
Hostages: recensione dell’episodio 1.01 – Pilot
Avete presente i telefilm inutili? Quelli in cui l’originalità manco a pagarla, i dialoghi sono di polistirolo e gli attori in vacanza? Hostages fa decisamente parte di quella categoria.
Ho iniziato a guardare questo pilot senza avere la più pallida idea di cosa aspettarmi… a parte è ovvio… ostaggi. Durante la visione mi sono poi sonnacchiosamente domandata come avrebbero potuto tirare avanti per un’intera serie una premessa simile e poi proprio nel finale, quando il cammino della serie è diventato evidente, mi sono accorta che non me ne sarebbe fregato proprio nulla.
Per carità, i compiti sono stati fatti diligentemente. Ogni elemento è stato posizionato sulla scacchiera, ad ogni personaggio è stato fornito un background più o meno scontato che fornirà pozzi di possibilità narrative negli episodi futuri ma il tutto sa di premasticato e lo svolgimento è così schematico da mancare di ogni entusiasmo
La trama in poche parole è questa: il presidente degli Stati Uniti deve sottoporsi ad un’operazione di routine. La famiglia della chirurga che deve operarlo viene presa in ostaggio per costringere la donna ad uccidere il presidente durate l’operazione. Tutto qui? Sì, tutto qui.
A capo della banda di sequestratori c’è Dylan Mcdermott che molti conosceranno per American Horror Story ma che per me sarà sempre e comunque Bobby di The Practice. Il suo personaggio fa parecchio sorridere. Prima di tutto perché è dotato di 2 espressioni: faccia truce e faccia sorridente. E siccome in questo telefilm Duncan ha poco di cui sorridere, è totalmente monoespressivo. E poi perché la sua presentazione è semplicemente spettacolare: è un Jack Bauer dei poveri. Fa crivellare e crivella sequestratori senza un pensiero al mondo (in una scena che non ha ragione di esistere) ed è così badass che per qualche secondo mi fa sperare che Hostages sia almeno una vera serie tamarra e che sullo sfondo gli edifici esploderanno in mille pezzi a rallentatore giusto perché è tutto quello
Una manciata di scene salienti sono sufficienti per presentarci la famiglia Sanders, di cui Toni Colette (l’unica che recita davvero) è la solita matriarca col cuore grande e poco tempo libero. La figlia Morgan incontra di nascosto ragazzi apparentemente non adatti a lei ed è ovviamente incinta (se ha 17 anni sono tanti) e il figlio Jake è un giovane e promettente spacciatore (se ha 15 anni sono tanti). I tipici adolescenti che hanno il singolo compito di rompere le palle in modo idiota. E per completare il tutto c’è un marito inetto e pure cornificatore interpretato da Tate Donovan, esportato da OC con tutti i confort e gli accessori intatti. Tutti gli elementi sono ben disposti e promettono di essere noiosamente sviscerati in futuro ma non c’è un grammo di originalità e quel che è peggio è che lo svolgimento di dialoghi e scene ha fin troppo bene mostrato quale landa desolata ci aspetta negli episodi futuri.
La scena del cane drogato, solo drogato, non ucciso perché i rapitori sono buoni dentro e quella del test di gravidanza (davvero?! Sei sequestrata e ti chiudi in bagno a rifare il test di gravidanza!?) sono i primi spassosi esempi che mi vengono in mente. Che mi fanno prevedere che i sequestratori si ritroveranno presto a fare terapia famigliare con i Sanders mentre giocano a carte con i mitragliatori poggiati al tavolo della cucina.
Il fatto che il capo della cospirazione sia proprio il braccio destro del presidente non capisco se corrisponda a semplice pigrizia di sceneggiatura o sia un chiaro messaggio che il piano criminale è totalmente irrile
Non c’è una scena di vera tensione… a parte forse quella del pelato travestito da guardia di vigilanza che funziona solo perché il pelato è davvero inquietante. I sequestratori non fanno davvero paura ed è palese che alla famiglia Donovan non succederà mai nulla di serio. Il twist finale sorprende ma è praticamente obbligato. Lo salvo solo perché lo sguardo di sfida attraverso il televisore tra Ellen e Duncan è così epico da farmi quasi esultare.
Alcuni saranno felici perché non è un procedurale, ma questo ci pone davanti a sconfinati abissi di banalità in cui la serie sarà costretta a tuffarsi pur di restare in piedi per un’intera stagione. Siccome è caratterizzata da quella paludosa banalità che ha tenuto a galla ben altre boiate (The Following e Under the Dome) non ho dubbi che la serie si guadagnerà per lo meno un’intera stagione. Per quel che mi riguarda l’esilarante inespressività di Mcdermott non è motivo sufficiente per spingermi a proseguire; se voi volete farlo per giocare ad indovinare cosa succederà in ogni episodio (troppo facile!) vi faccio i miei migliori auguri.
1.01 – Pilot
Boiatella
Valutazione globale