprio qui che, per il secondo spettatore, casca l’asino: questo primo tempo può risultare a tratti trascinato e poco incisivo, con dialoghi fatti più di silenzi che di parole.

E poi cambia la musica: nel secondo tempo ci si sposta in Germania e la storia verte più sulla spy story, sugli intrighi e sulla tensione e il ritmo scorre veloce, come il minutaggio, con la sempre ottima presenza scenica di Hanks e la fotografia fredda di una Berlino in crisi, che rappresenta un mondo in crisi. ponte delle spie 1Un evolversi degli eventi cadenzato che porta al finale ben costruito e coerente con la narrazione e con le verità storiche. In questo secondo tempo il secondo spettatore si sente più appagato, mentre il primo vede la storia divenire molto più semplicistica e “già vista”, pur al netto della bella interpretazione, con delle forzature buttate là a fare scena, come un Muro di Berlino tirato su in una mattina sotto la neve (in realtà inizialmente fu filo spinato in una calda giornata estiva, seguito da primi pezzi di muro qualche giorno dopo) che viene affiancato immediatamente dalla cosiddetta “striscia della morte” che inrealtà arriverà solo anni dopo, in una Berlino Est dominata dalle bande (what?) con tedeschi e sovietici che cercano di fare entrambe un loro gioco (ma anche no, sinceramente) e che portano ad un finale tuttosommato buonista.

Insomma, due città, due spettatori, due film, nessuna delle due parti si mischia con l’altra e ognuna ha le proprie ragioni, entrambe assolutamente giustificabili ai propri occhi. Un piccolo Muro di Berlino a separare in due questo film, che comunque rimane uno dei film più gradevoli in un annata che (quantomeno a livello di distribuzione italiana) è stata decisamente un annata scarsa a livello qualitativo.

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