
Humans: Recensione dell’episodio 1.08 – Episode 8
Umanità: l’insieme dei caratteri essenziali e distintivi della specie umana.
Definizione impeccabile come solo quella di un dizionario sa essere. Definizione incompleta come solo quella di un concetto tanto profondo può essere. Perché quali sono questi “caratteri essenziali” a cui si fa riferimento ? E cosa di tanto unico avrebbero da meritarsi l’oneroso titolo di “distintivi della specie umana”? E se invece il loro essere “essenziali” potesse trasferirsi ad un qualcosa che biologicamente umano non è, crollerebbe quella seconda parte della frase che li elegge a “distintivi” della nostra specie? O si dovrebbe chiamare “umana” anche la specie a cui sono stati associati? Domande difficili che hanno rappresentato il fulcro di quell’insolita serie fantascientifica che è stato “Humans”, giunto al season – finale forte della lieta novella di un attesissimo rinnovo annunciato proprio il giorno prima della messa in onda e guadagnato nel rassicurante suono degli applausi di pubblico e critica.
Un successo in parte insperato e imprevedibile. Perché “Humans” è stato qualcosa di diverso da quello che l’idea iniziale poteva diventare. Non è la prima volta che il tema dell’intelligenza artificiale offre le fondamenta per una serie tv o un film né spicca per originalità l’idea della caccia spietata dello scienziato ambiguo nei confronti di robot innocenti. Inoltre, a voler giocare l’antipatica parte dell’avvocato del diavolo, non si può non notare una certa lentezza e una preoccupante assenza di interazione tra i personaggi principali che per molto tempo hanno quasi vagato senza una direzione precisa.
Né ha aiutato l’esilità di una trama che ha trascinato i protagonisti verso situazioni a volte piuttosto prevedibili o soluzioni troppo veloci. Difetti che si sono visti anche in questo season – finale dove il piano di Laura per liberare Leo e i suoi riesce con troppa facilità ed anche il salto di Karen/Beatrice verso la parte giusta della barricata sembra troppo repentino dopo aver speso tanto tempo a motivare la sua scelta di campo precedente. Eppure, “Humans” ha saputo meritarsi tutte le lodi ricevute perché ha usato la cornice fantascientifica per parlare di un argomento tanto filosofico come quello di “umanità” declinandolo in un sentimento comune quale può esserlo il vero motivo trainante di tutti i protagonisti: la famiglia. Perché, alla fine, “Humans” questo è stato: la storia di due famiglie.
“Humans” è stato, quindi, la storia degli Hawkins e degli Elster. Soprattutto di Laura che, dopo aver ricucito il tessuto lacerato del rapporto con Mattie grazie alla dolorosa rivelazione su Tom, trova finalmente il coraggio necessario a seguire il suggerimento quanto mai opportuno di Mia e racconta la verità a lungo taciuta sul fratello morto ad uno Joe sempre più consapevole dei propri errori e deciso a riscattarsi. La commozione sincera di Joe, le lacrime commosse di Laura, l’ingenua semplicità di Sophie che finge di essere Anita, la ritrovata voglia di scherzare di Toby, la complicità divertita di Mattie disegnano una scena finale idilliaca che racconta in maniera forse didascalica ma nondimeno efficace la ritrovata serenità degli Hawkins che hanno avuto bisogno di riscoprire il senso di essere famiglia lottando insieme per qualcosa di incredibile. L’abbraccio finale tra Mia e Sophie è spontaneo e forse anche banale, ma è anche e soprattutto un riconoscere che è stato l’esempio illuminante degli Elster a frenare la deriva degli Hawkins ed è questo che si legge negli sguardi di approvazione di Laura e Joe (specie se confrontati con quelli con cui inizialmente i due genitori timorosamente assistevano a questi gesti d’affetto della piccola di casa).
Memore del precetto del Talmud secondo cui “chi salva una vita salva il mondo intero”, Leo ha lottato per ritrovare il codice sorgente non per l’ambizioso progetto di una nuova specie (come invece anela Niska), ma per il più umano dei sentimenti: l’affetto per il proprio inseparabile fratello. Ora che la battaglia vinta ha dimostrato che gli Elster sono uniti come solo una vera famiglia sa essere, Leo e Mia possono anche permettere che ognuno cerchi la sua via autonoma perché non serve una vicinanza fisica per restare insieme. Ed anche Karen (perché questo è il suo nome e non quello che le ha imposto il dr Elster) è ormai parte di questa famiglia perché ha capito (complice la fiducia di Leo) che anche lei è umana come e più della folla che inneggia “we are people” senza sapere che essere gente non significa essere umani.
Come scriveva Lattanzio (scrittore cristiano vissuto tra il 250 e il 317), “in che cosa consiste questo mantenere il senso di umanità, se non nell’amare il nostro simile?”. E poco importa allora che il “nostro simile” sia fatto di carne e ossa o di chip e pelle sintetica. Quel che conta è il sentimento che ti lega all’altro che si tratti pure di un improbabile detective iroso purché sincero.
“Humans” chiude la sua prima stagione senza fuochi d’artificio o pirotecniche scene di azione, senza sorprendenti colpi di scena o roboanti regolamenti di conti. Ma semplicemente e giustamente con una sola difficile parola: umanità.