
Humans: quando i Synth sono un altro modo di essere migranti – Recensione della Terza Stagione
È di questi giorni la lodevole iniziativa delle magliette rosse per invitare ad aprire i porti alle navi delle ong che soccorrono i migranti in mare. Ed è solo pochi giorni fa che è andato in onda il season finale della terza stagione di Humans. Due argomenti completamente scorrelati nella stessa frase? Apparentemente si perché quello dei disperati che fuggono da miseria e guerre è un problema enormemente più drammatico di una serie tv. Sicuramente no perché non può essere casuale che la storia di questo terzo capitolo della serie di Channel 4 abbia raccontato proprio il problema dell’integrazione tra due mondi diversi.

Humans terza stagione: Noi e loro
Già la premiere aveva tracciato la via su cui si sarebbe mossa la terza stagione di Humans. Un episodio che aveva mostrato quanto, ad un anno da quel Day Zero in cui tutti i Synth avevano acquisito coscienza divenendo più che semplici macchine obbedienti, la paura del diverso si fosse diffusa in una società che faticava ad accettare con fiducia il nuovo status quo. L’intera stagione è diventata poi una sorta di saggio per immagini dei frutti diversi che dai semi della paura e della diffidenza inevitabilmente germogliano.
Frutti che possono essere intrisi di odio immotivato come quello dei gruppi integralisti che vedono nei Synth solo il nuovo nemico da cui difendersi attaccando a prescindere da ogni chi, come e perché. O che possono essere insapori e anacronistici come quelli della comunità in cui inizialmente si ritira Joe dove i Synth, che abbiano gli occhi verdi o arancioni, sono esclusi nell’illusoria convinzione che basti chiudere il presente fuori dalla porta per preservare un passato già sparito. O bagnati dalla diffidenza opportunistica di autorità a cui non interessa cosa è vero e cosa è falso, cosa è giusto e cosa non lo è perché quel che conta è soltanto guadagnarsi il consenso delle masse indirizzandolo anche con bugie infondate e fake news se necessario. O marci come la reazione violenta dei Synth guidati da Anatole che creano una propria religione che li pone al vertice della società perché non è facile reagire all’odio con l’amore e la pace e dalla violenza non può che nascere altra violenza uguale e opposta.
Eppure Humans viene a dirci che un’altra via c’è sempre. Che la speranza non deve morire. Che chi oggi odia un giorno potrà capire se ci sarà qualcuno a spiegargli dove ha sbagliato. Con la calma pazienza di un Maxie che predica la fiducia nell’attesa. Con la testardaggine di una Laura che prova ad essere l’unica voce fuori dal coro perché quel messaggio di pace deve essere annunciato anche se nessuno sembra crederci. Con la struggente dedizione di una Mia che rinuncia anche ad un possibile sogno personale pur di piantare il fiore della speranza.
Si scrive Synth, ma come si fa a non leggere migranti?


Imparare ad accettare
Se la storyline portante di questa stagione ha un tono sinistramente pessimista pur se con un finale dolce – amaro, sono i percorsi personali dei protagonisti di Humans ad accendere fiammelle di un insperato ottimismo. Come a dimostrare che, anche se il mondo intorno sembra andare nella direzione sbagliata, ognuno può trovare la strada giusta anche da solo.
Magari sbagliando all’inizio come capita a Joe che non era riuscito a ricostruire il rapporto con Laura soprattutto per la sua difficoltà ad accettare un mondo dove i Synth non sono più quelle macchine utili ma innocue a cui era abituato. Aver assistito in prima persona all’alba di un nuovo mondo aveva generato in lui un rigetto imprevisto che lo aveva portato ad isolarsi nella cittadina senza Synth. Ma l’aver ritrovato Karen e soprattutto l’aver conosciuto Sam gli ha fatto capire che i sentimenti restano sentimenti indipendentemente da chi sia a provarli. Una madre si sacrificherà sempre per i propri figli come gli mostra Karen andando anche oltre le sue stesse direttive primarie. E un bambino sarà sempre bisognoso di aiuto e affetto che sia fatto di carne e ossa come Sophie o di metallo e cavi come Sam.
Humans rafforza questo concetto mostrando quanto sia difficile comprenderlo e quanto arduo sia metterlo in pratica. È questo il senso della scelta inattesa di Laura che ha sempre combattuto per i Synth, ma al momento di dover scegliere chi salvare sceglie un innocente vecchio sconosciuto piuttosto che l’incolpevole Sam, solo perché il primo è umano e il secondo no. Scelta da cui si redimerà presto, ma che è messa lì per lasciar intendere che spesso credere nel giusto non significa automaticamente essere pronti a tutto per seguire le proprie idee. Ma anche il contrario è possibile quando si riesce ad agire contro i propri principi perché si capisce quanto fossero errati come capita a Stanley prima e a Neill poi.
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L’alba di un domani
Fedeli all’approccio già adottato nelle due stagioni precedenti, gli autori di Humans affiancano ai temi portanti della stagione anche storyline accessorie che sembrano procedere in maniera slegata dalla principale, ma che in realtà servono ad indirizzare la serie sulla via che probabilmente percorrerà nella stagione successiva. E ancora una volta questo compito viene affidato a Niska, da un lato, e a Leo e Mattie, dall’altro.
La bionda ribelle è quella che subisce l’evoluzione maggiore. Se, infatti Mia e Maxie sono dopotutto coerenti con il loro carattere da tempo delineato, è Niska a cambiare radicalmente il suo modo di approcciarsi al resto del mondo che la circonda. La ricerca del Synth che dorme, rivelatosi essere l’intelligenza artificiale V installatasi nel corpo di Odi, diventa una sorta di lungo cammino di maturazione che trasforma la Niska, sempre in lotta col resto del mondo per la difesa ad ogni costo dei suoi simili, in colei che guiderà le due specie diverse verso una nuova alba dove ciò che è due diverrà uno.
E quell’uno è il bambino che Mattie porta in grembo dopo la ship finalmente giunta in porto con Leo. Con una scelta piuttosto ardita, Humans decide di fare il salto di specie immaginando una fusione tra due specie diverse che porti ad un ibrido uomo – Synth le cui caratteristiche è difficile prevedere. Senza lanciarsi in ipotesi qualunque, è più interessante invece sottolineare come questa conclusione sia l’assoluzione di cui sia Mattie che Leo avevano bisogno. Entrambi responsabili involontari del caos in cui hanno gettato il mondo creando il Day Zero; entrambi alla ricerca di un perdono di cui hanno bisogno per assolversi da crimini di cui nessuno li incolpa se non loro stessi. Una nuova vita di una nuova specie come gesto d’amore a cancellare tutto l’odio e il dolore che ci sono stati.
Humans si conferma una serie intelligente e profonda che sa spogliare la fantascienza di ogni eccesso spettacolare per esaltarne la natura più intima: non un mezzo per perdersi in sogni luccicanti, ma un modo di domandarsi cosa sarebbe se. E quel se stavolta è più vicino di quanto pensiamo. A distanza di una maglietta rossa.
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