
Homeland: Recensione dell’episodio 5.06 – Parabiosis
È proprio vero: non si finisce mai di imparare. A volte basta persino la sola curiosità inevitabile di sapere il significato del titolo dell’ultimo episodio di una serie tv a caso. Una ricerca sull’enciclopedia Treccani online è stata necessaria per scoprire che parabiosi (traduzione italiana del titolo di questo episodio di Homeland) indica la “vita di due organismi interi artificialmente uniti”. Pratica che sa molto più di fantasie horror alla Dr. Moreau visto che consiste nella “cucitura dei margini di una lunga ferita della pelle ai lati corrispondenti dei due individui a cui si può far precedere la cucitura delle pareti addominali aperte lateralmente”. Quale sia l’utilità di questi macabri esperimenti (eseguiti principalmente sui topi albini che riescono a sopravvivere a lungo in queste innaturali condizioni) non è molto chiaro a chi scrive (anche se si parla di studi sulla ricettività all’innesto di tumori), ma il perché questa insolita condizione sia stata usata come titolo dell’episodio settimanale di Homeland è forse non troppo difficile da intuire.
Due organismi diversi artificialmente uniti che si trovano a vivere giocoforza insieme. Come Carrie e Saul. Una Carrie che, per quasi tutta la durata di questo episodio, vediamo crollare di fronte all’incapacità di essere la vincente che è sempre stata. Perché Carrie sarà anche stata vittima di intrighi inestricabili e complotti inimmaginabili che l’hanno vista spesso avvicinarsi pericolosamente ad un definitivo punto di non ritorno. Ma è sempre riuscita a fare quel passo indietro al momento giusto che le ha impedito di cadere nel baratro della sconfitta. A trovare la chiave giusta per aprire una salvifica porta verso una insperata vittoria. A rialzarsi orgogliosamente anche quando i colpi ricevuti (la morte di Brody per dirne una su tutte) sembravano troppo pesanti. Ma tutto questo era stato possibile solo perché ad affrontare queste tempeste perfette Carrie non era mai stata davvero sola potendo contare sempre sul suo paterno mentore. Su Saul. Su quello stesso Saul che, in un cupissimo dialogo, manda le sue certezze a frantumarsi contro quel muro impenetrabile che ha eretto tra loro due dopo l’abbandono imprevisto di Carrie. Tradita da un ostile Saul. Lasciata sola da un Quinn morente disposto al sacrificio estremo per lei. Abbandonata da un Jonas che non può capirla perché troppo immerso in quella che è una normalità dove le storie di spie sono solo argomento di romanzi e serie tv e non concrete realtà con cui fare i conti. Carrie è costretta a fare quello che mai avrebbe immaginato essere possibile (e con lei neanche noi): arrendersi. Sparire rinunciando a capire chi e perché l’ha coinvolta nell’ennesima sfida mortale. Dileguarsi cancellando ogni traccia della sua presenza perché solo questo può mettere al sicuro le poche persone a cui ancora tiene. Comprendere che anche chi sta lasciandola è innocente perché aveva ogni diritto a quella serenità che lei e solo lei ha strappato (e per questo sente di dover offrire comunque un ultimo muto saluto all’ignaro Jonas). Carrie ha perso perché, per la prima volta, è rimasta sola. E da questa solitudine si salva infine proprio grazie alla parabiosi del titolo.
Una parabiosi che ha come coprotagonista ancora una volta Saul. Due organismi artificialmente uniti che possono vivere solo insieme, scrivevamo poco sopra. E così, se Carrie può sperare di vincere solo quando è con Saul, lo stesso avviene a parti invertite. Ed, infatti, la pluridecennale esperienza operativa e l’intelligenza tattica non sono sufficienti per salvare Saul dalla astuta trappola in cui lo ha fatto cadere una indecifrabile Allison (le cui motivazioni per allearsi con i russi sono ancora ignote). Si potrebbe, forse, obiettare che troppo facilmente la rossa direttrice dell’agenzia berlinese della CIA riesca ad ordire un tanto ingegnoso piano guadagnandosi l’incondizionata fiducia di un Dar Adal che pure ha lavorato con Saul tanto da dover dare maggiore credito alle sue giustificazioni (sempre che non si voglia davvero pensare che un errore compiuto agli inizi della carriera pesi ancora tanto). Ed anche ci si potrebbe lamentare che è quasi irrealistico il modo in cui Saul riesce a copiare i files secretati e scappare dalla sede CIA. Tuttavia, quel che vale la pena qui rimarcare è come l’ex direttore riesca ad aprire gli occhi solo quando decide di accettare ancora la parabiosi con Carrie sacrificando la sua libertà individuale in nome di una fiducia completa nelle capacità della sua allieva confidando che ancora una volta dimostrerà di aver superato il maestro. Che Saul poi decida di affidarsi a During come corriere è una testimonianza di come il magnate tedesco sia, in fondo, una sorta di Saul in fieri. Non perché ne abbia le capacità e le possibilità, ma perché anche lui, senza davvero accorgersene, rischia di avere con Carrie un rapporto quasi parasibiotico nonostante non se ne capisca davvero bene il motivo dal momento che solo da pochi anni i due si conoscono.
Parabiosi è una parola poco comune e difficile da imparare. Ma leggerne il significato rivela che, a ben vedere, è adattissima a descrivere Homeland.
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