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I am Mother: una IA per mamma  – la recensione del film sci-fi di Netflix

Titolo: I am Mother

Genere: sci–fi

Anno: 2019

Durata: 1h 55m

Regia: Grant Sputore

Sceneggiatura: Michael Lloyd – Green, Grant Sputore

Cast principale: Clara Rugaard, Hilary Swank, Rose Byrne (voce)

A Netflix, alle volte, piace essere il bianchetto che cancella i nomi dalla famigerata Black List di Hollywood. Quella dei progetti cinematografici che sarebbero anche validi, ma che tardano ad essere portati a termine ed arrivare in sala. Non a causa di una bocciatura a priori, ma per i motivi più vari tra sfiducia dei produttori e impegni sovrapposti delle persone di volta in volta coinvolte. Lista che contiene nomi illustri come Argo e The Millionaire e a cui Netflix aveva già attinto di recente con Mute. E da cui attinge anche ora per produrre I am Mother.

I am Mother - recensione del film Netflix
I am Mother – recensione del film Netflix – Credits: Netflix

La mamma è sempre la mamma

Ogni accusato di mammismo cronico finisce sempre per rifugiarsi nella convinta auto difesa secondo cui la mamma è sempre la mamma. Sentenza inappellabile anche per ogni genero che provi a lamentarsi della suocera con sua moglie. Incipit tra il serio e il faceto che nasconde tuttavia una profonda verità: il legame indissolubile tra madre e figlio. Un attaccamento istintivo e perciò inimitabile e ineludibile. Che esisterebbe anche se la madre non fosse un essere umano, ma solo un robot dotato di intelligenza artificiale e sentimenti materni. Veri o finti? Domanda la cui risposta, in realtà, non importa ad una figlia che solo quella madre ha conosciuto. E che, dopotutto, non ha mai avuto ragione per dubitare della sincerità di quell’imponente figura di cavi e acciaio che le insegna tutto accontentandola come farebbe appunto una madre innamorata.

In un futuro apocalittico dove l’umanità sembra essersi estinta, il rapporto tra una madre robot e una bambina fatta nascere da uno degli embrioni congelati, che rappresentano quel che resta della specie umana, diventa l’unico seme da cui far germogliare una speranza per il futuro. Ma quel seme va coltivato, accudito, nutrito, reso forte. Perché un domani potrà esserci solo se gli umani del domani saranno in grado di non ripetere gli errori di quelli di ieri.

Il rapporto totalizzante tra Madre e Figlia (mai chiamati con altri nomi che questi come a sottolinearne la loro unicità) è il presupposto indispensabile per il successo della missione che l’IA si è data. Una missione che nasce dal rispetto assoluto per la vita. Senza tuttavia dimenticare che l’interpretazione di un simile concetto tanto astratto quanto importante è lasciato ad una IA.

E non è detto che IA ed esseri umani diano lo stesso significato alle stesse parole.

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I am Mother - recensione del film Netflix
I am Mother – recensione del film Netflix – Credits: Netflix

Un gioco a due spezzato da un terzo incomodo

Quello tra Madre e Figlia potrebbe sembrare anche un’apologia della solitudine. Ma non lo è mai semplicemente perché il funzionalismo pragmatico dell’IA riesce a creare dal nulla quell’ambiente idilliaco in cui Figlia si trova a vivere con una spontanea naturalezza. A far crollare quello che è dopotutto un castello di cristallo è l’arrivo inatteso di una Donna. Un elemento spurio che incrina ogni certezza, sia della ragazzina cresciuta nella convinzione di essere unica e sola, sia dello spettatore che fino a quel momento aveva creduto alle poche informazioni che Madre centellinava sull’esterno.

Da quel momento il film cambia registro smettendo di essere il pacato racconto di un’insolita genitorialità per diventare, invece, uno sci–fi dai toni più cupi e i ritmi più action. Una transizione inattesa che viene, tuttavia, gestita bene lasciando che la cieca fiducia di Figlia in Madre si eroda con i tempi giusti e senza forzature. Perché l’esistenza stessa di Donna è la prova delle bugie di Madre, ma all’amore di una figlia è facile far credere che quelle menzogne fossero la più efficace difesa che l’affetto materno potesse costruire per la sua sicurezza.

Pur nella sua linearità, I am Mother continua anche in questa seconda parte ad offrire una duplice lettura delle azioni di Madre. C’è un momento in cui l’IA afferma testualmente “sono mossa da parametri differenti, ma sono una buona madre”. Se fosse davvero così? In un mondo distrutto, il compito di una madre non potrebbe essere proprio quello di crearne uno migliore per la propria figlia? Assicurare un domani prospero alla propria amata richiederebbe nasconderle la verità come primo passo per far diventare realtà un sogno? Sarebbe una cattiva madre chi agisse in questo modo?

Domande scomode che il film lascia allo spettatore mostrandogli cosa c’è al di fuori della prigione di metallo e amore in cui è cresciuta Figlia.

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I am Mother - recensione del film Netflix
I am Mother – recensione del film Netflix – Credits: Netflix

Un one woman show

I am Mother non è un’orchestra dove i diversi componenti rivaleggiano in bravura per realizzare una sinfonia mirabile. Al contrario, la sua melodia è affidata quasi esclusivamente ad un solo interprete. È indubbio, infatti, che il peso del film vada a gravare sulle esili spalle della debuttante Clara Rugaard che interpreta Figlia. La ventunenne attrice danese è presente in ogni scena di un film che inevitabilmente vive del personaggio di Figlia che è sia la protagonista della storia raccontata sia il tramite attraverso cui il sottotesto delle immagini arriva allo spettatore. L’affetto prima, il dubbio poi, la paura e il coraggio infine possono essere comunicati efficacemente a chi guarda solo se ci riesce Figlia. E, in questo, Clara Rugaard è molto brava lasciando intravedere un roseo futuro per la ragazza nata nei pressi di Copenaghen.

Inevitabilmente in secondo piano finisce per trovarsi la ben più esperta Hilary Swank a cui tocca interpretare la donna senza nome che sconvolge la quiete dell’idillio Madre – Figlia facendo irrompere la verità dall’esterno. La Swank ha la fisicità giusta per apparire da subito credibile come sopravvissuta ad una minaccia inizialmente indefinita. Al tempo stesso, la sua espressività nervosa comunica bene il timore costante e il coraggio indomito di chi ha visto troppe volte il pericolo, ma non per questo si tira indietro quando può evitare che altri debbano affrontarlo. Bene anche Rose Byrne che compare solo come voce di Madre. Il suo tono calmo e sempre rilassato, ma al tempo stesso convinto e orgoglioso costruiscono il personaggio di Madre infondendole quella sicurezza che ci si aspetta da una IA che si ritiene infallibile per definizione.

I am Mother è lungi dall’essere un film perfetto peccando di una lunghezza eccessiva che porta ad una ridondanza di situazioni che ripetono più volte lo stesso concetto. Rinchiudere buona parte dell’azione tra le mura del rifugio permette al film di non far esplodere il budget, ma nondimeno si nota una tendenza al risparmio che tuttavia non pesa troppo.

Complessivamente, I am Mother ha una morale assolutoria. Anche se robot, la mamma è sempre la mamma. A modo suo.

Winny Enodrac

In principio, quando ero bambino, volevo fare lo scienziato (pazzo) e oggi quello faccio di mestiere (senza il pazzo, spero); poi ho scoperto che parlare delle tonnellate di film e serie tv che vedevo solo con gli amici significava ossessionarli; e quindi eccomi a scrivere recensioni per ossessionare anche gli altri che non conosco

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