
Il Padre d’Italia: Recensione del nuovo film di Fabio Mollo
Titolo: Il Padre d’Italia
Genere: Drammatico
Anno: 2017
Durata: 93′
Sceneggiatura: Fabio Mollo, Josella Porto
Regia: Fabio Mollo
Cast: Isabella Ragonese, Luca Marinelli, Federica de Cola, Anna Ferruzzo, Miriam Karlkvist
Quando capita qualcosa, si riesce a capire subito se è una cosa bella o brutta? Il viaggio de Il Padre d’Italia parte da qui, da un interrogativo quasi lapalissiano. Eppure poche volte siamo disposti a lasciare che le cose che ci accadono non vengano subito da noi etichettate in modo o nell’altro. Sarà la fretta che ci consuma in una società in cui ci è esplicitamente chiesto di correre, correre, correre. Oppure è la paura – come l’audacia del resto – che ci intrappola, che non ci permette di ritornare sulle cose, di rifletterci su, di digerirle.
Ne Il Padre d’Italia questi due umani sentimenti si incontrano e dialogano tra loro. Hanno il volto di Paolo e Mia, entrambi dropout per natura e volontà. Paolo è un timido ragazzo di 30 anni. Vive a Torino, lavora in un megastore di arredamento tipo Ikea e conduce una vita solitaria. La sua storia d’amore più importante si è da poco conclusa, lasciandolo con l’amara consapevolezza di aver rifiutato quella grande possibilità di essere felice. Perché Paolo crede di non meritarla, non crede che lui e Mario possano davvero diventare una famiglia.
Mia ha la stessa età di Paolo, i capelli rosa e un bomber argentato con una Madonna sulla schiena. E’ al sesto mese di gravidanza, fa la cantante e non ha una casa. E’ il contrario di Paolo: una forza della natura che non si lascia piegare dalle circostanze e va, incoscientemente, avanti su una strada non definita.
I due ragazzi si incontrano per caso nel buio di un locale gay: imbottita di sostanze stupefacenti, Mia si lascia cadere tra le braccia di Paolo, braccia che da quel momento si prenderanno cura di lei e della sua bambina.
Perché Paolo decida di aiutare una donna sconosciuta non ha apparentemente alcun logico motivo, vista la sua indole estremamente riservata e vista – soprattutto – la riluttanza di Mia a raccontare la verità. Ma non è la logica a guidare questo loro viaggio che, di tappa in tappa, si allontana dal punto iniziale, da Torino, per portarli verso un altro pezzo di Italia. Asti, Roma, Napoli e infine Bagnara Calabra: gli scenari cambiano e con loro i protagonisti, che prima lentamente poi con sempre maggiore impeto si dirigono verso se stessi e verso quel desiderio, grevemente leggero, di vita. L’ultima tappa del viaggio è il Sud, luminoso e diffidente, fatto di case finite solo all’interno, di spiagge e acque chiare, di sguardi indagatori, di cieli infiniti. Quel Sud in cui non c’è niente.
Il Padre d’Italia è un road movie lento e pacato, in cui il cammino si fa con le parole. Un viaggio spirituale e immateriale, eppure tremendamente carnale e tangibile. Perché al centro de Il Padre d’Italia c’è quel futuro che Paolo non riesce a vedere, che incontra il futuro che Mia porta dentro di sé. Cosa significa essere genitori? Si può essere genitori in un momento storico in cui si fa fatica anche a badare a se stessi? Si può essere genitori in uno paese in cui l’istinto materno e paterno sono riconosciuti ad alcuni e negati ad altri?
Con estrema delicatezza e ben lontana da proclami politici, la pellicola di Fabio Mollo affronta un tema che da sempre rappresenta per l’essere umano quello spartiacque tra l’adolescenza – che con l’avanzare del tempo si fa sempre più lunga – e l’età adulta. Diventare genitori significa farsi carico di un’altra persona, essere responsabili di un’altra vita: siamo in grado di sapere a priori chi sarà un buon genitore e chi no? Può il sesso o l’orientamento sessuale essere un valido indicatore di cosa sia giusto e cosa sia invece contro natura?
Luca Marinelli e Isabella Ragonese si caricano sulle spalle tutto il peso del film, regalando al pubblico una dolcissima e schietta interpretazione di una coppia il cui collante va aldilà della definizione stessa che la società dà di unione. Il loro è sentimento puro e impalpabile. L’uno si specchia e si cerca nell’altra. La loro è una corsa che non avrebbero potuto fare da soli o con altri. E’ una lunga e rivelatrice giornata particolare.
Il Padre d’Italia è un racconto intimo e quieto sulla difficoltà di farsi, sull’umana paura di non comprendere cosa e se ci sarà un futuro per noi, futuro di cui noi temiamo – a ragion veduta o meno – di non essere pienamente responsabili. L’amara – eppure vitale – incertezza dettata dalla imprevedibilità di una vita alla cui chiamata non riusciamo sempre a rispondere. Quella stessa vita fatta di tutte quelle cose che non sappiamo mai, veramente, se sono cose belle o cose brutte.
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