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Il Buco – la metafora di una società al collasso. Recensione film Netflix

Titolo: Il Buco (originale: El Hoyo)

Anno: 2019

Genere: Horror, thriller psicologico

Durata: 1h e 34min

Regia: Galder Gaztelu-Urrutia

Sceneggiatura: David Desola, Pedro Rivero

Cast: Iván Massagué, Zorion Eguileor, Antonia San Juan, Emilio Buale Coka, Alexandra Masangkay

Quante volte alla settimana scegliamo di mangiare al ristorante o semplicemente fuori? Certo, il COVID-19 limita le possibilità di scelta a zero ma in condizioni normali? Due, tre? Sommiamoci pure gli aperitivi ed i pranzi, il risultato? Consumiamo molto più di ciò di cui avremmo davvero bisogno, spesso non limitandoci e lasciando da parte ciò che non ci va o che è di troppo.

Un paragone che applico al cibo unicamente per esplicare al meglio il concetto alla base del film Netflix di Galder Gaztelu-Urrutia Il Buco (El Hoyo titolo originale), ma che potrei applicare a qualsiasi sfera del vivere quotidiano. La ricchezza, intesa come condizione di superiorità economica, è un fattore che influisce non soltanto sulla vita di chi la detiene ma principalmente su coloro che non ne hanno neppure una fetta. Nel paradosso, maggiore è la ricchezza degli uni e maggiore è per estensione la povertà di altri. La soluzione? Ottima domanda.

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Credits: Netflix

La priorità del proprio benestare, a discapito di quello altrui

Nella pellicola rilasciata sulla piattaforma streaming il 20 marzo, Galder Gaztelu-Urrutia – che con il film Netflix Il Buco debutta dietro la macchina da presa – immagina un sistema metà inferno e metà esperimento sociale. Un pozzo a livelli, ciascuno ospitante due “prigionieri”, che va dal livello uno fino ad un numero indefinito di unità. Ogni giorno una piattaforma (da qui il nome britannico della pellicola, The Platform) ricca di prelibatezze viene calata in questo pozzo. Gli occupanti dei piani alti mangiano ciò che desiderano, senza preoccuparsi di cosa resterà per gli altri – e, non dimentichiamolo, non sappiamo neppure quanti siano “gli altri”, ignorando il numero esatto di livelli.

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Questo sistema viene presentato, tra un “ovvio” e un coltello dalla lama sempre affilata, al protagonista, Goreng (Iván Massagué), che si ritrova nel pozzo ad un livello intermedio, a detta del suo compagno. Un livello in cui il cibo, seppur non abbondante, arriva ancora. Fin da subito appare curiosa l’interazione tra gli occupanti dei diversi livelli – quelli di sotto sono feccia, sono nulla; quelli di sopra sono divinità. Ci si dimentica che il mese successivo sarà la sorte a decidere a quale livello capitare, se uno più alto o uno inferiore. Ci si dimentica che la fortuna o la sfortuna degli altri avrebbe potuto essere, o è già stata, la nostra.

Il pozzo assume ben presto la struttura metaforica di una società che ci è fin troppo familiare. Una società egoista, in cui il cambiamento, se presente, è minimo e limitato e in cui il proprio benestare e la propria condizione vengono valutati unicamente rispetto al qui ed ora e all’egoistico “io” che ignora volutamente gli altri. Una volontà che, anche chiudendo gli occhi ed ignorando ciò che vuol realmente dire, si traduce in morte, diretta o indiretta, di altre persone. Persone come noi.

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Credits: Netflix

Sfumature “Bongiane” per la pellicola spagnola

Il primo impatto con questo horror a basso budget è sicuramente la crudezza, la realtà. Non c’è una sceneggiatura micidiale, non c’è una scenografia da colossal holliwoodiano. Più che horror si potrebbe infatti facilmente collocare questo film nella categoria thriller psicologico. Sono infatti le condizioni brutali di un’esistenza fatta di ritmi, rintocchi mortali e spiegazioni assenti, che opprimono tanto i protagonisti quanto gli spettatori.

I personaggi che si muovo intorno a Goreng – Trimagasi (Zorion Eguileor), Imoguiri (Antonia San Juan), Baharat (Emilio Buale Coka) – sono tutti in qualche modo strascichi di una parte di coscienza, a tratti brutalmente egoista e a tratti allucinata dalle circostanze. Ognuno di loro fornisce a noi e Goreng stesso una nuova scala di misura con cui pesare ciò che sta accadendo. L’esperienza è brutale e asettica, come per Trimagasi, ormai veterano di una sopravvivenza cinica e rassegnata. La speranza è un po’ ingenua e impreparata, come il piano illusorio di Imoguiri di infondere un briciolo di razionalità nelle persone “sotto” di lei. La pazzia sensazionale e, forse, perfino “sensata” di Baharat e della sua allucinata visione del mondo che, proprio perché così scostante dalle fazioni precedenti, risulta forse l’unica nota di reale cambiamento nell’altrimenti piatto status quo delle cose.

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Credits: Netflix

La fine del viaggio… eh, magari!

Non mi dilungherò nel spiegare cosa rappresenta il finale del film Netlifx Il Buco. In parte perché sarebbe ingiusto spoilerarlo e in parte perché credo che una spiegazione ne vanifichi il significato. Un po’ come per Inception, in cui il finale è a libera interpretazione, anche per questo piccolo gioiello di cinematografia iberica non si può fare a meno di lasciare lo spettatore a porsi delle domande, a ragionare. Lo scopo del film non è spiegare ciò che accade una volta che i protagonisti sono arrivati alle rispettive conclusioni. Il fine non è mostrare la conclusione del loro viaggio. La pellicola vuole far riflettere, vuole focalizzare l’attenzione dello spettatore su ciò che sta accadendo e su perché è così disturbante. Perché, forse, fin troppo vicino alla nostra stessa realtà?

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Le forse fin troppo scontate risposte alle domande che si affollano nella nostra mente davanti al finale sono due: tutto e niente. Tutto, perché se il messaggio del film ci arriva allora anche il finale per noi ha un significato. Niente, perché se non sentiamo il legame con ciò a cui abbiamo appena assistito allora anche la mancanza sostanziale di una risposta certa alle nostre domande non ci disturba come dovrebbe. In quest’ultimo caso il film non resta altro che un thriller-horror un po’ brutale e tanto lento: a basso budget, appunto.

Il disagio e la riflessione sono essi stessi la finalità del film, il messaggio di questo esorbitante paragone sociale tra ciò che ci appare al contempo vicinissimo e lontanissimo da noi stessi.

Un capolavoro che potrebbe fare (abbastanza) rumore

Arrivo infine a dire la parola che avevo sulla punta della lingua per tutto il tempo: capolavoro. Una parola che non uso alla leggera, un termine il cui abuso potrebbe vanificarne il significato, ma che qui mi sembra necessario ed essenziale. Il Buco non è soltanto un film di Netflix per riempire un buco da catalogo. È un tassello importante della filmografia di quest’anno (o anno passato, a voi la scelta). Perché se la psiche umana trova una risposta in Parasite, la psiche della società odierna trova la propria controparte in questa pellicola spagnola.

Non resta che riflettere, allora, sul cosa faremmo noi, trovandoci in una condizione come quella descritta nel film Netflix Il Buco. E poi, una volta trovata la risposta – sperando sia quella altruistica e razionale – applicarla al nostro “buco” quotidiano, che siamo al livello uno, venti o centocinquanta.

GUARDA QUI IL TRAILER DEL FILM NETFLIX!

Katia Kutsenko

Cavaliere della Corte di Netflix e Disney+, campionessa di binge-watching da weekend, è la Paladina di Telefilm Central, protettrice di Period Drama e Fantasy. Forgiata dal fuoco della MCU, sogna ancora un remake come si deve di Relic Hunter.

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